Il vaso nero.

Come dev’essere alzarsi al mattino e non essere più libere, costrette a coprirci sotto pesanti veli che nascondano anche il nostro viso, non autorizzare ad uscire di casa da sole, private della possibilità di studiare, di poter lavorare o parlare previa autorizzazione dell’uomo di casa?

Non è il medioevo, non è nemmeno una realtà troppo lontana, è quello che stanno affrontando le donne e le bambine nella nuova Kabul, il ritorno ad una vita di divieti, negazioni, prigionia, possessione, silenzio.

Negli ultimi vent’anni, la vita delle donne afgane è davvero cambiata, tolto il regime talebano che le voleva prigioniere, hanno finalmente potuto assaggiare una qualità di vita nuova.

Le bambine, le donne hanno iniziato a studiare, acceso la radio e ascoltato la musica, hanno tolto il burqa lasciandosi solo il velo, hanno iniziato ad uscire da sole durante il giorno, hanno scelto anche di lavorare, hanno scelto cosa fare della loro vita, per una volta nascere donna non era più un male.

Nelle ultime settimane, i talebani cacciati nel 2001 dalla coalizione di stati che vedeva a capo gli USA, hanno ripreso il controllo. Questa coalizione avrebbe dovuto instaurare un regime democratico capace di ricostruire l’Afghanistan fino al giorno in cui avrebbe lasciato il paese. Non so dire nella mia ignoranza l’elenco dei mille motivi per cui questo non ha funzionato, so solamente che è stato un fallimento di proporzioni epocali. Appena gli americani hanno iniziato ad andarsene, i talebani, che nel frattempo non hanno mai smesso di crescere e prepararsi al gran giorno, si sono ripresi Kabul, annunciando la rinascita dello stato islamico.

Si sono fatti strada massacrando il popolo, hanno rapito tantissimi bambini maschi per addestrarli alla guerra, assassinato donne per il loro abbigliamento, torturato e ucciso artisti, musicisti, assassinato il capo della cultura e dei media per il governo, VENDUTO BAMBINE E DATE IN SPOSE ANCORA MINORI A UOMINI ANZIANI, sfollato centinaia di famiglie e appeso nelle piazze tutti gli uomini uccisi.

Questo è il ritorno dei talebani, la soppressione della cultura, dell’arte, del musica, ogni donna sarà nuovamente spogliata di ogni suo diritto, rinchiusa nell’ombra della casa, di nuovo schiave del loro regime. Bambine che fino a pochi giorni fa andavano a scuola, si ritroveranno mogli a nove o dieci anni di vecchi che le violenteranno per aver figli non appena saranno fertili, coperte nel loro burqa, prigioniere eterne di quel velo pesante.

Ho chiuso gli occhi per un attimo, immaginando la mia vita se fossi una di loro, ho 38 anni, lavoro e scrivo, una figlia di due anni e un marito, siamo di religione cattolica. Considerando la mia indole ribelle sarei probabilmente già stata uccisa, mia figlia rapita per darla poi a qualche vecchio militare che, appena crescerà un po’, la farà sua moglie, e mio marito, dopo essersi convertito all’islam per non essere ucciso, verrebbe mandato in qualche campo di concentramento a lavorare. Provate a fare la stessa cosa anche voi, guardate negli occhi i vostri bambini e immaginate che vita li attenderebbe.

Un’immagine mi ha trafitto qualche giorno fa, una bambina dai capelli arruffati, lo sguardo impaurito, tra le mani il suo giocattolo, vicino a lei suo marito: un militare dalla barba bianca, di almeno 40 anni più grande, impugna fiero tra le mani il suo fucile e la tiene per il braccio, è sua, di sua proprietà; impossibile non immaginare il volto di mia figlia, una bambina come lei.

Ho letto un articolo del Guardian, di una donna afgana a Kabul:

“Ho lavorato per così tanti giorni e così tante notti per diventare la persona che sono oggi, e questa mattina, quando sono arrivata a casa, la prima cosa che io e le mie sorelle abbiamo fatto è stata nascondere i nostri documenti di identità, i nostri diplomi e certificati. È stato devastante”.

Dobbiamo spostare le montagne per loro, scuotere la terra, muoverci, far sentire il loro grido, una ad una verranno nuovamente coperte, nascoste e messe in silenzio a costo della loro vita. Non stiamo fermi di fronte a questo massacro, non fingiamo di non vedere, siamo tutte donne afgane, scuotiamo i nostri cuori e condividiamo la loro condizione.

Aiutiamole, il loro silenzio obbligato non può essere anche il nostro.

“Forse perché i nostri desideri sono cresciuti in una pentola nera..

Forse perché i nostri sogni sono cresciuti in un vaso nero”

#taliban #afghanistan #war #peace

Shamsia Hassani

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Il sassolino nella scarpa.

C’è qualcosa che ci spinge ad andare oltre i limiti imposti, qualcosa che ci porta fuori dal perimetro di comfort per avere la tanto agognata risposta, per noi e per tutti quelli che stanno cercando una speranza a cui appigliarsi.

Cosa succede se funziona? Cosa succede se ci riusciamo? Beh, se siamo fortunati veniamo solamente ignorati. Invece se facciamo parte di quella percentuale scomoda allora sono cazzi.

Sono cazzi perché siamo come la spina nel fianco, come quel sassolino nella scarpa che continuamente ci punzecchia il tallone, invano si cerca di toglierlo usando il dito o un qualsiasi strumento di fortuna, ma il sasso è ancora li che punge.

Ecco credo che un po’ a tutti nella vita sia capitato di essere quel sassolino, scomodo, appuntito, piccolo ma sempre presente. Le strade a mio avviso sono due, la prima, la più tranquilla e sicura; cercare di infilarsi in quel bordo tra suola e tomaia, rendersi il più invisibile e innocuo possibile, forse durante qualche movimento improvviso ci si potrà sentire ancora, ma col tempo e coi movimenti continui, i nostri angoli si andranno via via ad usurare, fino a diventare rotondi e sempre più piccini, certo saremo sempre li, ma la nostra presenza sarà finalmente messa in un angolo, ignorata, conformata all’uso della scarpa.

La seconda strada ahimè è la peggiore che si possa scegliere, quella più coraggiosa si, ma anche pericolosa, da sassolini appuntiti quali siamo, continuiamo il nostro processo di vita, muovendoci all’interno della scarpa, punzecchiando il proprietario in ogni modo possibile, tanto da rendergli via via ogni movimento sempre più complicato. Star fermi e nascondersi? Mai e poi mai, siamo li per un motivo preciso, cambiare il senso delle cose, farci sentire, farci notare, specialmente da chi vuol continuare a far finta che la nostra presenza non esista.

A quel punto arriva l’inesorabile resa dei conti, si perché in quanto sassolini siamo piccoli, molto molto piccoli, e un sassolino da solo cosa può fare di fronte al grande gigante che porta quelle scarpe in cui abbiamo scelto di metterci?

Farà quanto gli è possibile per continuare la sua strada ignorandoci, ma siamo stati così bravi e decisi che gli è impossibile, ha provato con un dito, ha smosso la calza, ma niente noi ci siamo ancora; impaziente e nevrotico è costretto a fermarsi a causa nostra.

Si leva la scarpa frenetico per cercarci “maledetto sassolino che mi hai bloccato, adesso ti faccio vedere io chi comanda in questo mondo, IO comando, IO che sono GRANDE”. E così, dopo averci trovato e preso tra le dita, ci lancia, lontano, molto lontano, fino a renderci innocui.

La sapevate anche voi la storiella di questo sassolino? Pensare la conosco da sempre, oggi con le stesse parole elementari che ho scelto per scriverla l’ho raccontata alla mia bambina, semplice così, chiara.

Contro il sistema non si vince, ma quei sassolini fanno sempre un gran rumore, sta a noi ascoltarli.

Grazie sassolino.

SIAMO TUTTE SAMAN.

Come ho fatto in altri casi simili che hanno a che fare con la violenza sulle donne, ho lasciato passare qualche giorno per metabolizzare la notizia, sviscerarla, comprenderla e farla mia nel rispetto di lei, l’ulteriore vittima, Saman.

In questo ultimo weekend mi sono presa il tempo necessario per salutarla, scrivendole qualcosa, sperando che sia l’ultima volta, ma certa che non sarà così.

Saman era una giovane ragazza pakistana colpevole di aver scelto la libertà anziché un matrimonio combinato, credo ormai sia nota a tutti la storia, quello che invece non mi sembra chiaro, ascoltando un qualsiasi talk show italiano, è il reale mandante di questo femminicidio, perché di questo si tratta.

Quanti uomini ho sentito strumentalizzare questa notizia incolpando l’islam, la “loro” cultura, le femministe di sinistra troppo assenti, ridicoli, tutti.

Credo sia poco opportuno parlare della loro cultura, consideriamo prima la nostra che, nonostante predichi il rispetto sacro santo della donna, tanto diversa non è. Vi dirò una cosa, il colpevole dell’omicidio di Saman è lo stesso che ogni giorno uccide le donne italiane, colpevoli di essersi ribellate al “loro” padrone: la violenza patriarcale.

Il mandante non è quindi un fenomeno “islamico”, ma la cultura in cui viviamo che si manifesta in qualsiasi posto, in qualsiasi tempo, in qualsiasi modo, attaccandosi a motivazioni religiose, politiche, civili, TUTTE CAZZATE per legittimare un omicidio.

Smettiamola di parlare di “loro” cultura o di “nostra”, di buona o di cattiva, esiste solamente il patriarcato radicato in maniera trasversale in tutte le popolazioni, che viene chiamato, a seconda delle necessità, con nomi diversi per mascherarlo.

Cosa possiamo racchiudere all’interno del fenomeno PATRIARCALE?

L’uccisione di Saman, la violenza su una coppia gay che si bacia alla stazione, l’omicidio di una donna che vuole il divorzio, un uomo che uccide il fidanzato della sorella per il fatto che sia una persona transgender, un ex marito che uccide la ex moglie e il nuovo compagno, un padre che picchia la figlia perché non rispetta i suoi comandi. VIOLENZA APPARTENENTE ALLA STESSA MATRICE.

Nell’ultima settimana mi sono sforzata di ascoltare il pensiero di tanti esponenti politici presenti in varie trasmissioni, per valutarne il punto di vista, conoscerne le opinioni. Sono rimasta veramente sorpresa da come sia stato raggirato il fatto, additando le culture diverse dalla nostra, come se l’unico scopo mediatico fosse quello di uno scontro tra mentalità occidentale e orientale.

Vorrei anche aggiungere un particolare non indifferente, nessuna religione obbliga ai matrimoni combinati, tantomeno l’islam. Regole di vita come queste vengono solitamente adottate da comunità dove regna sovrana la non scolarizzazione, la povertà, la ristrettezza culturale e sociale, gli unici ambienti in cui è possibile possedere la donna come merce di scambio.

Queste poche righe solo per dare il mio ultimo saluto a quella ragazza che voleva essere libera, rendendole giustizia nel modo in cui so farlo io, ricordando a tutti che non è stato l’islam il suo assassino, ma il patriarcato.

Ciao Saman, vorrei davvero fossi l’ultima, la verità è che viviamo ancora in una società dove l’ex marito cattolico ammazza l’ex moglie e il padre islamico ammazza la figlia. SIAMO TUTTE SAMAN.

Victim blaming: quando la vittima viene colpevolizzata.

In questi giorni siamo bombardati da articoli, informazioni e meme legati a quell’infelice video di Beppe Grillo in difesa del proprio figlio accusato, ancora due anni fa, di stupro. L’immagine che ho davanti, ogni volta che vedo la registrazione, è di un uomo emotivamente provato, visibilmente instabile che, nelle vesti di padre disperato, cerca di difendere il proprio figlio, nel modo meno opportuno, facendo del victim blaming.

Iniziamo dicendo che è un insulto verso tutte le donne che un’accusa di stupro sia ancora aperta dopo due anni, questo per ricordarci come ci siano due pesi e due misure ogni volta che si tratta di generi diversi, detto questo, lo scopo di oggi è quello di spiegare in parole povere cos’è il victim blaming, un comportamento così standard e ancorato nella nostra società che viene ritenuto normale.

Definiamo victim blaming quel meccanismo tale per cui la vittima di violenza (in qualsiasi forma) diventi a sua volta la colpevole dell’accaduto, arrivando così a scagionare e giustificare il solo ed unico responsabile del reato. Un fenomeno che si sparge a macchia d’olio nella collettività, mettendo in moto dei retaggi culturali maschilisti che tendono inevitabilmente a difendere il carnefice con un “se l’é cercata”.

Alla base di tutto c’è sempre e solo lei, la nostra società patriarcale, maschile, sessista fatta di chiusure mentali, fare tardi la sera, bere alcolici, vivere la sessualità senza inibizioni, sono abitudini normali per gli uomini, ma non per le donne. Motivo per cui se un uomo decide di oltrepassare certi limiti, è solo perché la donna con lui non è stata abbastanza prudente, capace di tenersi lontana da certe situazioni.

E’ tendenza comune e generale nella società, attribuire parte della colpa alla vittima, colpevolizzandola, creando una sorta di filiera solidale nei confronti di chi ha commesso il reato, fino a normalizzare il comportamento. Ecco uno dei motivi per cui la maggior parte delle donne che subisce violenze tende a non denunciare, a non far sentire la propria voce, proprio perché il più delle volte vengono giudicate loro, le vittime, anziché i veri colpevoli. Aggiungo anche che sono molte le donne che, anziché difendere la propria simile, le puntano il dito contro, cattiveria? No assolutamente, la definirei piuttosto paura di subire la stessa sorte, ma anche l’illusione di poter evitare situazioni simili mantenendo il controllo, mettendo in atto comportamenti prudenti che possano garantire una maggiore sicurezza. Un’illusione direi, perché tutti gli atti di violenza sono causati sempre e solo da un carnefice, dobbiamo farci entrare nella testa che la vittima è solo una vittima, da tutelare e proteggere.

Ci troviamo ancora al punto in cui, per la vittima, risulta più semplice il silenzio, la vergogna prende il sopravvento, è troppa la paura di venir prese di mira. Chi ha subito questo reato ha la tendenza a giudicarsi e colpevolizzarsi per l’accaduto, se poi pensiamo a cosa le aspetta raccontando tutto pubblicamente, come biasimare il suo silenzio?

Dichiarazioni come quelle di Beppe Grillo andrebbero condannate, punite, proprio perché accentuano e puntano il dito contro la vittima che ha avuto il coraggio di denunciare. “Sono ragazzi e si stavano divertendo” urla contro la telecamera, e un brivido mi percorre la schiena pensando a mia figlia, una forma di divertimento probabilmente percepito solo dai ragazzi presenti in quella stanza, perché di come si sente lei, nessuno se ne cura. “Il giorno dopo era a fare kyte, e ha denunciato 8 giorni dopo, non vi sembra strano?” continua Grillo; no io non lo trovo strano, anzi, capisco sempre di più perché la tendenza di una vittima sia quella di far finta che vada tutto bene, che nulla sia successo, per evitare assalti verbali come quelli fatti da questo padre famoso che sfrutta la sua forza mediatica durante un processo il figlio.

In un mondo migliore, si potrebbe prevenire questo comportamento, cercando di lavorarci da subito, all’interno della famiglia, nelle scuole, sulla sfera emotiva ed anche quella educativa, le donne dovrebbero smettere di giudicare le altre donne, cercando invece di sostenersi. Tutti noi dovremmo smettere di farci manipolare da questo fenomeno sociale, vivere in modo paritario le nostre libertà non può essere un attenuante di fronte ad una violenza di qualsiasi genere.

L’arma più potente contro il victim blaming è il NON GIUDIZIO, l’ascolto e la comprensione, non lasciamo sole le vittime.

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Rispettiamo ogni forma d’amore.

Sono nata donna, discriminata e in quanto tale appartenente ad una minoranza. Abituata a stare in silenzio, perché così mi è stato insegnato, non si parla o non si risponde quando un uomo parla o da disposizioni. Ho conosciuto ben presto l’ingiustizia, quello che viene applicato su di me non è applicato sui miei colleghi maschi. Ho imparato che in quanto donna ho un salario più basso, ma devo lavorare il doppio per essere considerata al pari degli altri.

Conosco la discriminazione, so cosa significa appartenere ad una minoranza, essere femministe coinvolge il sostegno e il supporto verso ogni diversità, ecco perché oggi voglio parlare dell’importanza del DDL ZAN, un provvedimento che, se approvato, istituirebbe il carcere per chi commette atti di discriminazione fondati sul sesso. sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o su qualsiasi disabilità.

A novembre 2020 il ddl viene approvato alla camera, ma bloccato poi al senato dalle forze di centro destra e lega ritenuto non prioritario di fronte all’emergenza Covid. Ovviamente, la pandemia ha una posizione molto importante in questo nostro momento storico, ma a quanto pare non è sufficiente a fermare le aggressioni omofobe alle stazioni ferroviarie, per dirne una, motivo per cui, se un uomo si sente in diritto di menare due ragazzi che si baciano, credo sia prioritario trovare delle pene per chi non rispetta l’amore.

Cosa prevede questo DDL? Innanzitutto come detto sopra è atto a contrastare le violenze e le discriminazioni basate su genere, orientamento sessuale, disabilità, tutte caratteristiche che chiamerei di “diversità”, che non vuol dire sia contro natura, come direbbe un qualsiasi politico di destra sui 50anni con il rosario in mano. Per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di un soggetto che sia conforme o meno alle aspettative sociali connesse al sesso, per orientamento sessuale si intende attrazione (affettiva o fisica che sia) nei confronti di persone di sesso opposto o uguale. Per identità di genere, UDITE UDITE, si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al reale sesso della persona. Vale a dire: lasciar libere le persone di essere e sentirsi bene nei panni che ritengono opportuni.

Esiste già una legge costituzionale contro la discriminazione, come ha fatto presente la destra italiana, ma non è specifica e riguardante le questioni sopra citate. E’ necessario nel 2021 dare un segno di movimento verso il futuro, di accettazione, di apertura mentale che possa far capire ai mediocri omofobi che il mondo li sta lasciando indietro, che ogni forma d’amore va tutelata.

Tra le novità di questo provvedimento è prevista la reclusione in carcere per chi viola questi diritti o multe salate per chi commette atti discriminatori. E’ prevista anche l’istituzione di una giornata nazionale contro l’omofobia, il 17 maggio, dedicata alla promozione della cultura del rispetto dell’inclusione delle diversità, il contrasto dei pregiudizi e delle discriminazioni. Le scuole dovranno inserire programmi di sensibilizzazione verso queste discriminazioni e sappiamo bene quanto sia importante partire dai bambini, ancora puliti e sereni verso il mondo, che dovranno poi lottare contro tanti genitori bigotti e chiusi mentalmente.

Tutelare i diritti di tutti non va a ledere le nostre libertà, non dobbiamo avere paura di chi è diverso da noi, ma lasciarci arricchire. Rispettiamo ogni forma d’amore, discriminiamo la violenza.

I diversi sono quelli che discriminano. Sosteniamo il disegno di legge contro la omotransfobia.

Lo spazio che meritiamo.

Iniziamo con un luogo comune, dirlo, ripeterlo, potrebbe solo aiutarci ad assimilare il concetto: le donne ai vertici, di qualsiasi attività, sono sempre molto poche rispetto agli uomini.

Chi di loro riesce ad arrivare ai vertici deve rispettare standard molto elevati: essere impeccabile, eccellente, perfetta nel ruolo affidato e il più delle volte dormire a fatica per la responsabilità che si sente addosso, per il pensiero di mantenersi tale. Ci avete badato invece a come sono gli uomini agli stessi irraggiungibili (per noi) vertici? Sono NORMALI, sono esseri umani a cui è anche concesso un errore ogni tanto, pochi sono gli impeccabili ed eccellenti, sono persone qualsiasi, alle volte con una lunga lista di difetti, a cui non viene richiesto “di essere qualcosa” in più rispetto al loro limite.

Aggiungiamo anche che spesso, questi uomini, sono arroganti, sicuri di se, certi di meritare a pieno quel ruolo. Capaci di guardare tutti dall’alto verso il basso, non sanno cosa sia l’umiltà, non conoscono la fatica di affermarsi e di raggiungere obiettivi con i bastoni tra le ruote, non sanno cosa vuol dire fare di più del dovuto per essere riconosciuti, perché in quanto uomini non hanno nulla in più da dover dimostrare, a differenza nostra.

Ci pensate ad una donna in una posizione importante nelle sue vesti “normali”? Ecco, il fatto è proprio questo, e per spiegarlo mi riallaccio alle famose pari opportunità che ancora suonano come barzelletta alle mie orecchie. Per quale motivo a me viene richiesto il doppio lavoro, il doppio della fatica, sacrifici familiari ecc.. per poter raggiungere un ruolo importante?

E’ possibile avere le stesse opportunità date agli altri? Possibilità di essere ai vertici in modo normale? Senza dover sputare sangue ad esempio? Le donne che sono arrivate in alto hanno dovuto mettere da parte davvero tanto, fare scelte dolorose per dimostrarsi “degne”, sacrifici così grandi da far piangere nella solitudine della sera. La donna che arriva in alto deve essere la migliore, solo eccellendo può ambire a un ruolo “maschile”, perché si un qualsiasi ruolo di dirigenza è ancora considerato da uomo.

L’Italia è invasa da uomini che occupano posizioni di potere, di privilegio, basti pensare al nostro parlamento, il presidente del consiglio, il presidente della repubblica; oppure possiamo guardare anche alle più piccole realtà, le aziende dove lavoriamo, il nostro comune, la nostra provincia, quante donne vedete ricoprire ruoli di potere? Diciamo poche o quasi nessuna? Direi di si. L’Italia, per i suoi pregressi storici, è uno dei paesi più retrogradi relativamente al ruolo della donna nella società, siamo ancora una minoranza in termini di istruzione e lavoro, è ancora normale che una donna, dopo essere diventata mamma, lasci il lavoro perché incompatibile con l’esigenze dei bimbi. L’Italia è ancora un paese che non tutela la figura della donna o della mamma, perché nelle posizioni di potere ci sono quasi sempre solo uomini, che non conoscono queste fragilità e neanche si prestano a capirle.

Non c’è vittimismo in questo discorso, solamente realismo di fronte alle diverse opportunità che ci vengono date, noi abbiamo bisogno di spazio in questa società, la nostra lungimiranza, la nostra intelligenza mixata con la sensibilità che tanto ci viene criticata, sono doti molti utili e preziose nel mondo in cui stiamo vivendo, pieno di diversità e fragilità che, un uomo, non essendo mai stato fragile o in minoranza, non potrebbe mai vedere.

Smettetela di chiederci di essere eccellenti nel ruolo che ricopriamo, quando intorno a noi ci sono solo uomini che svolgono le loro mansioni in modo normale, lasciateci essere come siamo, senza pretese extra solo perché siamo donne e siamo arrivate in un posto che “solitamente” è impegnato da una desinenza maschile.

Siamo un bene prezioso, lasciateci essere parte attiva in questa società, vogliamo l’opportunità di essere normali anche noi.

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Cerca di capire.

Continuo il mio attacco verso gli stereotipi di genere, oggi in particolare vorrei cercare di dissociare dalle nostre menti la formula algebrica tale per cui DONNA=MISERICORDIA x COMPRENSIONE INCONDIZIONATA.

Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato chiesto di CAPIRE, beh lasciatemi dire che ho una novità, la risposta è NO, non cercherò più di capire nessuno, fintanto che qualcuno non farà lo stesso con me.

Quale sarà mai il significato nascosto tra le righe quando qualcuno ci chiede di CAPIRE? Il non detto in questa frase è la richiesta di farsi da parte, accantonare le proprie idee, i propri principi per evitare litigi, incomprensioni; non solo, aggiungerei anche: mettersi da parte significa lasciare spazio a qualcuno che non siamo noi. Tutto questo fatto nel nome del quieto vivere, della pace, della non rivoluzione. Accettazione, comprensione e misericordia: LA DONNA.

Lo stereotipo della donna comprensiva, benevola, amorevole, ragionevole, tranne in quel periodo del mese in cui, causa turbinii ormonali, diventiamo delle bestie di satana. Questa è la nostra veste che ci è stata cucita addosso.

Le donne devo cercare di capire, perdonare il primo insulto, il primo schiaffo, la prima violenza verbale, fisica, economica, psicologica che sia.

“Cerca di capire, è stanco, stressato sul lavoro” – “La situazione è snervante, manca il lavoro, bisogna capirlo” – “cerca di capire che non era sua intenzione, è stato un raptus di rabbia”.

Sapete chi pronuncia frasi di questo genere il più delle volte? Le forze dell’ordine che vengono coinvolte dalla donna che sta subendo violenza domestica, le persone esterne che non vogliono mostrare crepe nella famiglia, cercando di riappacificare i due coniugi. Preciso: non lo dico io, lo dicono tutti i dati raccolti dai centri anti violenza. E’ sufficiente anche leggere o ascoltare qualche fatto di cronaca per capire che la maggior parte dei femminicidi ha sempre una denuncia o una tentata da parte della vittima che, come sempre, non è stata presa sul serio come doveva.

In generale, è tempo che ognuna di noi smetta di cercare di capire, io personalmente vorrei togliere negli altri questa aspettativa nei miei confronti, togliermi soprattutto di dosso lo sguardo perentorio di chi mi sta chiedendo di farlo, facendomi sentire sbagliata perché questa volta ho detto no.

Troppe volte ci è stato chiesto di capire, mandando giù l’ennesima fatica per non rompere degli schemi, per fare da collante, per addolcire la pillola. Siamo qui per perdonare, compiacere o assecondare solo le nostre emozioni, solo noi. Non ci deve venir più chiesto di farlo in favore di qualcun altro, in nome di uno stereotipo che ha spento tante donne costringendole al silenzio in un angolo buio di una casa.

Rompiamo gli schemi, ascoltiamo la fiamma che ci brucia dentro.

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LOTTO MARZO

Solo negli ultimi anni la “festa della donna” ha cambiato volto e nome, diventando la GIORNATA INTERNAZIONALE PER I DIRITTI DELLE DONNE, definirla festa era piuttosto inappropriato. Un cambio per identificare, ricordare e ringraziare in questa giornata tutte le donne che hanno lottato per ottenere conquiste in campo sociale, politico, economico e di genere per noi donne.

L’agghiacciante figura di Renzi impegnato ad intervistare il principe saudita, mi ha dato l’idea per il testo da scrivere su questo otto marzo; ho chiesto la collaborazione di una mia cara amica di origine saudita, che da diversi anni vive nel nostro paese, scappata dal paese con la famiglia. Caro Renzi, sarebbe bello se per la prossima geniale intervista ti dedicassi a far parlare donne come lei, spesso obbligate per legge al silenzio, all’ombra del loro proprietario, anziché riempirti la bocca di grandi complimenti verso uomini spietati, in aggiunta mandanti di omicidi comprovati.

Quello che vado a scrivere, non è nulla di personale, non opinioni, non giudizi o pareri, solo una lista di diritti che noi donne occidentali possediamo e diamo per scontati, mentre le nostre sorelle saudite non hanno ancora, nulla di criticabile, solo una raccolta di informazioni.

  • iniziamo dicendo che ogni donna ha un tutore, un uomo: marito, fratello, papà, zio, la figura più vicina che vive in casa con lei. La donna appartiene all’uomo con cui vive, insieme alla casa e al resto dei suoi possedimenti,
  • in questo paese le donne possono svolgere solo alcune mansioni e attività in modo autonomo, per la maggior parte necessitano del consenso scritto o orale del tutore,
  • una delle ultime vittore delle femministe saudite è arrivata nel 2017: la possibilità di trovarsi un lavoro senza il bisogno del nulla osta dell’uomo,
  • le donne non possono interagire con alcun uomo esterno alla cerchia familiare, quindi ad esempio: se una donna subisce violenze tra le mura domestiche e vuole denunciare il marito; può farlo, recandosi dalla polizia con il marito, suo tutore. La donna non può parlare con il poliziotto, è solo il marito che può farlo. (L’Arabia è uno dei paesi con meno denunce di violenza domestica in assoluto, e credo sia ben chiaro il perché),
  • entrando in un ristorante ci sono due aree: quella delle famiglie con donne e quella di soli uomini, questo perché durante un pranzo ad esempio, una donna dovrà levarsi il velo per mangiare e non è rispettoso farlo davanti ad altri uomini,
  • prima del 2018 un autista di un mezzo pubblico, poteva rifiutarsi di far salire una donna da sola, questo perché era immorale vedere in giro donne sole senza accompagnatori. Nonostante questo, se una donna vuole prendere il treno in autonomia, può farlo solo nella capitale e occupando l’ultimo vagone riservato a loro; se volesse per qualche motivo sedersi da un’altra parte, deve essere presente il tutore,
  • la parola di un uomo vale almeno due volte quella della donna, immaginate durante un processo, quanto può valere la testimonianza di una donna, spesso e volentieri non vengono nemmeno ascoltate,
  • in caso di eredità la donna percepisce metà dei suoi fratelli, mentre in alcune zone rurali viene completamente esclusa,
  • una donna saudita può sposare solo uomini musulmani, in caso contrario esiste tutta una procedura da seguire tramite il ministro degli esteri. Se vuole sposarsi per amore, quindi non utilizzando la formula standard in uso di matrimonio combinato, avrà bisogno prima del consenso scritto del padre. L’Arabia Saudita è uno di quei paesi dove una ragazzina di 12 può sposare un uomo anche di 70 se i genitori glielo impongono,
  • esiste anche il divorzio, per lo più perché richiesto dagli uomini, da pochi anni le donne hanno ottenuto di essere almeno avvisate nel caso in cui il marito chiedesse la separazione; negli anni precedenti era lecito procedere in silenzio senza coinvolgere la moglie.

Questi sono alcuni degli aspetti legati ai diritti delle donne saudite, uno in particolare non ho toccato perché saranno le parole della mia amica farlo: “Appena arrivati qui mi faceva strano vedere tutte queste donne con il corpo non coperto, mia madre ha iniziato da pochi anni a togliere il velo dal volto, da quando ha visto in me la capacità di vivere bene e serena negli abiti comuni degli occidentali. Mia nonna diceva sempre che coprirci era la nostra forma di protezione dagli uomini cattivi, evitare di mostrare una qualsiasi parte del nostro corpo ci tutelava dalle loro violenze.”

Da alcuni rapporti di Amnesty International le donne saudite continuano a subire discriminazioni, violenze ed abusi sessuali impossibili da denunciare per i motivi spiegati sopra. Ogni anni a causa di queste condizioni, sono tantissime le donne che cercano di fuggire dal paese, dalle violenze e dai soprusi; purtroppo sono in poche quelle che ce la fanno, la maggior parte viene catturata, fermata e ripudiata dalla famiglia, vivendo nell’oblio più totale.

Alcuni diritti sono stati raggiunti grazie alle lotte continue delle femministe, ma tante di loro sono state incarcerate e fatte sparire, si anche dal caro principe saudita amico di Renzi.

Ringrazio la mia amica per avermi concesso queste poche righe, non abbiamo detto nulla di che, tutte informazioni reali sui diritti delle donne in un paese diverso dal nostro.

Vorrei dedicare questo articolo a tutte le donne che hanno perso la vita per la lotta, tutte quelle che sono state catturate, imprigionate, picchiate, messe a tacere, solo perché volevano PARI DIRITTI. IO LOTTO.

Grazie.

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Anche gli uomini possono piangere.

Il mio è un blog prettamente di tematiche “femminili” questo perché mi prendo la libertà di parlare di cose che conosco, eviterei argomenti diversi che potrebbero innescare discussioni, lo devo già fare per lavoro, qui ho scelto di evitare, dedicandomi solo ad argomenti che hanno segnato la mia pelle.

La società patriarcale, maschile, in cui viviamo è un aspetto di cui ho scritto spesso perché ha ampiamente modificato la mia e nostre vite e i nostri usi, ma stavo dimenticando di parlare di un’altra vittima, oltre a noi donne, che alle volte, sta forse peggio, sto parlando dell’uomo.

L’uomo è stato ed è tuttora danneggiato costantemente dalla società, se noi siamo stereotipate in un modo, loro lo sono in un altro; facciamo qui di seguito una lista delle caratteristiche basic che DEVE possedere un uomo, per definirsi tale, secondo il non detto delle nostre abitudini:

  • un vero uomo deve essere sicuro, spavaldo, testa alta, sempre pronto a guardare negli occhi l’altro, mai abbassare la guardia,
  • deve essere, sempre pronto a reagire, non può lasciarsi sfidare senza incalzare a sua volta,
  • è un uomo non emotivo, non prova emozioni, quanto meno quelle sinonimo di debolezza o sofferenza,
  • è un uomo invincibile, indistruttibile, forzuto, violento, un aizzatore delle folle, un esempio perfetto è il buon vecchio Trump, o anche il nostro Mussolini per stare nel nostro territorio. Uomini di “questa portata” trasmettono fiducia e serenità, con loro a fianco non dobbiamo preoccuparci di nulla,
  • possiede una mascolinità obbligatoria, è maschio in ogni sua movenza, deve esserlo, per non perdere credibilità, è molto virile sempre.
  • non piange e non è in grado di capire nessuna creatura al di fuori del suo ego, non entra in empatia con altre persone,
  • il vero uomo gioca sempre con malizia, il sesso è il suo pensiero fisso, in quanto essere dominante in veste di promotore della specie,
  • la donna al suo fianco deve essere esseri ubbidiente, silenziose, moderate, femminile e intrattenitrice, un passo indietro,
  • non possiede lati vulnerabili,
  • in ultimo non chiede mai aiuto, prima di tutto perché non ne ha bisogno, e in secondo luogo, perché sono le persone fragili a chiederlo.

Questa lista di stereotipi è una sorta di vademecum che viene, in modo tacito, considerata essenziale per potersi sentire uomini in questa società. Inutile dire che stress può portare il dover rispettare criteri di questo tipo, ecco infatti, la così definita mascolinità tossica, vale a dire quest’insieme di caratteristiche, fissate nel medioevo che, chi non condivide o non si sente di voler soddisfare, verrà additato come diverso.

La società insegna a sopprimere le emozioni più delicate, il pianto, la paura, portando, a lungo termine, problemi di natura psicologica. Basti pensare ai genitori che, di fronte al figlio maschio in lacrime per un giocattolo, lo intimano a smettere dicendo: “non vedi che piangi come una femminuccia?”. Perché i genitori si impegnano così tanto ad insegnare al figlio maschio che il pianto, sinonimo di fragilità, è qualcosa solo di femminile? Perché non possiamo insegnare ai nostri bambini che piangere è semplicemente umano e va fatto quando ne sentiamo il bisogno?

Al bambino viene “inculcato” un modo di vivere ben preciso etichettando tutti gli atteggiamenti femminili come fragili e sbagliati, mentre vengono caldamente promossi tutti i comportamenti che faranno di lui un maschio alfa.

Il maschio basic cresciuto nei canoni imposti sarà violento, omofobo e misogino, per scacciare tutto quello che non deve far parte di lui, conosciuto come diverso. Non a caso, chi vive un’infanzia rigida in cui viene impartito il non pianto, la non emozione e il comportarsi da uomo vero, avrà poi affinità con la violenza fisica e verbale tra le mura domestiche nei confronti di chi vive con lui e non “sta al proprio posto”.

Ho ben chiaro davanti ai miei occhi, esempi noti a tutti di uomini veri, la storia infatti ci insegna vicende di guerrieri, invincibili, senza pietà che distruggono e vincono con la violenza. Mi viene in mente il concetto di superuomo che ci ha regalato Nietzsche, guarda caso poi strumentalizzato dal nazionalismo tedesco con Hilter, valido esempio come altrettanto lo è Mussolini, di uomini il cui il concetto di forza e virilità estrema li ha portati al distacco dalla realtà e natura umana da credersi invincibili. Uomini che hanno vissuto come degli highlander capaci di ogni, onnipotenti, con una lista infinita di amanti, ognuna meno importante dell’alta, tronfi, dall’ego smisurato che, nonostante gravi disturbi di salute, non hanno mai voluto mostrare al mondo le loro fragilità, per non intaccare la loro immagine di super uomini.

Vi ho fatto esempi estremi e malati, lo so bene, ma il mio scopo è quello di farvi capire fino a che punto può portare una malattia, perché di questo si tratta, come la mascolinità tossica.

Siamo esseri umani dotati di caratteristiche simili, sofferenza, fragilità, tristezza espresse sotto forma di pianto, dovrebbero entrare a far parte del nostro quotidiano, lasciando liberi gli uomini (intesi come maschi) dalle catene della non emozione.

La prima cosa che viene chiesta ad un bambino, appena uscito dall’utero della madre, è di piangere, come “conferma” del fatto che sia vivo, piangere è vita. Per quale motivo poi, durante il resto del cammino si tende a isolare gli episodi di pianto nei bambini maschi? Sento ancora troppo spesso genitori dire ai figli che piangono solo le bambine, questo perché è un luogo comune che spesso e volentieri diciamo sovrapensiero.

Vogliamo essere parte del cambiamento? Lo dico soprattutto a quei papà a cui è stato insegnato che piangere è sbagliato. Insegniamo ai nostri bambini che ad essere adulti sereni che riescono a vivere i propri sentimenti senza vergogna, il punto elenco del maschio alfa va dimenticato e tolto dai nostri file di memoria, per il bene di tutti.

Ho scritto questo pezzo grazie al blog di un ottimo scrittore qui su wordpress che amo leggere, che ha dedicato diversi suoi articoli su questo tema, quindi grazie dell’ispirazione.

Fedy_On_The_Blog

Mobbing tra colleghe.

Ancora? Eh si, nonostante tutto non sono ancora riuscita a scrivere tutto quello che avevo in nota per sentirmi soddisfatta davvero, eva-vs-eva è stato uno dei miei primi articoli, la competitività tra donne è un territorio così vasto da permettermi di aggiungere sempre informazioni nuove.

Tramite la mia pagina Instagram abbiamo parlato del perché, ho chiesto ad un buon numero di donne di darmi un parere sulla base del loro vissuto, delle loro esperienze, vorrei partire da questi vostri spunti per poi cercare di rompere i soliti luoghi comuni e stereotipi legati al mondo femminile.

“Secondo voi, perché tra colleghe donne si ha la tendenza ad essere più cattive, false, competitive?”

  • Invidia per cui criticano qualità che vorrebbero e non hanno, nascondono quindi un senso di inferiorità,
  • superiorità, si comportano male verso chi vedono più debole,
  • paura di essere invisibili, non apprezzate, vogliono farsi notare schiacciando le altre colleghe,
  • mascherano insicurezze e paure aggredendo le altre donne, hanno poca autostima cercano di distruggere quindi quella delle altre colleghe,

Direi quasi tutto condivisibile, ricordo nel mio primo lavoro eravamo tutte donne, avevo appena 19 anni quindi completamente sprovvista di corazza per proteggermi dal mondo che avrei trovato all’interno. Una mia collega, Daniela, vedendomi sempre sorridente e disponibile mi disse: “stai attenta, ricordati che noi donne non siamo mai contente di quello che abbiamo, la nostra tendenza è quella di essere subdole e calcolatrici”. Cara Daniela, avevi proprio ragione, peccato la prima pelle mi sia stata tolta, passaggio necessario per imparare a non cadere nella trappola due volte.

La competizione è donna, perché fa parte delle dinamiche di accoppiamento, questa è scienza, non si discute. La sopravvivenza della specie è un fattore genetico che ci porta alla riproduzione, al trovare un partner eccetera, pare che le donne entrino in competizione per poter essere elette contenitori del seme maschile. No io non ci sto posso dirlo? Questa spiegazione poteva andarmi bene fino a 100 forse 50 anni fa, oggi non più. Ci siamo finalmente decise all’upgrade e non siamo più delle incubatrici sforna figli, quindi amici scienziati smettiamola con questi stereotipi, luoghi comuni, teorie maschiliste.

Ho avuto a che fare con donne subdole, manipolatrici, pettegole, che cercavano di ledermi con attacchi laterali, mai frontali, una sorta di mobbing velato diciamo. Ho 38 anni quest’anno e quindi sono 19 anni che lavoro, questo mi ha permesso di stilare una sorta di vademecum della collega stronza per eccellenza, da tener il più lontano possibile.

  • Lei brama attenzione dal mattino appena inizia a lavorare fino al momento in cui esce dalla porta per tornare a casa sua, occhi su di lei sempre.
  • teme di passare per incompetente quindi cerca di carpire i suoi interlocutori con mezzi diversi che discostino dalle sue reali qualità,
  • è una donna molto sola con scarsa autostima che cerca riscatto impegnandosi a distruggere chi vede come possibile minaccia,
  • ha un grande complesso di inferiorità, mascherato da superbia come se nulla la scalfisse,
  • provocatrice, genera diatribe, punzecchia di continuo in maniera velata per farci sbottare, così da aggredirla e diventare finalmente la vittima incompresa con cui tutti si arrabbiano.

A questo punto il lettore potrebbe dirmi: “proprio tu parli, che sei una femminista?!” Prima di tutto amico mio lettore, vai a leggerti il mio pezzo: (https://fedyontheblog.com/2020/09/18/sostenere-una-donna-solo-perche-e-donna-e-lequivalente-di-un-autogol/), dove spiego il perché sostenere le donne solo perché donne, è un autogol in piena regola, in secondo luogo si, sono una femminista, significa che sostengo la parità tra i sessi; significa anche ammettere che ci sono uomini stronzi e donne stronze, non ci sono differenze.

Terminata questa breve spiegazione sul fatto che possiamo essere tutti cattivi uomini e donne indistintamente, vorrei aggiungere alcune considerazioni mie personali sulla collega stronza descritta sopra. Caratteristiche come queste non è un caso appartengano quasi sempre a donne e non a uomini, se leggiamo bene sono un elenco di fragilità. Nella mia esperienza di bambina ho subito ferite e tagli che si sono si cicatrizzati, ma hanno lasciato la pelle più fragile e sensibile. La nostra società maschile è ancora una volta una delle colpevoli, ha trasmesso per anni e anni file ben precisi sulla crescita dei figli, su come educare maschio e femmina, su cosa è bene e cosa è male per una ragazza. Le differenze di importanza e di ruoli che sono state impartite fino a qualche anno fa, hanno lasciato degli squarci incredibili nell’inconscio delle donne; pensate che lo stipendio più basso, la casa che grava solo su di noi, i tacchi e i capelli perfetti non siano un fattore che lede la nostra autostima? E secondo voi, l’idea che esista la donna perfetta, cosa che i media ogni giorno ci sparano in tv, non ci rende dei bersagli facili per alcune fragilità? Ragioniamoci un attimo, la competitività tra donne è solamente il frutto di questa società malata, siete d’accordo con me?

Come guarire? Direi che prima di tutto, è fondamentale schermarsi e proteggersi da colleghe stronze, perché mobbing di questo tipo può portare a forti livelli di stress e quindi intaccare la nostra salute. Giriamo alle larghe da chi ci sta facendo del male, consci del fatto che sicuramente dichiararle guerra è solo quello che vuole lei. L’arma, a mio avviso, più forte verso queste persone è l’accoglienza e il sorriso, cosa che probabilmente nella vita hanno assaporato poco, chi si comporta così è un’anima sola e sofferente.

ATTENZIONE: lo scrivo in maiuscolo perché è stato l’errore più grande che io abbia commesso e lo ricorderò per sempre, MAI E RIPETO MAI, fidarsi e raccontare le vostre vicissitudini private a questo genere di persone, possono sembrarvi cambiate, amiche gentili come non mai, ma non fatelo, sono pronte sempre a distruggere tutto e quindi raccontare ciò che per voi era tanto intimo e le avete confidato. Il vostro cuore va aperto solo ed esclusivamente in presenza di chi, nel tempo, vi ha dimostrato il bene, quello vero.

Grazie a chi mi ha parlato e raccontato le proprie esperienze e pareri, la condivisione è il pane quotidiano di chi scrive.

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