Quanto pesano i 40.

So bene che di argomenti toccanti sono altri, potrei discutere di femminicidi, di guerre, colpi di stato, disastri naturali, ma oggi, almeno solo per oggi, voglio lamentarmi del tempo che passa.

Egoisticamente si, vorrei parlare di quanto pesano i 40 anni.

Pesano sulla mia testa, sulle mie spalle, sul mio corpo tutto.

Quest’anno ha messo a dura prova la mia spensieratezza, la mia tenacia, la mia fiducia, la mia forza, sbriciolandomi, più di una volta.

Questi 40 pesano, eccome se pesano.

Pesano su un corpo che troppe volte non ha risposto alle aspettative, che mi ha abbandonato a metà strada, alle volte proprio all’inizio della via, pesano su pensieri stanchi di ascoltare voci e discorsi, allontanandomi da quello che era davvero importante in questa vita troppo veloce.

Pesano, ogni volta che mi sono sforzata di entrare nella testa degli altri per capirne le ragioni, obbligandomi ad andare oltre la loro cecità, pesano quando dico un si asfissiato da discussioni eterne, con persone che prelevano solo la mia essenza vitale senza restituirmi nulla.

Pesano quando devo stare in silenzio di fronte alle parole di prepotenti, impegnati a guardarsi la punta del naso e non oltre, ottusi e corti. Pesano ogni volta che porto con me nuovo rancore, verso ingiustizie di cui, senza motivo, ho scelto di farmi portavoce, rancore che brucia energie e ammala la mente, soprattutto la notte, rubandomi il sonno.

Pesano quando mi rifiuto di ascoltarmi, quando so esattamente come andrà a finire, nonostante questo mi violento e proseguo, costringendomi ad una sofferenza, ancora ed ancora, pesano quando mi guardo allo specchio e vedo il mio viso stanco, con nuovi segni sotto gli occhi, sugli angoli della bocca, sul collo, punti indelebili che mi ricordano ogni giorno il tempo che passa.

Per bilanciare l’elenco di mancanze, devo però ammettere a me stessa che qualcosa di buono, di migliore, questi 40, lo hanno portato.  Non sempre, non per tutto, ma ho sviluppato una buona dose di menefreghismo verso chi non può stare al mio passo, sorridendo di fronte alla pochezza dell’essere umano.

Ho guadagnato tante consapevolezze che mi salvano per tempo, aiutandomi a cambiare strada prima ancora di vedere la destinazione, perché alle volte, perdere la fiducia serve a preservarci. Ho imparato quanto sia bella la solitudine, talvolta la cura migliore verso il rumore di un mondo velenoso, senza dimenticarmi che, ho la fortuna di apprezzare la solitudine grazie ad una vita piena di persone meravigliose, che mi fanno compagnia.

Si perché finalmente, alla mia età, ho scelto chi può stare o meno nella mia vita, ho capito bene chi c’è dentro totalmente, e chi invece, c’è vicino per forze di causa maggiore, ma ben fuori dal mio recinto fatto di filo spinato. Vicino si, ma lontano a sufficienza per non sentire l’amore che so offrire a chi se lo merita.

Ho scelto consapevolmente a chi regalare il mio tempo, condividendolo con chi, a sua volta, ama regalarlo a me, perché diciamoci la verità, raggiunto questo traguardo ho capito qual è il bene più prezioso al mondo: il tempo.

Per il resto, lasciatemi dire che, nonostante la mia età entrante, non ho messo giudizio, non ho perso la voglia di tatuarmi e non ho nemmeno perso l’abitudine di bere una birra fresca prima di cena, e soprattutto non ho mai smesso di sentire la mancanza delle mie nonne e del sentimento di serenità che mi davano.

Ecco, andava messo nero su bianco questo cambio di decina, per poterlo rileggere tra dieci anni e dire ad alta voce: “Dieci anni fa stavo bene e non lo sapevo”, perché, altra piccola consapevolezza leopardiana, gli anni migliori, fatti pensando solo a me stessa, sono decisamente finiti.

Che la scalata abbia inizio, speriamo ci siano soste lungo la salita, possibilmente all’ombra, con una bella vista.

Fedy_on_The_40’s

“Dalla parte della bambine” – manca ancora molto alla parità di genere?

Anche quest’anno mi sono trovata di fronte alla necessità di comporre un testo sulla parità di genere in Italia, focalizzandomi sul: “Quanto manca ancora alle donne per”; ho fatto veramente fatica, per la prima volta.

Fatica dovuta a cosa di preciso? Ci ho pensato molto, mi chiedevo: perché non riesco? Questa è la mia tematica, il mio pezzo forte, basta andare a rileggere tutti quelli fatti in precedenza no?

Poi ho capito: rileggere quelli fatti in precedenza si, perché di tutto quello che scritto e discusso negli anni, non è cambiato nulla, tutto è ancora esattamente uguale.

Ecco il motivo della fatica, svenarsi ogni volta per elencare quello che ancora manca, quello che ancora non va, rendendomi conto che dico e scrivo sempre le stesse cose, non perché io sia monotematica, perché ancora nulla si è mosso.

Allora mi sono chiesta: nonostante negli ultimi decenni il femminismo sia così inserito all’interno di diverse forme mediatiche, social, movimenti trasmessi in ogni angolo della terra, perché ancora non si sono fatti molti passi avanti? Quali sono gli ostacoli, dove risiedono queste abitudini che ancora vedono le donne come esseri docili, mansueti, addomesticati, che dovrebbero con grazia e femminilità adempiere alla vita a cui ognuna è solitamente destinata? Rispecchiando retaggi culturali e sociali di cui siamo schiavi.

Parto specificando che la quarta ondata femminista, vale a dire quella a cui stiamo assistendo ai giorni nostri, quella a cui mi sento di appartenere e quella a cui tutti dovremmo prestare attenzione veramente, proclama e richiede parità di genere. Erroneamente a quello che siamo portati solitamente a pensare, luogo comune stereotipato da secoli e secoli di patriarcato, il femminismo attuale non vuole la supremazia delle donne sugli altri, vuole la parità tra generi, a livello sociale, economico e politico.

Ecco perché oggi è impossibile parlare di parità di genere senza chiamare in causa il femminismo.

Per darmi una motivazione valida su ciò che ancora boicotta questa parità tra generi, sono andata a leggere diversi saggi di specialiste, cercando risposte alle mie domande, un libro in particolare mi ha letteralmente colpito dandomi la spiegazione più naturale e ovvia.

L’autrice, Elena Gianini Belotti, è stata una pedagogista, insegnante e scrittrice, tra i tanti libri scritti, dedicati alla tematica delle donne e dell’infanzia, uno è stato illuminante, il titolo è Dalla parte delle bambine.

Quest’opera è datata 1973, quindi piuttosto antica, passatemi il termine, rispetto al nostro 2023, ma spaventosamente attuale, ecco perché voglio segnalarla.

E’ una mera indagine scientifica, condotta tra reparti di ostetricia e scuole dell’infanzia, che analizza la differenza di carattere tra maschi e femminine come frutto di una differenziazione dei sessi operata fin dalla prima infanzia, quasi prima della stessa nascita, strumentalizzando il concetto di femminilità e mascolinità sotto ogni suo stereotipo peggiore per fabbricare la tipologia standard di donna e uomo ben inserita nella nostra società.

Vorrei ricordare come fino a poco tempo fa, in alcuni piccoli paesi fuori provincia tutt’ora, si sentisse la frase: “Auguri e figli maschi”, sarà un caso?

Assolutamente no, Gianini Belotti infatti spiega come fin dal concepimento si sperasse in un maschio, per portare avanti il cognome, per fare grandi cose, per essere genitori orgogliosi, perché i bambini si sa, saranno gli uomini di domani, e agli uomini è riservato il potere.

Nulla a che vedere con le bambine, dalle quali, già appena nate ci si aspetta molto. Riassumendo in breve, per quel che posso, Gianini Belotti documenta, come le bambine vengano abituate da subito al sacrificio, vengano domate ed educate in modo repressivo dai genitori, soprattutto se presentano caratteristiche animate, nervose, rumorose, troppo giocose, tutte qualità invece, riconosciute e fomentate sui bambini. Le bimbe devono essere instradate verso la docilità, la grazia, l’accettazione di una posizione marginale, la dedizione alla famiglia, il silenzio, insomma: addomesticate.

Nell’ambiente domestico, vengono interrotte nei loro giochi o nelle loro attività, per aiutare la mamma nelle faccende di casa, mentre i maschietti no, vengono lasciati liberi di giocare, od oziare sul divano quando saranno adulti, dopo una giornata di lavoro ad esempio.

Le bambine imparano presto che per soddisfare le aspettative riversate su di loro, devono eseguire gli ordini, specialmente all’interno del focolare domestico, senza ribellarsi, senza urlare o rifiutarsi, perché non è ammessa l’insubordinazione. Fin da subito capiscono così la distinzione dei ruoli, che entra dentro, nel profondo, mettendo le basi per schemi fissi messi in pratica nel futuro, specialmente quando quelle bambine diventeranno donne adulte, destinandole ad una mancanza perenne di autostima, cosa che nei maschi, uomini adulti del futuro normalmente non succede.

Già queste righe credo possano bastare per darci una chiave di lettura consona, mostrandoci come mai manchi ancora molto al raggiungimento di parità tra generi.

Vorrei però fare una mia riflessione mettendo nero su bianco le conseguenze di questa educazione che ci portiamo dietro da millenni.

Sulle femmine si tende a reprimere ogni forma di espressione di rabbia, di potere, bisogno di affermazione ecc. Dall’altro lato, ai maschietti, viene concesso, perché tutto ciò che è legato all’istinto, alla fisicità, la necessità di vincere, di elevarsi è lecito.

Non è forse anche questo, o soprattutto questo, il motivo per cui, nonostante sul pianeta terra le donne siano in maggioranza, sono gli uomini a governare? Sono gli uomini a detenere il potere, ad avere ruoli importanti e in percentuale a lavorare di più.

Dunque, al tavolo dei potenti noi non ci siamo, o se ci siamo, è in minoranza.

Viviamo ancora in mondo in cui potere e soldi sono simbolo di virilità, dove rabbia, lotta, e ribellione sono caratteristiche che sulle donne non vengono accettate.

Un esempio banale è il famoso gender pay gap, ovvero la differenza salariale tra i sessi.

Quante di noi si sono mai permesse di mettere in discussione lo stipendio offerto durante un colloquio di lavoro? O anche solo permesse di chiedere la paga?

“Non sta bene sentire le donne parlare di soldi” diceva sempre mio nonno, e inoltre a seguito dell’educazione ricevuta, non ci sentiamo nemmeno meritevoli di chiedere di più.

“Non sono abbastanza” questo abbiamo imparato fin da piccole. Pensiamo a cosa può assimilare una bambina che cresce insieme ad un fratello maschio, come vive le differenze educative, sentendosi diversa, discriminata talvolta, inferiore, ricordo infatti, come precisa Gianini Belotti nel suo libro, che sono le bambine a venire continuamente interrotte per aiutare la mamma, cosa che non accade coi fratelli. Questo atteggiamento protratto nel tempo innescherà nel carattere femminile il nulla osta a mettersi in secondo piano per gli altri, a sacrificare la felicità per il dovere.

Nell’ambiente lavorativo quindi, sulle basi fondate da famiglia e scuola, le donne raramente lottano per il proprio riconoscimento anzi, accetteranno quello offerto, non riconoscendosi valide quanto un uomo, quanto un bambino maschio.

Come si può contrattare una paga salariale se nella nostra mente, una voce subdola ci dice: “Certamente ci sono persone più brave di te, accetta quanto ti viene offerto, sii buona e stai al tuo posto”.

Ecco spiegato, in buona parte, perché ancora non siamo arrivate dove vorremmo, ancora combattute tra lavoro e famiglia, facendoci carico di tutti i pesi familiari, lavorando il doppio degli uomini per sentirci a posto con la nostra coscienza, sapendo che a parità di titoli di studio, il nostro stipendio e la nostra valutazione sarà sempre inferiore, perché si sa, le bambine devono avere grazia, pazienza ed eleganza, portare un tocco femminile nel mondo, non di certo qualifiche o capacità particolari.

La società, ma anche la mentalità di ogni suo singolo componente, fa ancora fatica a bloccare questi retaggi insiti dentro di noi, viene difficile quindi cambiare usanze e metodi così radicati da non renderci nemmeno conto di cosa facciamo e di come etichettiamo e istruiamo bambine e bambini.

Mi metto in discussione anche io, senza recriminare nulla alla mia famiglia o alle mie maestre di quando ero bambina, sono stata cresciuta così. Sto facendo un grande sforzo per esaminare i miei atteggiamenti e le mie aspettative verso mia figlia, lasciandola libera come essere umano. Infatti all’età di tre anni, i bimbi iniziano a notare alcune differenze fisiche tra maschi e femmine e piano piano cresceranno riconoscendo tutte le diversità che noi adulti, prendendoci come modello, tendiamo ad evidenziare.

Adesso è il nostro turno, è il nostro momento, per cambiare, per tagliare queste radici patriarcali, evitando di domare, addomesticare le nostre bambine, insegnando ai nostri figli maschi che piangere è normale, la fragilità è normale.

Ecco cosa serve, a mia modesta opinione, per mettere le basi, solide fondamenta verso la parità di genere, una rivoluzione societaria e familiare, che limiti l’applicazione di stereotipi sui nostri piccoli adulti di domani.

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Chi ha spento la luce?

Divido i mesi dell’anno per blocchi di colore, da marzo ad agosto i colori sono piuttosto accesi, da settembre a febbraio una gamma di grigi, un po’ come ho diviso le aree della mia mente.

Settembre è il mese che mi prende per mano e mi conduce verso il noir dei mesi gelidi, in tutti i sensi. Un mese in cui si tenta di riprendere i ritmi intensi abbandonati prima dell’estate, che però mi restano attaccati addosso come pesanti zavorre che non riesco a metabolizzare.

Il colore del cielo e del sole che cambiano, incupendomi fin dal primo risveglio. Ho dei ricordi ben distinti, di quando ero bambina, associati a questo periodo dell’anno, soprattutto legati alle mie campagne verdi.

L’ora crepuscolare accompagnata da quella lieve nebbia che piano piano prende il posto del calore estivo, il verde che cede il posto a varie tonalità di gialli e marroni, rami che mano a mano si spogliano di ogni loro protezione, il buio che ogni giorno si insinua prima, qualcosa o qualcuno deve aver spento la luce, ed io non trovo l’interruttore.

Non mi stupisce che, il mio animo bianco e nero, abbia sempre avuto una passione per i racconti esoterici legati alla fine dell’anno, quante storie fin dalle elementari leggevo sulla festa di Ognissanti che noi oggi chiamiamo Halloween, la fine della stagione estiva e l’inizio del freddo, del buio, la fine dei raccolti.

Gli ultimi mesi dell’anno segnano il momento preciso in cui la mia mente inizia ad annebbiarsi, scurirsi, si anima, vive da sola e prende un’ autonomia non concessa rispetto alla strada in cui cerco di incanalarla a fatica ogni giorno. Settembre, ottobre, novembre, sono i mesi in cui ho avuto le ricadute peggiori, momenti in cui sento che quel lato oscuro con cui convivo non è del tutto un mio alleato, piuttosto un avido personaggio che, appena mi trova distratta, cerca di rubarmi tutta la lucidità, vincendo sul controllo che ho sulla mia mente.

A volte mi chiedo se, quel lato che io fingo di non conoscere, sia il mio essere reale; come posso non tener conto del fatto che mi curo per non lasciarlo dominare? Se non lo facessi sarebbe totalmente libero di inghiottirmi, ciò significa che io sono realmente questo? Senza le mie cure cosa ne sarebbe della mia mente così colorata e serena?

La differenza di chi sono senza terapia non è banale; quando sono serena, sento di aver luce e sole dentro di me, consapevole anche della presenza di nuvole e i temporali, ma ben calibrati e capaci di vivere insieme nello stesso cielo. Quando sto bene, io e il mio lato oscuro siamo amici, in sintonia, viviamo insieme, una convivenza equilibrata, come se davvero fossimo due esseri paritari.

Cazzate, quando sto male si ribalta tutto. Il cielo diventa quello autunnale, fatto di grigi, il sole non c’è, è stato totalmente coperto, giorni interi di grigio totale, dove la nebbia copre la lucidità ben salda fino a poche settimane fa.

Com’è essere bipolari? Questa è la realtà, non ci sono giorni di sole o nuvole solamente, ma settimane di nebbia, dove perdi anche la strada più comune che ogni giorno percorri.

Cosa c’è che non va? Cosa ti ha scatenato questa sensazione? Perché sei caduta in questo buco? No non c’è nulla che non va, non ci sono motivi scatenanti. Il bipolarismo o qualsiasi altro disturbo psichico è ciclico, come lo è il lavoro su un appezzamento di terreno agricolo, per fare un esempio comune, ciclico, influenzato dal clima, dalla luna e da chi lo ara.

Il mio lato oscuro è una sorta di maggese, un momento in cui metto a riposo la lucidità della mente, per restituirgli fertilità, ma prima deve passare attraverso un anno di totale carestia e svuotamento.

Questi sono i lati di una mente scomposta in settori non comunicanti tra loro, dove l’unico filo conduttore è il poterlo scrivere su un foglio, alleggerendone i contenuti. Aree di colore e aree di grigio, che durante alcune stagioni, fanno veramente paura.

L’incognita più grande per chi soffre di questo disturbo è il non sapere per quanto tempo il cielo resterà coperto, la nebbia oscurerà il sole, la terra può dirsi davvero fertile solo se illuminata dai suoi raggi.

“Quella grassa”.

Ultimamente sono ossessionata, posso dirlo? Il fatto che mia figlia sia prossimo all’inizio della scuola dell’infanzia è per me un pensiero fisso.

Chiudo gli occhi e mi sento di viverla come se il tempo in cui potevo tenerla sotto copertura dal mondo esterno sia agli sgoccioli, un mese e poi il filtro che sto mettendo su ogni anomalia non avrò più modo di applicarlo.

Non posso listare in toto quelle che sono le mie paure verso il mondo che la sta aspettando, quale mamma non le ha? La verità è che probabilmente non sono pronta io a viverle di nuovo.

Nei suoi occhi vedo il pulito, quello sguardo senza macchia che non ha titubanze, incertezze, insicurezze, perché non ha ancora sentito il dolore e so che il mio compito non è quello di evitarglielo, quanto di tenerla per mano fin quando me lo concederà.

C’è però un’ossessione di cui vorrei parlare, raccontando un fatto della settimana scorsa mentre ero al parco con lei. Due bambine, di qualche anno più grandi, stanno giocando con lei e le sento chiedere: “Perché hai capelli tagliati corti come i maschi?”. Mia figlia che parla molto ma solo quando è in casa con noi, si è limitata a sorridere continuando con il suo gioco.

Le bambine ridacchiano tra loro e si allontanano, lei le rincorre e io la seguo.

A quel punto vengono da me: “Perché ha i capelli così corti?”, insistono. “Perché quando crescono troppo sul collo si lamenta”, rispondo io.

“Sono i maschi ad avere i capelli corti così”, continua.

Rispondo solo con un sorriso perché a fine luglio, con il caldo, voglia di spiegare a due bimbe di 5 anni che, schemi mentali di questo tipo, nel 2022, sono veramente fuori moda, proprio non mi va.

Ecco da quel momento è partita un’ossessione costante, e se anche mia figlia, come me, diventasse angosciata e ossessionata dal suo aspetto fisico come è stato per me in tutti i miei anni da ragazzina?

L’ossessione per la bellezza, la magrezza, il rispetto ad ogni costo dei canoni che il mondo esterno ci inietta, ma è solo questo quello a cui vogliamo far ambire i nostri figli?

All’età di 11, 12 anni mi sono detta che essere grassa fosse il mio difetto peggiore, perché gli esempi e le persone a me vicino non facevano altro che farmelo notare.

Ecco devo ammettere, in tutta onestà, che se mi fossi tolta questo pensiero malsano, e concentrata magari su cose più importanti, sui miei ideali, i miei obiettivi, probabilmente il famoso libro che volevo scrivere, anziché pubblicarlo a giugno 2022, sarebbe uscito molto prima. Invece, ho passato innumerevoli giornate a piangermi addosso, perché ero grassa, brutta, inadatta.

Ma come può una ragazzina che sta via via facendo il suo ingresso nel mondo, capire quali sono le cose realmente importanti? Se chi le sta intorno continua a puntualizzare il suo aspetto fisico come un difetto, è normale che lo diventi realmente no? Certo che lo è. Ad oggi, quasi 40 anni, vivo di disagi quando non mi sento fisicamente all’altezza di chi sta con me; il mio schema mentale vede la donna taglia con un difetto in meno rispetto a me.

Mi auguro che le mamme di oggi, per lo più fatte di unghie finte, capelli e corpi artificiali, alimentazione assente, capissero cosa stanno passando ai loro figli. Vorrei future ragazze originali, autentiche, in cerca di ideali puliti, indipendenti, audaci, intelligenti, caparbie, questo vorrei, è davvero così troppo come desiderio?

Farò quanto mi è possibile per continuare a schermarla da questa realtà, il suo corpo, qualsiasi esso sia, non deve essere un limite, tanto da comprometterla. Troppe volte mi sono sentita “quella grassa che”, sto lottando contro ogni cellula del mio corpo per staccarmi da questo schema mentale inserito nel mio DNA., oggi a maggior ragione, per me ma anche per lei.

L’esaltazione della magrezza su ogni piattaforma social è, a dir poco, esasperante, davvero volete farmi credere che sia sufficiente essere magre? Essere belle? Essere conformi a un prototipo? Sono davvero questi gli ideali che stiamo portando avanti?

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Al tavolo dei potenti.

Una retorica nauseante quella dell’8 marzo, fatta di mimose social, frasi poetiche sulla meraviglia della donna, mantra di empowerment e incoraggiamento.

Ricordo, appena l’anno scorso, avevo preparato alcuni post per utenti per cui lavoravo, attenendomi alla media dei messaggi che, ad inizio 2021, erano favoriti in ambito “donne”, questo perché, per chi non lo sapesse, ogni post comunicativo inclusivo ha una sua moda del momento. Ebbene, l’anno scorso il focus era proprio atto a confermare alle donne che potevano diventare tutto, essere cioè che volevano, no limits. Per l’occasione ricordo di aver utilizzato infatti una frase di una donna di grande ispirazione per la sottoscritta, Michelle Obama, la quale in varie occasione ama ricordarci che: “There is no limit to what we, as women, can accomplish”.

Ma è davvero così?

Pensavo di si. Oggi, entrando in questo 2022 così violento e crudo, ho capito come messaggi in pompa magna, siano belli e d’effetto, pronunciati da chi non ha la casa distrutta dalle bombe.

Rametti di mimose, regali, offerte nei centri estetici per trattamenti speciali, trucchi in offerta, una piega in omaggio, ma possiamo essere qualcosa in più oltre che belle per forza?

Abbiamo tra le mani una guerra, fatta da uomini. Al tavolo dei potenti, delle trattative, della tanto amata diplomazia, sempre loro, nessuna di noi. Le donne dove sono?

Non di certo dal parrucchiere, sono in campo, operative sul posto, impegnate a rincorrere la salvezza, non i loro sogni, preservare i bambini, le prime vittime di queste guerre; ma soprattutto sono impegnate a combattere, armate con quanto gli stati “alleati” hanno provveduto ad inviare, fucili. Stanno difendendo la loro terra dall’invasore.

Nel 2022 è davvero pensabile che si possa ledere i diritti umani senza intervenire per scongiurare una guerra mondiale? Forse si, basta mettere una bella mimosa in bacheca e mandare un grande abbraccio alle vere eroine di questa guerra, le donne.

Quanti anni ancora serviranno alle donne per capire che questa festa altro non è che un riconoscimento farlocco istituito dalla società patriarcale per renderci mansuete? Esiste una festa dedicata agli uomini? Quindi per quale motivo deve essercene una per noi?

L’8 marzo dedichiamolo alle donne che non possono più essere qui, uccise dal patriarcato, in ogni sua forma; come la guerra in questo caso. Dedichiamolo alla commemorazione, al ricordo rispettoso e silenzioso.

Quello che mi ha trasmesso questa giornata appena passata è che le donne possono armarsi fino ai denti per proteggere la propria indipendenza, oltre ad essere mamme amorevoli che curano i loro figli all’interno di bunker o partoriti nella metropolitana.

Noi, invece, seduti sulle nostre poltrone occidentali, compriamo fiori, pubblichiamo stati con frasi accattivanti sulle nostre bacheche, così da sentirci in pace con il modus operandi in voga l’8 marzo.

La Giornata Internazionale della Donna è qui solo per ricordarci che, anche quest’anno, le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Non bastano post rosa con hashtag correlati, mimose scontornate inoltrate mille volte, fiumi di metafore su come portiamo poesia, amore e senso materno, donne in abiti da supereroine e similari. Non è la festa di nessuno, è un ricordo di dolore che ci portiamo dietro e dentro da quando al comando ci sono loro, gli uomini.

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Pienezza vs Mancanza.

Avete presente il giorno degli innamorati? Credo fosse ieri, quasi sicuramente, non partecipo attivamente a quel gioco. Sono generalmente innamorata della mia famiglia e di quello che ci sta dentro e fuori.

Sono rimasta sorpresa dal numero di persone che ieri “sdrammatizzava” l’assenza dell’amore nella loro vita, specialmente non corrisposto o non vissuto totalmente.

Difficile parlarne, io vivo di concretezze, bollette da pagare, lista della spesa e pannolini di mia figlia, ma ieri sentivo questa mia amica sofferente per un amore non fattibile, non possibile nella realtà.

“Cosa significa non fattibile?” chiedo.

“Non possiamo stare insieme, abbiamo deciso di non viverla”.

L’amore cos’è? Costruire una casa? Mattoni, giardino? Aprire un conto in banca insieme? Fare progetti? Viaggi? Boh io non credo, trovo tutto questo una sorta di controllo, dominio, possesso.

Ci sono tanti modi di vivere un amore, ma noi ne conosciamo solo uno, quello che implica “costruire qualcosa insieme”, ciò per cui la società sembra ci abbia creato, nasci, cresci, riproduciti, lavora e muori.

Cosa c’entrano tutte queste cose con il sentimento dell’amore? Certo si, la famiglia nasce su queste note, ma non solo.

L’amore è intensità, un uragano di movimenti interni al nostro corpo che ci segnalano presenze nuove, un dolore al petto che ti toglie l’aria. E’ autenticità, fuoco vivo, adrenalina, pioggia dopo la siccità. La presenza fisica del “viverci” cosa c’entra in questo?

Non è vero che le persone innamorate DEVONO stare insieme, non è sempre così. Quanti libri avete letto di amori consumati su carta e inchiostro? Lettere piene di un sentimento mai toccato con mano?

L’amore è libertà, non dominio, non possesso, non mattoni.

L’amore è abbondanza, non mancanza, sentire un sentimento nel cuore non può portare sofferenza, amare non significa cercare per forza di essere ricambiati, amare non è possedere.

Amica mia, come puoi decidere di non vivere un amore? Non si sceglie nulla, l’amore c’è tra anime che si ritrovano dopo tempo e si scelgono ancora, malgrado siano distanti o impossibilitate nel vedersi, quindi vivi il tuo amore, esattamente com’è, nella pienezza di un sentimento che non deve essere completato.

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Piuma o mattone?

Ho sta cosa dentro di cui non riesco a venire a capo. Per cercare di farmela amica ho chiuso gli occhi e come se fossi in possesso di una telecamera interna, mi sono immaginata di controllare in quale parte del mio corpo potessi trovare la sua posizione. Tra la gola e l’imboccatura dello stomaco, c’era questo groviglio, come un gomitolo, una matassa di nodi, stretti tra loro, rigidamente, bollenti. Da questo punto ho visto partire il resto del mio corpo, luminoso ma debilitato, accorciato, affaticato da questa confusione di nodi che rallentavano il mio movimento.

Il groviglio nasce di conseguenza prima o dopo una scarica di adrenalina non consumata correttamente, non preventivata e non assestata. Scie sporche contaminate da notti assenti, da un cuore pressante, da denti stretti, e occhi spalancati.

Non ho scoperto l’acqua calda, l’adrenalina è un prodotto delle ghiandole surrenali che induce effetti, quasi sempre fugaci, (a meno che tu non sia un soggetto particolarmente ansioso..), come eccitamento fisiologico, aumentando fortemente la pressione arteriosa.

L’adrenalina viene rilasciata in un momento di stress, dettato da un evento, un pensiero, un qualcosa di futuro che dovrà avere luogo; è un ormone che attiva un campanello di allarme, benevolo o meno, per avvisarci che quella detta situazione potrebbe causarci delle conseguenze.

Scientificamente parlando è tutto ben definito, cosa la scatena, come viene prodotta, come reagisce il corpo, quali sono i sintomi più frequenti, quelli più di nicchia, fino ad arrivare a “come combatterla”, una lista chilometrica di attività zen, respirazioni, meditazioni.

Il mio groviglio è resistente alle meditazioni, alle respirazioni e ad ogni sport io voglia praticare, mi segue, mi accompagna, mi preme sul petto, mi toglie l’aria. Sicuramente non sono “portata” per queste attività introspettive, sono più brava ad aprire una bottiglia di vino e alleggerirmi con il suo profumo, come se la matassa andasse assottigliandosi.

Una scarica di adrenalina è un fiume che va lasciato scorrere senza argini, può sommergere fino alla gola rischiando di soffocarci; talvolta può nutrire terreni aridi da piogge. Cosa può aiutarci a determinare cosa sarà?

Ho iniziato a farmi una domanda ogni volta mi trovo di fronte ad una data situazione che mi tiene sveglia la notte: quello che andrò a fare come mi fa stare? Mi alleggerisce come piuma? Oppure mi appesantisce come un mattone?

L’adrenalina del prima o del dayafter può cambiare totalmente se pensiamo a come ci può curvare la schiena, la pesantezza di una scelta, la leggerezza di una non decisione, e viceversa.

Chi l’ha detto che dobbiamo per forza? Siamo padroni del nostro qui ed ora, e possiamo passare attraverso una scarica di adrenalina tenendo solo quello che ci serve, ascoltando il nostro corpo, che ci segnala, ci avverte, ci sintonizza sempre sulle frequenze giuste, non ignoriamoci, siamo i migliori amici di noi stessi, nessuno può capirci meglio.

“Si vive una volta sola, devi buttarti”, non sono del tutto d’accordo, posso dirlo? Cosa potrebbe succedere ad un mattone pronto a buttarsi nel vuoto? Rompersi in mille pezzi, vivendo una volta sola, ma totalmente ricoperto di crepe. Al contrario una piuma potrebbe tuffarsi ogni qualvolta lo desideri, sapendo che il vento continuerebbe ad adagiarla lenta sul terreno senza procurarle alcun dolore o rottura.

Ecco quello che vorrei far passare è: non sempre l’istinto, l’impulso, possono essere motori pronti a muoverci nel nostro sentire; certo, l’emisfero destro del nostro cervello va ascoltato senza dubbio alcuno, ma ognuno di noi sente dentro di sé quella vocina sottile, provenire da un luogo lontano ma estremamente vicino, come un warning, lei ci sta indicando il poi, il DOPO, lei sa chi si schianterà al suolo in mille pezzi e chi volteggerà nel cielo blu, l’adrenalina facciamocela amica.

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Geometria applicata.

Resto stranita da come le persone estranee alla mia condizione trovino interessante il bipolarismo, come incuriositi, affascinati, da quello che potrebbe essere la scoperta di una persona diversa ogni giorno.

“Chi si è svegliato con te stamattina?”, me lo chiedo ogni giorno. Intimorita le prime volte, oggi meno, le personalità, gli umori, il mood, chiamiamoli come preferite, ad oggi sono sempre quelli, piuttosto ciclici, ho imparato a suddividerli per macro aree, i cinque postulati di Euclide mi hanno aiutato molto, la geometria applicata non mi è mai stata così utile come oggi, sono punti e sono rette, traccia la linea Fede.

Vi svelo alcuni punti fondamentali da tenere a mente per chi si interfaccia con noi.

La vita dei bipolari è fatta di imprevisti, ecco perché è sempre bene ridurre tutto alla geometria, tracciando linee tra i punti, per capire a quando il prossimo incontro con la personalità della distruzione, fondamentale è giocare d’anticipo, dopo un dato periodo tornerà.

Il bipolare dovrebbe cercare di condurre una vita noiosa, statica, quotidianamente boriosa, per ridurre al minimo le incidenze sulla sua sfera mentale, un imprevisto non calcolato potrebbe anticipare la “maggese” e distruggere il raccolto di un interno anno, lasciandolo senza nulla di cui campare.

Il bipolare però ama auto sabotarsi, perchè la vita noiosa lo devasta; nelle giornate in cui l’adrenalina non gli da pace, eccolo addentrarsi in strade e percorsi pericolosi, dove il sentiero si stringe e il burrone è pronto ad inghiottirlo. Il nostro amico bipo, camminando sulla cresta della montagna si troverà a dover prendere una decisione importante, in base a come si sarà svegliato potrebbe fare una clamorosa retromarcia, rischiando più volte di cadere nel baratro, oppure vestire in panni di un highlander, un superuomo che nemmeno Nietzsche&Co potrebbero permettersi di giudicare, correndo senza freni per quella piccola stradina di montagna arrivando alla cima.

Che poi in cima per quale motivo ci sei finito amico mio bipolare? La verità? Non ve la sa dire, credetemi. Voleva spostarsi dalla sua zona comfort per un capriccio dettato dalla personalità in auge in quel momento, mentre percorreva il sentiero però, l’amico bipo ha cambiato circa 10 personalità (numero indicativo), ed ecco che la persona partita non è la stessa che è arrivata.

Trovate davvero così interessante la sfera emotiva di una persona bipolare? Avete mai provato a chiederle, potendo scegliere, quale delle tante personalità vorrebbe mantenere statica nella vita? Posso rispondervi io, l’apatia, la non emozione, la non emotività, la totale mancanza di movimento chimico nei meandri nascosti del proprio cervello.

Morta praticamente? A livello emotivo, si.

Quando si avvicina il dark side, la notte digrigna i denti, le tempie pulsano per giorni interi, divorandolo dentro. Gli occhi catatonici potrebbero trarre in inganno, mostrando una persona spenta e anaffettiva, tutto frutto di una mente che sta elaborando i pensieri più subdoli e traditori. Le unghie sono quasi sempre divorate o ridotte all’osso, la bocca è serrata e inespressiva, stomaco contorto e schiena ricurva. Potrebbe stare ore seduto sulla poltrona fissando una tv spenta che ha dimenticato di accendere, ascoltare in loop una canzone senza sentirne una nota, sentire il dolore squartarsi dentro, mentre fa la spesa al supermercato o canta una ninna nanna. Parla serenamente, vive giornate normali, beve il caffè, saluta il cane, ma solamente nella sua totale solitudine lascerà avvolgersi dal mantello nero. I bipolari sono premi oscar, in grado di recitare per una vita, solo pochi fortunati possono davvero conoscerli nudi dalle vesti che indossano.

Ne conoscete qualcuno? Nel profondo? Che condivide con voi il bianco ed il nero? Se la risposta è si, lasciate che mi complimenti, chi soffre di questo disturbo studia bene le persone che possono avvicinarsi oltre i limiti, privi di ogni protezione potrebbero polverizzarsi di fronte al minimo raggio di sole, siete persone importanti, li fate sentire liberi, dallo status sociale che si sono cuciti addosso, grazie.

Back in Black

Potrebbe esserci il sole con la pioggia e viceversa, la loro mente è un posto così vasto che non basterebbe una vita per percorrerla tutta, seguite i punti, la retta si traccia man mano.

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C’è della chimica

“Tu chiamale se vuoi emozioni.”

Caro Lucio, io non credo si parli di emozionalità, o almeno concedimi di dubitarne. Sono così terrena e pragmatica che posso attribuire una reazione ad ogni miracolo della vita, partendo dal sentimento più puro dell’amore materno, fino all’odio più infuocato verso chi ci sbriciola.

Diamogli il nome corretto: CHIMICA. Nonostante i miei passi umanisti tra gli scrittori più passionali delle epoche lontane, non posso che dissentire con i loro versi floreali nel parlare dei contatti umani.

Certo che si chiamano emozioni, ma si sviluppano, crescono annaffiate dalla nostra mente, fino ad esplodere come bombe atomiche, spesso sotto forma di malattie psicosomatiche, si tipo quel mal di stomaco che ogni santo mese viene a spaccarci in due, nonostante gli esami siano tutti perfetti, ma quindi.. che cazzo è che mi fa male?

Posso dirtelo onestamente? ti fa male la vita, fa male a tutti, non solo a te, trova un posto dove mettere quell’inquietudine, corri, salta, canta, scrivi, respira, lasciala uscire come le cascate, irruente e impetuose.

Ogni scelta, anche la più banale, è dettata dalla chimica. Sai quella camicia a scacchi rossa e nera che hai appena comprato? Si quella, si chiama chimica. Quella foto su cui continui a tornare perché ci sono due occhi neri che leggono nei tuoi, chimica. Il sorriso di quella ragazza, che ti ha fatto sentire abbracciata nonostante il covid e il saluto col pugnetto, C H I M I C A.

Lo stomaco è quello che mi fotte sempre, sento quella cosa, non so che nome possa dargli, forse non voglio proprio darle alcun nome, perché è così mia che nessuno deve condividerla con me. Sale, mi arriva al petto ed ecco che il respiro si blocca. Calmati Fede, devi solo ricordarti la respirazione che ti hanno insegnato, penso.

Ma lei sale e ride perché, la chimica, quella stronza impulsiva, sa che non ti darà il tempo di fare le respirazioni alla Bruce Lee. Il tuo cuore? Tachicardico si è già impossessato delle tue braccia, che iniziano a tremare ed essere rigide, e poi? beh poi il corpo si difende a suo modo, endorfine a profusione.

Non è malvagia, non spaventiamoci. La chimica è l’effetto. L’effetto che fa annusare i capelli del tuo bambino appena sveglio, profumati di sogni leggeri, l’abbraccio della mamma che anche a 38 anni scalda più del fuoco, la canzone degli Spandau Ballet che ascoltavi da bambina senza capirne una parola, la presenza di qualcuno che ti cura solo con una carezza.

C’è chimica nel silenzio, nella calma piatta, nello sguardo perso, che nasconde tutti quegli scarabocchi neri che tentano di trovar vie di fuga dalla nostra mente.

C’è chimica quando scali le montagne, quando ti tuffi nel mezzo del lago senza vederne il fondo, quando ti completi nel corpo di un altro, quando ti colori la pelle, quando leggi un libro tutto d’un fiato, quando la notte scegli di non dormire.

C’è chimica, perché noi siamo chimica, un mix di ingredienti di cui non è dato sapere la ricetta, gioie e dolori che ci hanno reso quello che siamo, tenuti in piedi da un corpo che è nato solo per sostenerci, e come tutte le cose, sarà la chimica a ricostruirlo, guarirlo o lasciarlo andare, ma solo nel momento opportuno.

Oggi ha vinto il my Dark Side of The Moon, domani saranno cieli tersi.

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Quei cinici auguri glitterati.

Le luci, i fiocchi, il calore delle candele, i dolcetti, quell’atmosfera di pace e leggerezza che si fonde con la neve, i sorrisi, gli abbracci, la famiglia, gli amici, un’infinità di parole che mi vengono in mente quando ripenso a “quei natali”.

Ve li ricordate anche voi? Quei natali dove ci si credeva davvero, quelli che: “tra poco è Natale, basta musi lunghi, pensieri negativi, preoccupazioni, ci penseremo poi”. Quelli in cui avvertivamo una strana emozione la giornata della vigilia, perché, anche se non eravamo più bambini, la notte in arrivo era magica, sempre. Quei momenti in cui nonostante l’anno difficile, qualche brutta esperienza, un amico che ti aveva tradito, un amore finito, una difficoltà lavorativa, sentivamo comunque la magia in arrivo, il tempo del riscatto, la serenità.

Beh si tutto davvero bello il Natale e la meraviglia che lo circonda, ma sento di dover fare uno dei miei outing più invadenti per non compromettere ulteriormente i miei valori pressori già piuttosto alti.

Quale migliore modo per fare outing se non quello di augurare buon Natale a modo mio? Tramite le note della “mia penna”? La penna più cinica e dolorante raggiunta dall’alto dei miei 38 anni?

Lasciatemi iniziare dicendo che vorrei sentire “auguri di buone feste” solo da chi me lo sta augurando davvero, da chi lo dice col cuore, sorridendomi, da tutti gli altri vorrei solamente essere ignorata, avete preso nota?!

Vorrei invece fare degli auguri speciali, di luce e serenità al punto elenco seguente:

  • a te che hai dovuto aprire la porta della tua amorevole casa alla malattia, quella stronza che sta logorando lentamente la persona con cui pensavi di trascorrere lenta la vecchiaia, in pace e silenzio, magari guardando i vostri nipotini diventare grandi. Si, questo augurio è anche per te, perché so che in silenzio la sera quando sei sola, piangi lacrime di sale che bruciano sulle ferite che ogni giorno quella malattia ti infligge,
  • a te che hai accompagnato per mano il tuo papà fino alla fine, stringendolo forte e facendolo sempre sentire amato. Si, questo augurio è anche per te, perché per la prima volta quest’anno dovrai guardare la sua sedia vuota alla cena della vigilia, sarà il Natale più triste e freddo mai vissuto, ti abituerai, anno dopo anno,
  • a te che per eliminare la pesante solitudine nella tua vita, stai facendo grandi sacrifici, intraprendendo percorsi insapori e dolorosi, per lavorare su te stessa nella grande incertezza. Si, questo augurio è anche per te, che la speranza non ti abbandoni mai, nonostante i mesi e gli anni proseguano e non ci siano novità all’orizzonte,
  • a te che mai avresti pensato di poter ricevere quella pugnalata dal tuo amico, si sai di chi parlo. Quello che sembrava essere onesto, fedele e trasparente con te, veniva a cena a casa tua a giocare coi tuoi figli ricordi? Proprio lui, che ha sgretolato la tua fiducia in pochi secondi, gelando la vostra amicizia, onestamente, detto fra noi.. non so se si sia accorto di averti fatto del male. Si, questo augurio è anche per te, perché nonostante questo, so che nella tua prossima avventura non mancherà il tuo forte entusiasmo, lascerai alle spalle quella ferita che, nonostante il male, ti insegnerà che le persone hanno interessi non sempre puliti nei tuoi confronti,
  • a te che passi le giornate impaurita dal tempo che passa, dalla tua bambina che cresce, dalla paura di non poter riuscire. Lo so che la notte ti svegli con il cuore in gola, quella tachicardia che ti toglie il respiro per prosciugarti, purtroppo non credo se ne andrà presto. Questo augurio è anche per te, perché ti diranno che passerà tutto, ma non è così, sono solo bugie dette per farti star serena. Sappi che prima tu imparerai a convivere con i tuoi demoni, prima loro impareranno a lasciarti respirare la notte,
  • a te che non conosci l’umiltà, arrogante e irruento hai camminato per i prati fioriti senza accorgerti del deserto dietro che lasciavi. Ti senti solo ora vera? La verità è che lo sei sempre stato, lo realizzi solo ora perché non c’è più nulla da mangiare sulla tavola e quindi la gente ti ha abbandonato. Questo augurio è anche per te, perché il tuo sarà un Natale molto triste e silenzioso. La storia di Dickens ahimè non esiste, non ci sarà nessuno spirito dei Natali passati, presenti o futuri che verrà a trovarti la notte della vigilia per darti un’altra possibilità, no davvero. Ecco perché sei finito tra le persone a cui mando un augurio sincero, perché, nel caso in cui non ci sia un lieto fine ad attenderti, che sia lieve la tua caduta e che tu possa fingere il più possibile di viverla bene, augurandoti di rimetterti in gioco ancora,
  • a te che sei piccola e indifesa ai miei occhi, che mi commuovi ad ogni carezza. Questo augurio è anche per te, perché la tua mamma impari a capire che stai crescendo, lasciandoti fare qualche passo da sola più serena, abbi pazienza e continua ad accarezzarla, il tempo vi aiuterà a crescere insieme.
“Grazie al cazzo”.

Sarebbe bello, anche solo per un attimo, immaginare la magia del Natale tornare; alleviando la malattia, il distacco per una perdita, colmare la solitudine, curare una delusione, lenire l’ansia, sollevare le angosce e guarire le insicurezze, sarebbe bello davvero, ma il mio cinismo vorrebbe lanciare un messaggio: CAZZATE!!! SONO TUTTE CAZZATE!!! La verità è che sposteremo per qualche ora, in un angolo della nostra mente, tutti questi pensieri tristi, così da poter mangiare in compagnia di chi è consuetudine incontrare durante queste feste comandate, per poi tornare nella nostra realtà e poterci immergere di nuovo nelle piaghe dei nostri pensieri.

Adesso prendo la scopa, spazzo sotto il tappeto tutte le grida del mio cinismo stronzo che vuole rovinarci le feste! Via levati, così che anche per quest’anno io possa fingere che la magia del Natale sia arrivata, quanto meno per gli occhi incantati della mia bambina che merita di vivere questo momento glitterato come se davvero esistesse. Saranno poi le persone e le esperienze dolorose purtroppo, a darle modo di riflettere e capire che i glitter sono belli ma servono solo a coprire delle crepe, troppo visibili al naturale, della vita.

Fedy_On_This_Christmas