L’inquietudine dello scrittore.

Vivo giornate lisce, come se lo specchio d’acqua in cui mi trovo non sentisse un filo di vento, placido e silenzioso. Sono le mie preferite, accompagnate da luce e serenità.

Bellissima questa pace, ma sono grata alla vita per avermi regalato la sensazione di trepidazione e batticuore che a tratti passa a trovarmi. Ho scoperto il suo nome da poco, dopo aver letto un libro di Carver, che entrerà con tutti i meriti del caso a far parte dei miei preferiti, un vademecum per me. Non sapevo che nome dare al mio bisogno di mettere sul foglio le parole, di incastrarle in un perimetro definito, un bel recinto che possa tenerle a bada togliendole dalla mia anima. Dopo aver letto quel libro ho capito che un nome ce l’ha, si chiama inquietudine, ed è il mio flusso, il mio istinto, il mio nero su bianco.

L’inquietudine vive con me da quando sono nata, questo è certo, le sono stati dati i nomi più svariati, talvolta mi hanno intimato ad abbandonarla, io stessa ho fatto il possibile. Sono contenta che il tempo e la vita mi abbiano fatto capire come una caratteristica così preziosa non sia da perdere, senza non sarei io, l’inquietudine è il mio talento, lasciarla parlare è la mia cura più grande.

L’inquietudine è quella forza che mi traina verso una meta, perché sento di potermi chiamare completa solo quando ci arriverò. Una volta arrivata, farò l’ennesimo grande respiro perché ancora non sentirò quella completezza che speravo, quindi dovrò proseguire.

L’inquietudine è quella sete che mi porta ad essere più svelta per arrivare alla fontana prima degli altri.

L’inquietudine non mi da pace, ci sono giorni in cui è sopita altri in cui mi infuoca l’anima e vuole uscire, deve.

La medicina mi chiama “soggetto affetto da attacchi di panico”, io mi definisco un personaggio inquieto che vuole scrivere i suoi stati d’animo. Senza questo impeto ci sarebbe il “non moto”, quindi il fermo, la sedentarietà, la morte.

Mi spavento quando rileggo quello ho scritto nel mood “inquieta”, quando le lascio la libertà di esprimersi. La mia inquietudine comunica così. Abbiamo concordato insieme, io e lei, di supportarci e prendere aria ad intervalli, il mio corpo è la nostra casa, alcuni momenti io esco per lasciarle campo libero, alle volte invece sono io che mi godo “la casa” in solitudine senza la sua presenza. Fondamentale sempre è la buona convivenza.

No non c’è pazzia in quello che sto dicendo, semplicemente quando scrivo tolgo il freno e lascio che sia lei a guidare. Le prime volte non mi fidavo, ora si, la mia inquietudine ha bisogno di me e io di lei, non mi farebbe mai del male.

Gli scrittori, e tra questi mi ci metto anch’io, si devono spostare in un’altra dimensione quando scrivono, io la definisco “anima”, per spiegarla in parole povere, direi una dimensione dove la ragione non può dettare legge o stabilire regole. Potrebbe far paura, si potrebbe, ma la mente è un congegno così intricato che è impossibile entrare senza spaventarsi, i vicoli ciechi sono sparsi ovunque.

Non tutto quello che scrivo richiede la presenza della mia amica inquietudine, ci sono momenti in cui è richiesta la logica e la ragione, altri in cui devo ricoprire il ruolo di scrittrice informativa, il punto in comune in ogni forma di scrittura io scelga è la parola, una dopo l’altra, vanno depositate sul foglio e hanno la capacità di variare la sensazione del lettore nel percepire quello che io sto trasmettendo. Non è bellissimo? La comunicazione di emozioni, una qualsiasi parola buttata su un foglio, potrebbe essere completamente spenta per un soggetto, e dare un brivido per un altro, tutto dipende dall’anima.

Ho necessità di scrivere ogni tanto questo tipo di narrazione, come se dovessi spiegare il lavoro che sto facendo, per giustificare alcuni miei lati troppo ermetici. Scrivere richiede il coinvolgimento di personaggi creati ed inventati, di mondi, situazioni, emozioni, parliamo di un grandissimo lavoro, troppe personalità che si incontrano e scontrano, sarebbe impossibile mantenere la lucidità mentre lo si fa, anzi sarebbe controproducente.

Il numero di pagine che ho scritto in ogni quaderno, libro o foglio sono veramente infinite, devo decidermi a fare il passo, ma la mia inquietudine non è ancora pronta per un giudizio. Lei, come la maggior parte delle emozioni, non può accettare di essere studiata ed esaminata.

Quello che non conosciamo o non riconosciamo come “normale” solitamente tende a far paura, alle volte i mostri più grandi siamo noi con i capelli in ordine e il trucco perfetto.

L’inquietudine è il mio personaggio preferito.

Fedy_On_The-Blog

Metamorfosi.

Aspetto il mese di dicembre tutto l’anno, poi quando arriva è un casino. Una continua alternanza di stati d’animo e sbalzi, luci natalizie e buio delle 16.30 del pomeriggio, speranza misto malinconia. Sarà la fine dell’anno che mi mette addosso quella sensazione di tempo che scorre e scivola via, quest’anno poi, portandomi questo flusso di sinfonie scritte in lettere che pubblico sul mio blog. Sinfonie fatte di ansia, pressione alta, rivoluzione, guerra, post parto, ormoni, pianti, gioie, rincorse, salti, obiettivi, cambio di strade ecc..

Quanti anni ho lasciato soffocare tutte queste “cose”? Lasciavo li quella voce, come se non esistesse, la voce di chi voleva parlare una lingua diversa da quella che io volevo sentire; adesso, a fine anno viene quasi normale fare un bilancio di questo 2020.

Da quando ho aperto la mia “mostra” online, fatta di scritture su ogni cosa mi passi per la testa, è cambiato tanto, ho vissuto quella cosa che Kafka chiamava metamorfosi senza rendermene conto. Ho iniziato a scrivere durante la prima quarantena e qualcuno mi leggeva veramente, incredibile mi sono detta! Scrivevo, liberavo mente e parole e mi sembrava di fare sempre un passo in più verso una meta, ma quando, ad un certo punto mi sono voltata, ho visto una nuova realtà, non ero più nel posto di partenza, era cambiata la strada, la meta, il paesaggio, proprio avevo bypassato i binari che avevo pronti davanti, uscita completamente di strada, ero immersa in acque scure.

La bellezza di questa sensazione? Non so dirla a parole, non sono “riuscita” a restare nella normalità, con mio grande grandissimo piacere. La normalità? Forse una parola, una sensazione che ci serve per non aver paura di annegare in acque sconosciute, ho lottato tantissimo per non essere diversa, e ogni volta che arrivava quella sensazione di mancanza d’aria, formicolio alle mani, cuore nelle orecchie, sudori freddi, mi sentivo come se il mio corpo, la mia mente, la mia personalità soffocata si rivalesse di quello che l’avevo costretta a vivere.

Quando ho iniziato ha scrivere davvero ho come lasciato uscire quel lato emarginato, qualcuno si impossessa di me e parla per tutte le volte che non gliel’ho lasciato fare. Sono acque molto profonde, dove ci si può tuffare solo se si sa nuotare bene, riesco a galleggiare a fatica perché le onde di queste parole sono forti e devo assimilarle poco alla volta per non venire travolta sempre. Voglio aver rispetto di questo mio lato che ho soffocato per tanti anni, ci devo e ci voglio convivere, è mio, e anche lui vive ogni giorno in mia compagnia. Prima lo scacciavo infondo a quel mare spaventoso dove butto tutto quello che mi fa paura, oggi mi ci butto anche io ogni tanto, da sola, perché il naufragare è bello se fatto in solitudine, senza preoccuparsi anche di altri.

Più le parole scendono e si calmano sul foglio, più le mie braccia riescono a tenermi a galla per godere delle onde che mi cullano portandomi, forse, alla riva da cui sono partita.

Entrare in contatto con quei pensieri è stata una delle cose più faticose e spaventose che continuo a fare, non posso smettere, se dovessi farlo tornerebbero ad essere quei mostri giganti che per anni hanno cercato di divorarmi durante le notti buie.

Quando rileggo quello che scrivo mi chiedo in che posto ero, è davvero un posto buio per me, ogni volta penso che sia l’ultima, che non mi riporti più nel mio mondo normale, e invece.. si, perché la novità è che quest’anno le ho dato un volto. Non ci sono mostri anzi, ho visto una bambina impaurita, piccola, che piange da sola e nessuno si scomoda ad accarezzare, ecco io l’ho vista la mia ansia, e aveva proprio quell’aspetto. Ecco perché non posso lasciarla da sola anch’io, ogni bambina piccola ha bisogno di un abbraccio, non esistono bambine cattive, lo sono diventate per qualche sofferenza che nella vita normale non deve essere riconosciuta come tale.

Il mio 2020 è questo, ho dato un volto a quella cosa che mi spaventa da quasi vent’anni, ho conosciuto finalmente quella persona che ho cercato in tutti i modi di far sparire, siamo tante persone ma voi ne vedete una sola.

“Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere.”

Pirandello Uno, Nessuno, Centomila.

Quelle sedie vuote.

Si ok, zona rossa, gialla, verde, per me è un Natale diverso, non per il lockdown, il mio è diverso da un paio d’anni. Natale non è ancora arrivato lo so, ma per parlare di cose tristi ci vuole il momento giusto, l’ambientazione, la neve, la musica di Rod Stewart che canta “Have yourself a Merry Little Christmas”, ci vuole la solitudine della sera quando tutti dormono, ci vuole la mente pronta a ripercorrere quegli anni dove il Natale era il vero Natale.

Il mio Natale era la vigilia, correre a casa della nonna Adelina, perché eravamo in tantissimi e dovevo leggere la poesia sulla sedia, dovevo aiutarla a preparare la tavola, contare quanti tortelli avevamo fatto, quanti kg di pasta avevamo tirato. La stufa in ghisa era dalle sei che andava, e io spesso ero li dal giorno prima, svegliarsi col profumo della legna che bruciava e il suo caffè latte era una coccola. “Mangia poco che stasera poi ci sono tre primi”, “Nonna lo sai che io mangio tanto sempre”, quindi 25 biscotti nel latte e via a prendere la legna.

Non preparavamo molti regali per Natale, ma stavamo insieme davvero, lei cucinava per 30 persone: fratelli del nonno, figli, zii, cugini, la porta di casa era sempre aperta a tutti. Cantavamo fino a tardi, eravamo nella sua casa in mezzo alla campagna, al caldo, niente più di questo, era arrivato il Natale.

Si concludeva tutto per Santo Stefano dall’altra nonna, la Rita, sempre in tanti, lasagne alte come una mano, stavamo tra di noi, cugini, zii, poi tombola con quelle dieci mila lire che mi dava il nonno sotto banco, perché io mica le avevo!

Il fatto è che quest’anno probabilmente non ci possiamo muovere dal comune, ma poco conta onestamente, quel Natale di cui vi ho parlato non esiste più, ci sono solo tante sedie vuote, quelle delle nonne pesano come dei macigni, e io non riesco, non riesco a sentire quel sapore delle cose che sentivo una volta.

Qualcuno una volta mi ha detto “le nonne creano famiglie”, è vero, non c’è niente di più vero, creavano quell’atmosfera che aspettavo tutto l’anno, quell’attesa della serata o del pranzo insieme, sembrava di avere l’oro in mano, ero felice anche se di regali non me ne arrivavano.

Tutti gli anni ci riproviamo a creare qualcosa di simile, ma cosa posso farci se mi manca sempre un pezzo? C’è sempre quella sedia vuota che non riempie nessuno, loro non ci sono, e il mio Natale è più spento, un Natale di una donna adulta che ha smesso di vedere le luci calde di quella festa, perché la verità è che le sedie vuote saranno sempre di più.

Di persone come me c’è pieno il mondo, anzi, il mio egoismo mi fa scrivere della perdita delle nonne, ma c’è chi ha perso il papà, la figlia, la mamma, e si mette addosso il vestito delle feste solo per le altre persone che ha vicino, per i nipoti, per i figli. Certo lo so, questo è crescere, lo so bene, è quella magia del Natale che ricordo io mi faceva pensare che era tutto possibile, che la felicità era eterna e che saremo stati sempre uniti.

Ci sono i nostri bambini adesso che guarderanno tutto con quegli occhi che avevo io la mattina della vigilia, la cosa che mi fa piangere più di tutte e che anche loro un giorno scopriranno che la magia del Natale ha senso solo se tutte le sedie sono occupate.

Quest’anno saremo rinchiusi, ma onestamente pensiamoci, lo siamo da tanto, rinchiusi in una favola che non esiste.

La notte della vigilia io esprimevo un desiderio, se avessi saputo in quanto poco tempo quella magia sarebbe finita, avrei sicuramente chiesto di fermare il tempo, con loro due vicino a me.

Oggi va così, si piange, ogni tanto serve anche questo.

“When you wish upon a star, makes no difference who you are, anything your heart desires will come true”

Senza difese.

Vorrei salvarti dal mondo,

come tu hai salvato me,

perché è pronto a ferirti

e tu sei senza difese.

Vorrei coprirti dal freddo,

pronto a gelarti,

quando nuda attraverserai la prima strada da sola

e tu sarai senza difese.

Vorrei asciugarti le lacrime,

che scenderanno come fiumi,

quando la vita ti mostrerà il suo vero volto

e tu sarai senza difese.

Vorrei proteggerti dal dolore,

sul tuo corpicino piccolo e morbido,

capace solo di percepire carezze,

tu sei senza corazza e senza difese.

Un giorno tutto questo ti sarà chiaro,

il male ti squarcerà il petto per la prima volta,

piangerai da sola,

seduta in un angolo,

la pelle diventerà dura,

il sorriso sarà nascosto,

e lo sguardo più duro.

La vita non fa sconti a nessuno, lascia la tua mano intrecciata nella mia,

perché tu non senta mai la solitudine,

insieme ci si può salvare bambina mia, non vivere il dolore da sola.

Per te, per sempre, la tua mamma,

In modalità off line.

Stai facendo un milione di cose e parte quella canzone, l’avrai sentita mille volte ma oggi, per la prima volta, ti fermi e la ascolti veramente. Il tuo sguardo è fisso, sei completamente rapita e sorda verso il resto del mondo, nero. Qualcosa ti annebbia la vista, sono lacrime? Ma stai piangendo? quale sarebbe il motivo?

Non so perché sto piangendo, questa canzone mi ha risvegliato una tristezza dentro che non ricordavo, sono qui ferma ancora con lo sguardo fisso, dov’è il tasto? Non voglio più sentirla, cosa succede oggi? Ecco guardo il calendario, ricordo.. siamo quasi a fine settembre, il mese del mio TILT dove non ho alcuna padronanza sulla gestione delle mie emozioni, ho provato tante volte e ho lasciato perdere. Sei tornato anche quest’anno a farmi visita vedo..

Si sono passato anche quest’anno, ma dai ormai siamo amici e sai che non resterò qui a lungo, come la tua canzone che presto finirà perché niente dura in eterno. Devi solo lasciare che venga suonata anche l’ultima nota, interromperla a metà non è una buona idea poi troverebbe comunque il modo di ripartire nel momento meno appropriato. Lasciala finire.. anzi, se serve, riascoltala, poi quando sarà finita, tornerà tutto come prima.

Benvenuto autunno! Eccomi adesso riprendo la gestione della mia tastiera dopo aver lasciato che le mie due personalità dominanti scrivessero il loro saggio breve. E’ arrivato l’autunno e con lui la mia apatia. Sono un animo malinconico, mi piace questa stagione con i primi freddi, i ritmi lenti, le giornate accorciate e il buio. Il mio essere trova finalmente la pace durante questo periodo dell’anno, nonostante la mia solarità e socialità, amo il silenzio delle foglie che cadono.

Dopo 37 anni in compagnia delle stagioni, riconosco di essere solare e positiva durante i mesi caldi, influenzata dal buon umore esterno, ma qualcosa dentro di me aspetta con ansia di potersi lasciare andare durante i mesi invernali. Ho finito anche quest’anno, posso andare in letargo.

Perché se le stagioni calde mi rasserenano aspetto il grigio? Credo di avere almeno un lato di luce e uno di ombra, che ciclicamente hanno bisogno di essere nutriti e ricaricati come un qualsiasi organo vitale del mio organismo. La mia ombra in questo momento ha fame, la sua richiesta, specialmente nei giorni di pioggia, è quella di stare seduta sul pavimento freddo, davanti alla porta finestra della sala, guardare fuori, lenta, ferma, in modalità off-line.

La sensazione è quella di essere all’interno di una bolla, dove non riesco ad essere raggiunta dal mondo esterno, come un cellulare con la connessione dati staccata, wifi spenta, modalità aereo, è acceso si ma solo per emergenze. Avverto una sorta di distaccamento dal bianco dell’estate che sta piano piano lasciando il posto alle ondate del mio nero, ondate pericolose che alle volte mi prendono la gola.

Quando il nero ha la meglio è difficile trovare la quantità di luce sufficiente per non perdermi, ma ecco che da un anno a questa parte ho scelto di creare una FIAMMA viva e luminosa per riportarmi sempre nel punto in cui sono partita illuminandomi la strada verso casa.

Il mio bipolarismo è speciale, perché se non fossi qui a raccontarvelo neanche lo notereste, ho imparato a viverci insieme sapendo che, come la canzone di oggi, ha un inizio ma anche una fine certa.

Piccola postilla per tutti, quando attivo la modalità off line ricordate che non sempre le doppie spunte diventeranno blu.

Fedy_ in modalità_Off_Line.

L’infinito.

Le lettere d’amore migliori le ho scritte per chi mi sa ascoltare in silenzio parlandomi con le sue carezze.

Avete presente com’è guardare l’immenso? Bloccare la vista verso qualcosa di cui non vedete la fine che vi riempie l’animo e allo stesso tempo spegne i pensieri?

La sensazione di pace che rimbomba nelle orecchie, ricercata per quasi un anno e finalmente arrivata, entra negli occhi, scende nella bocca, nella gola e mi riempie il respiro. La mia lettera d’amore per te.

“Il tuo profumo è estivo, caldo, benevolo e accogliente. Ogni volta che ci vediamo è la stessa sensazione, mi sento accettata. Mi guardo e nei tuoi occhi mi rifletto, sei fresco e mi rassicuri.

L’infinito, ti guardo mentre ogni giorno compi le stesse azioni, gli stessi movimenti da chissà quanti millenni di anni, e mi sembra come se con me fossi diverso. Ogni volta che ci incontriamo è come se il tuo sapore fosse nuovo, sento le sensazioni che mi regali speciali, solo per me, è una grossa presunzione lo so, ma nonostante tu non sappia parlare io sento la tua voce. Noi possiamo comunicare a voce alta, le tue onde sono il mio saluto che ogni anno mi riservi. Conosco bene la tua lingua, è il suono più dolce che la mia mente senta, amorevole e delicato, noi ci siamo trovati.

Mi siedo sulle tue rive da ormai 37 anni. mi giro verso a sinistra al mattino per assaporare l’aria fresca e respirare la vita, chiudo gli occhi e penso a quello che ho vissuto qui con te, quante volte ti ho portato i miei pensieri e li ho lanciati come sassi per farteli ingoiare e cancellare.

Sono così abituata a vederti e viverti che non riesco ad immaginare la mia vita senza di te, ci vediamo poco si, ma quel poco è la mia ricarica costante, senza non potrei. Non c’è una vista migliore, in qualsiasi stagione, in qualsiasi giornata sei tu il posto dove voglio stare.

E’ forte la tua mancanza appena ci lasciamo, sento ancora il tuo profumo sulla pelle, il tuo orizzonte silente e costante è la mia ancora. Quindi penso a quando, seduta sugli scogli, aspetto il sole sparire dietro alle montagne che ti recintano, lasciando l’ultima scia di luce sulla tua pelle, questo momento è tatuato nella mia mente e sarà l’immagine più frequente che avrò prima di dormire, per rilassarmi e riportarmi sempre li con te.

Se avessi un ultimo desiderio, sarebbe quello di sparire dentro alle tue acque, per non dovermi più separare dal tuo sapore. “

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Il mio e il suo malinconico infinito.

CASSONE, LAGO DI GARDA, GIUGNO 2020.