C’è della chimica

“Tu chiamale se vuoi emozioni.”

Caro Lucio, io non credo si parli di emozionalità, o almeno concedimi di dubitarne. Sono così terrena e pragmatica che posso attribuire una reazione ad ogni miracolo della vita, partendo dal sentimento più puro dell’amore materno, fino all’odio più infuocato verso chi ci sbriciola.

Diamogli il nome corretto: CHIMICA. Nonostante i miei passi umanisti tra gli scrittori più passionali delle epoche lontane, non posso che dissentire con i loro versi floreali nel parlare dei contatti umani.

Certo che si chiamano emozioni, ma si sviluppano, crescono annaffiate dalla nostra mente, fino ad esplodere come bombe atomiche, spesso sotto forma di malattie psicosomatiche, si tipo quel mal di stomaco che ogni santo mese viene a spaccarci in due, nonostante gli esami siano tutti perfetti, ma quindi.. che cazzo è che mi fa male?

Posso dirtelo onestamente? ti fa male la vita, fa male a tutti, non solo a te, trova un posto dove mettere quell’inquietudine, corri, salta, canta, scrivi, respira, lasciala uscire come le cascate, irruente e impetuose.

Ogni scelta, anche la più banale, è dettata dalla chimica. Sai quella camicia a scacchi rossa e nera che hai appena comprato? Si quella, si chiama chimica. Quella foto su cui continui a tornare perché ci sono due occhi neri che leggono nei tuoi, chimica. Il sorriso di quella ragazza, che ti ha fatto sentire abbracciata nonostante il covid e il saluto col pugnetto, C H I M I C A.

Lo stomaco è quello che mi fotte sempre, sento quella cosa, non so che nome possa dargli, forse non voglio proprio darle alcun nome, perché è così mia che nessuno deve condividerla con me. Sale, mi arriva al petto ed ecco che il respiro si blocca. Calmati Fede, devi solo ricordarti la respirazione che ti hanno insegnato, penso.

Ma lei sale e ride perché, la chimica, quella stronza impulsiva, sa che non ti darà il tempo di fare le respirazioni alla Bruce Lee. Il tuo cuore? Tachicardico si è già impossessato delle tue braccia, che iniziano a tremare ed essere rigide, e poi? beh poi il corpo si difende a suo modo, endorfine a profusione.

Non è malvagia, non spaventiamoci. La chimica è l’effetto. L’effetto che fa annusare i capelli del tuo bambino appena sveglio, profumati di sogni leggeri, l’abbraccio della mamma che anche a 38 anni scalda più del fuoco, la canzone degli Spandau Ballet che ascoltavi da bambina senza capirne una parola, la presenza di qualcuno che ti cura solo con una carezza.

C’è chimica nel silenzio, nella calma piatta, nello sguardo perso, che nasconde tutti quegli scarabocchi neri che tentano di trovar vie di fuga dalla nostra mente.

C’è chimica quando scali le montagne, quando ti tuffi nel mezzo del lago senza vederne il fondo, quando ti completi nel corpo di un altro, quando ti colori la pelle, quando leggi un libro tutto d’un fiato, quando la notte scegli di non dormire.

C’è chimica, perché noi siamo chimica, un mix di ingredienti di cui non è dato sapere la ricetta, gioie e dolori che ci hanno reso quello che siamo, tenuti in piedi da un corpo che è nato solo per sostenerci, e come tutte le cose, sarà la chimica a ricostruirlo, guarirlo o lasciarlo andare, ma solo nel momento opportuno.

Oggi ha vinto il my Dark Side of The Moon, domani saranno cieli tersi.

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Quei cinici auguri glitterati.

Le luci, i fiocchi, il calore delle candele, i dolcetti, quell’atmosfera di pace e leggerezza che si fonde con la neve, i sorrisi, gli abbracci, la famiglia, gli amici, un’infinità di parole che mi vengono in mente quando ripenso a “quei natali”.

Ve li ricordate anche voi? Quei natali dove ci si credeva davvero, quelli che: “tra poco è Natale, basta musi lunghi, pensieri negativi, preoccupazioni, ci penseremo poi”. Quelli in cui avvertivamo una strana emozione la giornata della vigilia, perché, anche se non eravamo più bambini, la notte in arrivo era magica, sempre. Quei momenti in cui nonostante l’anno difficile, qualche brutta esperienza, un amico che ti aveva tradito, un amore finito, una difficoltà lavorativa, sentivamo comunque la magia in arrivo, il tempo del riscatto, la serenità.

Beh si tutto davvero bello il Natale e la meraviglia che lo circonda, ma sento di dover fare uno dei miei outing più invadenti per non compromettere ulteriormente i miei valori pressori già piuttosto alti.

Quale migliore modo per fare outing se non quello di augurare buon Natale a modo mio? Tramite le note della “mia penna”? La penna più cinica e dolorante raggiunta dall’alto dei miei 38 anni?

Lasciatemi iniziare dicendo che vorrei sentire “auguri di buone feste” solo da chi me lo sta augurando davvero, da chi lo dice col cuore, sorridendomi, da tutti gli altri vorrei solamente essere ignorata, avete preso nota?!

Vorrei invece fare degli auguri speciali, di luce e serenità al punto elenco seguente:

  • a te che hai dovuto aprire la porta della tua amorevole casa alla malattia, quella stronza che sta logorando lentamente la persona con cui pensavi di trascorrere lenta la vecchiaia, in pace e silenzio, magari guardando i vostri nipotini diventare grandi. Si, questo augurio è anche per te, perché so che in silenzio la sera quando sei sola, piangi lacrime di sale che bruciano sulle ferite che ogni giorno quella malattia ti infligge,
  • a te che hai accompagnato per mano il tuo papà fino alla fine, stringendolo forte e facendolo sempre sentire amato. Si, questo augurio è anche per te, perché per la prima volta quest’anno dovrai guardare la sua sedia vuota alla cena della vigilia, sarà il Natale più triste e freddo mai vissuto, ti abituerai, anno dopo anno,
  • a te che per eliminare la pesante solitudine nella tua vita, stai facendo grandi sacrifici, intraprendendo percorsi insapori e dolorosi, per lavorare su te stessa nella grande incertezza. Si, questo augurio è anche per te, che la speranza non ti abbandoni mai, nonostante i mesi e gli anni proseguano e non ci siano novità all’orizzonte,
  • a te che mai avresti pensato di poter ricevere quella pugnalata dal tuo amico, si sai di chi parlo. Quello che sembrava essere onesto, fedele e trasparente con te, veniva a cena a casa tua a giocare coi tuoi figli ricordi? Proprio lui, che ha sgretolato la tua fiducia in pochi secondi, gelando la vostra amicizia, onestamente, detto fra noi.. non so se si sia accorto di averti fatto del male. Si, questo augurio è anche per te, perché nonostante questo, so che nella tua prossima avventura non mancherà il tuo forte entusiasmo, lascerai alle spalle quella ferita che, nonostante il male, ti insegnerà che le persone hanno interessi non sempre puliti nei tuoi confronti,
  • a te che passi le giornate impaurita dal tempo che passa, dalla tua bambina che cresce, dalla paura di non poter riuscire. Lo so che la notte ti svegli con il cuore in gola, quella tachicardia che ti toglie il respiro per prosciugarti, purtroppo non credo se ne andrà presto. Questo augurio è anche per te, perché ti diranno che passerà tutto, ma non è così, sono solo bugie dette per farti star serena. Sappi che prima tu imparerai a convivere con i tuoi demoni, prima loro impareranno a lasciarti respirare la notte,
  • a te che non conosci l’umiltà, arrogante e irruento hai camminato per i prati fioriti senza accorgerti del deserto dietro che lasciavi. Ti senti solo ora vera? La verità è che lo sei sempre stato, lo realizzi solo ora perché non c’è più nulla da mangiare sulla tavola e quindi la gente ti ha abbandonato. Questo augurio è anche per te, perché il tuo sarà un Natale molto triste e silenzioso. La storia di Dickens ahimè non esiste, non ci sarà nessuno spirito dei Natali passati, presenti o futuri che verrà a trovarti la notte della vigilia per darti un’altra possibilità, no davvero. Ecco perché sei finito tra le persone a cui mando un augurio sincero, perché, nel caso in cui non ci sia un lieto fine ad attenderti, che sia lieve la tua caduta e che tu possa fingere il più possibile di viverla bene, augurandoti di rimetterti in gioco ancora,
  • a te che sei piccola e indifesa ai miei occhi, che mi commuovi ad ogni carezza. Questo augurio è anche per te, perché la tua mamma impari a capire che stai crescendo, lasciandoti fare qualche passo da sola più serena, abbi pazienza e continua ad accarezzarla, il tempo vi aiuterà a crescere insieme.
“Grazie al cazzo”.

Sarebbe bello, anche solo per un attimo, immaginare la magia del Natale tornare; alleviando la malattia, il distacco per una perdita, colmare la solitudine, curare una delusione, lenire l’ansia, sollevare le angosce e guarire le insicurezze, sarebbe bello davvero, ma il mio cinismo vorrebbe lanciare un messaggio: CAZZATE!!! SONO TUTTE CAZZATE!!! La verità è che sposteremo per qualche ora, in un angolo della nostra mente, tutti questi pensieri tristi, così da poter mangiare in compagnia di chi è consuetudine incontrare durante queste feste comandate, per poi tornare nella nostra realtà e poterci immergere di nuovo nelle piaghe dei nostri pensieri.

Adesso prendo la scopa, spazzo sotto il tappeto tutte le grida del mio cinismo stronzo che vuole rovinarci le feste! Via levati, così che anche per quest’anno io possa fingere che la magia del Natale sia arrivata, quanto meno per gli occhi incantati della mia bambina che merita di vivere questo momento glitterato come se davvero esistesse. Saranno poi le persone e le esperienze dolorose purtroppo, a darle modo di riflettere e capire che i glitter sono belli ma servono solo a coprire delle crepe, troppo visibili al naturale, della vita.

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Be soft, kind and loving, but also don’t take nobody’s shit – Dura la vita per gli empatici.

Lo so, lo so, il titolo in inglese non sa da fare, ma esiste un modo più immediato per spiegare a voi empatici che non dovete poggiare sulle vostre spalle il peso delle vite altrui?

Oggi amico voglio dedicarmi alla tua mission impossible, questa volta mettiti comodo, sarò io a fare il lavoro sporco per te.

L’empatia è quella brutta bestia che riesce a catapultarti nei panni degli altri per poter vivere in maniera atavica, passami il termine, i dolori e le sofferenze di chi hai vicino e si racconta.

Invidi quelle persone che dopo un lungo racconto strappalacrime, danno una bella pacca sulla spalla e dicono: “Forza, vedrai che passerà anche questa”, vero?

Tu, amico mio, paladino incompreso che vesti da soccorritore, tu, che lasci tutte quelle sofferenze divorarti lentamente mentre la giornata volge al termine.

Il tuo sguardo, affranto, che ascolta in rigoroso silenzio notifica già quel senso di colpa, perché non ti senti all’altezza, non senti di soffrire abbastanza. Ad ogni parola del racconto, si infiamma nelle viscere più profonde quell’impotenza che ti distingue sempre; ad un certo punto ti accorgi che non stai nemmeno ascoltando chi ti è vicino, no, sei troppo concentrato a capire come poter aiutare a risollevare gli animi, risolvere il problema, alleviare il dolore, perché si dai ammettilo, per sentirti meglio vorresti soffrire tu al posto degli altri.

Come dici? Ci sono momenti in cui vorresti inserirti all’interno della storia? Per far cosa? Cambiare il susseguirsi degli eventi? Tornare indietro nel tempo? Sei un impotente lo vuoi capire?? Fallo finire subito! Non puoi ascoltare altro dolore, fermalo subito prima che ti mangi tutto,

Troppo tardi amico mio, eccola tornare da te.

“Empatia, da tempo non venivi a farmi visita”, sbotti appena la senti atterrare nel mezzo del tuo petto.

“Ciao, mio povero amico sofferente, anche questa volta mi hai disturbata”, ribatte lei.

“Io? sei tu che ogni volta arrivi a procurarmi questi fastidi. Anche questa volta mi toccherà rimuginare, pensare a questo grande dolore e non riuscire a liberarmene fino al prossimo incontro con uno nuovo”, si difende l’amico.

“Ti sbagli, mio ingenuo nobile cuore, io non entro in funzione da sola, sei sempre e solo tu che decidi di coinvolgermi. Da quanti anni ormai investi soldi e tempo su te stesso per cercare di migliorare questo tuo lato debole? Quante volte ti hanno spiegato che comprensione e ascolto sono una cosa mentre METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI è tutt’altra?”.

L’amico scrolla le spalle, lasciando cadere la testa all’indietro; “Dannata empatia, ha ragione, lo so che ha ragione ma è più forte di me, ogni volta mi sento il peso del mondo sulle spalle e non riesco a fermarmi”.

“Dura la vita per voi empatici”, lo punzecchia lei, infastidita dall’esser stata scomodata anche oggi.

“Ricorda fino a che punto puoi spingerti, ci sono situazioni in questa vita che non puoi prendere in carico tu, non è questo il tuo ruolo. Semplicemente quella persona che si rivolge a te vorrebbe solamente essere ascoltata, capita, riconosciuta. Accetta la sua implicita richiesta, i panni degli altri non sono quelli che devi vestire tu, dico bene? I tuoi sono nel tuo armadio, e onestamente, amico mio, non mi sembrano molto comodi.”

Il suo sguardo l’ammonisce, stanco di sentirsi ripetere ogni volta la stessa storia.

“Eh per l’ennesima volta, te lo chiedo, smetti di disturbarmi e poi lamentarti perché sono tornata, chiaro?”.

Be soft, kind and loving, but also don’t take nobody’s shit

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Il vaso nero.

Come dev’essere alzarsi al mattino e non essere più libere, costrette a coprirci sotto pesanti veli che nascondano anche il nostro viso, non autorizzare ad uscire di casa da sole, private della possibilità di studiare, di poter lavorare o parlare previa autorizzazione dell’uomo di casa?

Non è il medioevo, non è nemmeno una realtà troppo lontana, è quello che stanno affrontando le donne e le bambine nella nuova Kabul, il ritorno ad una vita di divieti, negazioni, prigionia, possessione, silenzio.

Negli ultimi vent’anni, la vita delle donne afgane è davvero cambiata, tolto il regime talebano che le voleva prigioniere, hanno finalmente potuto assaggiare una qualità di vita nuova.

Le bambine, le donne hanno iniziato a studiare, acceso la radio e ascoltato la musica, hanno tolto il burqa lasciandosi solo il velo, hanno iniziato ad uscire da sole durante il giorno, hanno scelto anche di lavorare, hanno scelto cosa fare della loro vita, per una volta nascere donna non era più un male.

Nelle ultime settimane, i talebani cacciati nel 2001 dalla coalizione di stati che vedeva a capo gli USA, hanno ripreso il controllo. Questa coalizione avrebbe dovuto instaurare un regime democratico capace di ricostruire l’Afghanistan fino al giorno in cui avrebbe lasciato il paese. Non so dire nella mia ignoranza l’elenco dei mille motivi per cui questo non ha funzionato, so solamente che è stato un fallimento di proporzioni epocali. Appena gli americani hanno iniziato ad andarsene, i talebani, che nel frattempo non hanno mai smesso di crescere e prepararsi al gran giorno, si sono ripresi Kabul, annunciando la rinascita dello stato islamico.

Si sono fatti strada massacrando il popolo, hanno rapito tantissimi bambini maschi per addestrarli alla guerra, assassinato donne per il loro abbigliamento, torturato e ucciso artisti, musicisti, assassinato il capo della cultura e dei media per il governo, VENDUTO BAMBINE E DATE IN SPOSE ANCORA MINORI A UOMINI ANZIANI, sfollato centinaia di famiglie e appeso nelle piazze tutti gli uomini uccisi.

Questo è il ritorno dei talebani, la soppressione della cultura, dell’arte, del musica, ogni donna sarà nuovamente spogliata di ogni suo diritto, rinchiusa nell’ombra della casa, di nuovo schiave del loro regime. Bambine che fino a pochi giorni fa andavano a scuola, si ritroveranno mogli a nove o dieci anni di vecchi che le violenteranno per aver figli non appena saranno fertili, coperte nel loro burqa, prigioniere eterne di quel velo pesante.

Ho chiuso gli occhi per un attimo, immaginando la mia vita se fossi una di loro, ho 38 anni, lavoro e scrivo, una figlia di due anni e un marito, siamo di religione cattolica. Considerando la mia indole ribelle sarei probabilmente già stata uccisa, mia figlia rapita per darla poi a qualche vecchio militare che, appena crescerà un po’, la farà sua moglie, e mio marito, dopo essersi convertito all’islam per non essere ucciso, verrebbe mandato in qualche campo di concentramento a lavorare. Provate a fare la stessa cosa anche voi, guardate negli occhi i vostri bambini e immaginate che vita li attenderebbe.

Un’immagine mi ha trafitto qualche giorno fa, una bambina dai capelli arruffati, lo sguardo impaurito, tra le mani il suo giocattolo, vicino a lei suo marito: un militare dalla barba bianca, di almeno 40 anni più grande, impugna fiero tra le mani il suo fucile e la tiene per il braccio, è sua, di sua proprietà; impossibile non immaginare il volto di mia figlia, una bambina come lei.

Ho letto un articolo del Guardian, di una donna afgana a Kabul:

“Ho lavorato per così tanti giorni e così tante notti per diventare la persona che sono oggi, e questa mattina, quando sono arrivata a casa, la prima cosa che io e le mie sorelle abbiamo fatto è stata nascondere i nostri documenti di identità, i nostri diplomi e certificati. È stato devastante”.

Dobbiamo spostare le montagne per loro, scuotere la terra, muoverci, far sentire il loro grido, una ad una verranno nuovamente coperte, nascoste e messe in silenzio a costo della loro vita. Non stiamo fermi di fronte a questo massacro, non fingiamo di non vedere, siamo tutte donne afgane, scuotiamo i nostri cuori e condividiamo la loro condizione.

Aiutiamole, il loro silenzio obbligato non può essere anche il nostro.

“Forse perché i nostri desideri sono cresciuti in una pentola nera..

Forse perché i nostri sogni sono cresciuti in un vaso nero”

#taliban #afghanistan #war #peace

Shamsia Hassani

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Il sassolino nella scarpa.

C’è qualcosa che ci spinge ad andare oltre i limiti imposti, qualcosa che ci porta fuori dal perimetro di comfort per avere la tanto agognata risposta, per noi e per tutti quelli che stanno cercando una speranza a cui appigliarsi.

Cosa succede se funziona? Cosa succede se ci riusciamo? Beh, se siamo fortunati veniamo solamente ignorati. Invece se facciamo parte di quella percentuale scomoda allora sono cazzi.

Sono cazzi perché siamo come la spina nel fianco, come quel sassolino nella scarpa che continuamente ci punzecchia il tallone, invano si cerca di toglierlo usando il dito o un qualsiasi strumento di fortuna, ma il sasso è ancora li che punge.

Ecco credo che un po’ a tutti nella vita sia capitato di essere quel sassolino, scomodo, appuntito, piccolo ma sempre presente. Le strade a mio avviso sono due, la prima, la più tranquilla e sicura; cercare di infilarsi in quel bordo tra suola e tomaia, rendersi il più invisibile e innocuo possibile, forse durante qualche movimento improvviso ci si potrà sentire ancora, ma col tempo e coi movimenti continui, i nostri angoli si andranno via via ad usurare, fino a diventare rotondi e sempre più piccini, certo saremo sempre li, ma la nostra presenza sarà finalmente messa in un angolo, ignorata, conformata all’uso della scarpa.

La seconda strada ahimè è la peggiore che si possa scegliere, quella più coraggiosa si, ma anche pericolosa, da sassolini appuntiti quali siamo, continuiamo il nostro processo di vita, muovendoci all’interno della scarpa, punzecchiando il proprietario in ogni modo possibile, tanto da rendergli via via ogni movimento sempre più complicato. Star fermi e nascondersi? Mai e poi mai, siamo li per un motivo preciso, cambiare il senso delle cose, farci sentire, farci notare, specialmente da chi vuol continuare a far finta che la nostra presenza non esista.

A quel punto arriva l’inesorabile resa dei conti, si perché in quanto sassolini siamo piccoli, molto molto piccoli, e un sassolino da solo cosa può fare di fronte al grande gigante che porta quelle scarpe in cui abbiamo scelto di metterci?

Farà quanto gli è possibile per continuare la sua strada ignorandoci, ma siamo stati così bravi e decisi che gli è impossibile, ha provato con un dito, ha smosso la calza, ma niente noi ci siamo ancora; impaziente e nevrotico è costretto a fermarsi a causa nostra.

Si leva la scarpa frenetico per cercarci “maledetto sassolino che mi hai bloccato, adesso ti faccio vedere io chi comanda in questo mondo, IO comando, IO che sono GRANDE”. E così, dopo averci trovato e preso tra le dita, ci lancia, lontano, molto lontano, fino a renderci innocui.

La sapevate anche voi la storiella di questo sassolino? Pensare la conosco da sempre, oggi con le stesse parole elementari che ho scelto per scriverla l’ho raccontata alla mia bambina, semplice così, chiara.

Contro il sistema non si vince, ma quei sassolini fanno sempre un gran rumore, sta a noi ascoltarli.

Grazie sassolino.

SIAMO TUTTE SAMAN.

Come ho fatto in altri casi simili che hanno a che fare con la violenza sulle donne, ho lasciato passare qualche giorno per metabolizzare la notizia, sviscerarla, comprenderla e farla mia nel rispetto di lei, l’ulteriore vittima, Saman.

In questo ultimo weekend mi sono presa il tempo necessario per salutarla, scrivendole qualcosa, sperando che sia l’ultima volta, ma certa che non sarà così.

Saman era una giovane ragazza pakistana colpevole di aver scelto la libertà anziché un matrimonio combinato, credo ormai sia nota a tutti la storia, quello che invece non mi sembra chiaro, ascoltando un qualsiasi talk show italiano, è il reale mandante di questo femminicidio, perché di questo si tratta.

Quanti uomini ho sentito strumentalizzare questa notizia incolpando l’islam, la “loro” cultura, le femministe di sinistra troppo assenti, ridicoli, tutti.

Credo sia poco opportuno parlare della loro cultura, consideriamo prima la nostra che, nonostante predichi il rispetto sacro santo della donna, tanto diversa non è. Vi dirò una cosa, il colpevole dell’omicidio di Saman è lo stesso che ogni giorno uccide le donne italiane, colpevoli di essersi ribellate al “loro” padrone: la violenza patriarcale.

Il mandante non è quindi un fenomeno “islamico”, ma la cultura in cui viviamo che si manifesta in qualsiasi posto, in qualsiasi tempo, in qualsiasi modo, attaccandosi a motivazioni religiose, politiche, civili, TUTTE CAZZATE per legittimare un omicidio.

Smettiamola di parlare di “loro” cultura o di “nostra”, di buona o di cattiva, esiste solamente il patriarcato radicato in maniera trasversale in tutte le popolazioni, che viene chiamato, a seconda delle necessità, con nomi diversi per mascherarlo.

Cosa possiamo racchiudere all’interno del fenomeno PATRIARCALE?

L’uccisione di Saman, la violenza su una coppia gay che si bacia alla stazione, l’omicidio di una donna che vuole il divorzio, un uomo che uccide il fidanzato della sorella per il fatto che sia una persona transgender, un ex marito che uccide la ex moglie e il nuovo compagno, un padre che picchia la figlia perché non rispetta i suoi comandi. VIOLENZA APPARTENENTE ALLA STESSA MATRICE.

Nell’ultima settimana mi sono sforzata di ascoltare il pensiero di tanti esponenti politici presenti in varie trasmissioni, per valutarne il punto di vista, conoscerne le opinioni. Sono rimasta veramente sorpresa da come sia stato raggirato il fatto, additando le culture diverse dalla nostra, come se l’unico scopo mediatico fosse quello di uno scontro tra mentalità occidentale e orientale.

Vorrei anche aggiungere un particolare non indifferente, nessuna religione obbliga ai matrimoni combinati, tantomeno l’islam. Regole di vita come queste vengono solitamente adottate da comunità dove regna sovrana la non scolarizzazione, la povertà, la ristrettezza culturale e sociale, gli unici ambienti in cui è possibile possedere la donna come merce di scambio.

Queste poche righe solo per dare il mio ultimo saluto a quella ragazza che voleva essere libera, rendendole giustizia nel modo in cui so farlo io, ricordando a tutti che non è stato l’islam il suo assassino, ma il patriarcato.

Ciao Saman, vorrei davvero fossi l’ultima, la verità è che viviamo ancora in una società dove l’ex marito cattolico ammazza l’ex moglie e il padre islamico ammazza la figlia. SIAMO TUTTE SAMAN.

Victim blaming: quando la vittima viene colpevolizzata.

In questi giorni siamo bombardati da articoli, informazioni e meme legati a quell’infelice video di Beppe Grillo in difesa del proprio figlio accusato, ancora due anni fa, di stupro. L’immagine che ho davanti, ogni volta che vedo la registrazione, è di un uomo emotivamente provato, visibilmente instabile che, nelle vesti di padre disperato, cerca di difendere il proprio figlio, nel modo meno opportuno, facendo del victim blaming.

Iniziamo dicendo che è un insulto verso tutte le donne che un’accusa di stupro sia ancora aperta dopo due anni, questo per ricordarci come ci siano due pesi e due misure ogni volta che si tratta di generi diversi, detto questo, lo scopo di oggi è quello di spiegare in parole povere cos’è il victim blaming, un comportamento così standard e ancorato nella nostra società che viene ritenuto normale.

Definiamo victim blaming quel meccanismo tale per cui la vittima di violenza (in qualsiasi forma) diventi a sua volta la colpevole dell’accaduto, arrivando così a scagionare e giustificare il solo ed unico responsabile del reato. Un fenomeno che si sparge a macchia d’olio nella collettività, mettendo in moto dei retaggi culturali maschilisti che tendono inevitabilmente a difendere il carnefice con un “se l’é cercata”.

Alla base di tutto c’è sempre e solo lei, la nostra società patriarcale, maschile, sessista fatta di chiusure mentali, fare tardi la sera, bere alcolici, vivere la sessualità senza inibizioni, sono abitudini normali per gli uomini, ma non per le donne. Motivo per cui se un uomo decide di oltrepassare certi limiti, è solo perché la donna con lui non è stata abbastanza prudente, capace di tenersi lontana da certe situazioni.

E’ tendenza comune e generale nella società, attribuire parte della colpa alla vittima, colpevolizzandola, creando una sorta di filiera solidale nei confronti di chi ha commesso il reato, fino a normalizzare il comportamento. Ecco uno dei motivi per cui la maggior parte delle donne che subisce violenze tende a non denunciare, a non far sentire la propria voce, proprio perché il più delle volte vengono giudicate loro, le vittime, anziché i veri colpevoli. Aggiungo anche che sono molte le donne che, anziché difendere la propria simile, le puntano il dito contro, cattiveria? No assolutamente, la definirei piuttosto paura di subire la stessa sorte, ma anche l’illusione di poter evitare situazioni simili mantenendo il controllo, mettendo in atto comportamenti prudenti che possano garantire una maggiore sicurezza. Un’illusione direi, perché tutti gli atti di violenza sono causati sempre e solo da un carnefice, dobbiamo farci entrare nella testa che la vittima è solo una vittima, da tutelare e proteggere.

Ci troviamo ancora al punto in cui, per la vittima, risulta più semplice il silenzio, la vergogna prende il sopravvento, è troppa la paura di venir prese di mira. Chi ha subito questo reato ha la tendenza a giudicarsi e colpevolizzarsi per l’accaduto, se poi pensiamo a cosa le aspetta raccontando tutto pubblicamente, come biasimare il suo silenzio?

Dichiarazioni come quelle di Beppe Grillo andrebbero condannate, punite, proprio perché accentuano e puntano il dito contro la vittima che ha avuto il coraggio di denunciare. “Sono ragazzi e si stavano divertendo” urla contro la telecamera, e un brivido mi percorre la schiena pensando a mia figlia, una forma di divertimento probabilmente percepito solo dai ragazzi presenti in quella stanza, perché di come si sente lei, nessuno se ne cura. “Il giorno dopo era a fare kyte, e ha denunciato 8 giorni dopo, non vi sembra strano?” continua Grillo; no io non lo trovo strano, anzi, capisco sempre di più perché la tendenza di una vittima sia quella di far finta che vada tutto bene, che nulla sia successo, per evitare assalti verbali come quelli fatti da questo padre famoso che sfrutta la sua forza mediatica durante un processo il figlio.

In un mondo migliore, si potrebbe prevenire questo comportamento, cercando di lavorarci da subito, all’interno della famiglia, nelle scuole, sulla sfera emotiva ed anche quella educativa, le donne dovrebbero smettere di giudicare le altre donne, cercando invece di sostenersi. Tutti noi dovremmo smettere di farci manipolare da questo fenomeno sociale, vivere in modo paritario le nostre libertà non può essere un attenuante di fronte ad una violenza di qualsiasi genere.

L’arma più potente contro il victim blaming è il NON GIUDIZIO, l’ascolto e la comprensione, non lasciamo sole le vittime.

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Rispettiamo ogni forma d’amore.

Sono nata donna, discriminata e in quanto tale appartenente ad una minoranza. Abituata a stare in silenzio, perché così mi è stato insegnato, non si parla o non si risponde quando un uomo parla o da disposizioni. Ho conosciuto ben presto l’ingiustizia, quello che viene applicato su di me non è applicato sui miei colleghi maschi. Ho imparato che in quanto donna ho un salario più basso, ma devo lavorare il doppio per essere considerata al pari degli altri.

Conosco la discriminazione, so cosa significa appartenere ad una minoranza, essere femministe coinvolge il sostegno e il supporto verso ogni diversità, ecco perché oggi voglio parlare dell’importanza del DDL ZAN, un provvedimento che, se approvato, istituirebbe il carcere per chi commette atti di discriminazione fondati sul sesso. sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o su qualsiasi disabilità.

A novembre 2020 il ddl viene approvato alla camera, ma bloccato poi al senato dalle forze di centro destra e lega ritenuto non prioritario di fronte all’emergenza Covid. Ovviamente, la pandemia ha una posizione molto importante in questo nostro momento storico, ma a quanto pare non è sufficiente a fermare le aggressioni omofobe alle stazioni ferroviarie, per dirne una, motivo per cui, se un uomo si sente in diritto di menare due ragazzi che si baciano, credo sia prioritario trovare delle pene per chi non rispetta l’amore.

Cosa prevede questo DDL? Innanzitutto come detto sopra è atto a contrastare le violenze e le discriminazioni basate su genere, orientamento sessuale, disabilità, tutte caratteristiche che chiamerei di “diversità”, che non vuol dire sia contro natura, come direbbe un qualsiasi politico di destra sui 50anni con il rosario in mano. Per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di un soggetto che sia conforme o meno alle aspettative sociali connesse al sesso, per orientamento sessuale si intende attrazione (affettiva o fisica che sia) nei confronti di persone di sesso opposto o uguale. Per identità di genere, UDITE UDITE, si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al reale sesso della persona. Vale a dire: lasciar libere le persone di essere e sentirsi bene nei panni che ritengono opportuni.

Esiste già una legge costituzionale contro la discriminazione, come ha fatto presente la destra italiana, ma non è specifica e riguardante le questioni sopra citate. E’ necessario nel 2021 dare un segno di movimento verso il futuro, di accettazione, di apertura mentale che possa far capire ai mediocri omofobi che il mondo li sta lasciando indietro, che ogni forma d’amore va tutelata.

Tra le novità di questo provvedimento è prevista la reclusione in carcere per chi viola questi diritti o multe salate per chi commette atti discriminatori. E’ prevista anche l’istituzione di una giornata nazionale contro l’omofobia, il 17 maggio, dedicata alla promozione della cultura del rispetto dell’inclusione delle diversità, il contrasto dei pregiudizi e delle discriminazioni. Le scuole dovranno inserire programmi di sensibilizzazione verso queste discriminazioni e sappiamo bene quanto sia importante partire dai bambini, ancora puliti e sereni verso il mondo, che dovranno poi lottare contro tanti genitori bigotti e chiusi mentalmente.

Tutelare i diritti di tutti non va a ledere le nostre libertà, non dobbiamo avere paura di chi è diverso da noi, ma lasciarci arricchire. Rispettiamo ogni forma d’amore, discriminiamo la violenza.

I diversi sono quelli che discriminano. Sosteniamo il disegno di legge contro la omotransfobia.

Lo spazio che meritiamo.

Iniziamo con un luogo comune, dirlo, ripeterlo, potrebbe solo aiutarci ad assimilare il concetto: le donne ai vertici, di qualsiasi attività, sono sempre molto poche rispetto agli uomini.

Chi di loro riesce ad arrivare ai vertici deve rispettare standard molto elevati: essere impeccabile, eccellente, perfetta nel ruolo affidato e il più delle volte dormire a fatica per la responsabilità che si sente addosso, per il pensiero di mantenersi tale. Ci avete badato invece a come sono gli uomini agli stessi irraggiungibili (per noi) vertici? Sono NORMALI, sono esseri umani a cui è anche concesso un errore ogni tanto, pochi sono gli impeccabili ed eccellenti, sono persone qualsiasi, alle volte con una lunga lista di difetti, a cui non viene richiesto “di essere qualcosa” in più rispetto al loro limite.

Aggiungiamo anche che spesso, questi uomini, sono arroganti, sicuri di se, certi di meritare a pieno quel ruolo. Capaci di guardare tutti dall’alto verso il basso, non sanno cosa sia l’umiltà, non conoscono la fatica di affermarsi e di raggiungere obiettivi con i bastoni tra le ruote, non sanno cosa vuol dire fare di più del dovuto per essere riconosciuti, perché in quanto uomini non hanno nulla in più da dover dimostrare, a differenza nostra.

Ci pensate ad una donna in una posizione importante nelle sue vesti “normali”? Ecco, il fatto è proprio questo, e per spiegarlo mi riallaccio alle famose pari opportunità che ancora suonano come barzelletta alle mie orecchie. Per quale motivo a me viene richiesto il doppio lavoro, il doppio della fatica, sacrifici familiari ecc.. per poter raggiungere un ruolo importante?

E’ possibile avere le stesse opportunità date agli altri? Possibilità di essere ai vertici in modo normale? Senza dover sputare sangue ad esempio? Le donne che sono arrivate in alto hanno dovuto mettere da parte davvero tanto, fare scelte dolorose per dimostrarsi “degne”, sacrifici così grandi da far piangere nella solitudine della sera. La donna che arriva in alto deve essere la migliore, solo eccellendo può ambire a un ruolo “maschile”, perché si un qualsiasi ruolo di dirigenza è ancora considerato da uomo.

L’Italia è invasa da uomini che occupano posizioni di potere, di privilegio, basti pensare al nostro parlamento, il presidente del consiglio, il presidente della repubblica; oppure possiamo guardare anche alle più piccole realtà, le aziende dove lavoriamo, il nostro comune, la nostra provincia, quante donne vedete ricoprire ruoli di potere? Diciamo poche o quasi nessuna? Direi di si. L’Italia, per i suoi pregressi storici, è uno dei paesi più retrogradi relativamente al ruolo della donna nella società, siamo ancora una minoranza in termini di istruzione e lavoro, è ancora normale che una donna, dopo essere diventata mamma, lasci il lavoro perché incompatibile con l’esigenze dei bimbi. L’Italia è ancora un paese che non tutela la figura della donna o della mamma, perché nelle posizioni di potere ci sono quasi sempre solo uomini, che non conoscono queste fragilità e neanche si prestano a capirle.

Non c’è vittimismo in questo discorso, solamente realismo di fronte alle diverse opportunità che ci vengono date, noi abbiamo bisogno di spazio in questa società, la nostra lungimiranza, la nostra intelligenza mixata con la sensibilità che tanto ci viene criticata, sono doti molti utili e preziose nel mondo in cui stiamo vivendo, pieno di diversità e fragilità che, un uomo, non essendo mai stato fragile o in minoranza, non potrebbe mai vedere.

Smettetela di chiederci di essere eccellenti nel ruolo che ricopriamo, quando intorno a noi ci sono solo uomini che svolgono le loro mansioni in modo normale, lasciateci essere come siamo, senza pretese extra solo perché siamo donne e siamo arrivate in un posto che “solitamente” è impegnato da una desinenza maschile.

Siamo un bene prezioso, lasciateci essere parte attiva in questa società, vogliamo l’opportunità di essere normali anche noi.

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Cerca di capire.

Continuo il mio attacco verso gli stereotipi di genere, oggi in particolare vorrei cercare di dissociare dalle nostre menti la formula algebrica tale per cui DONNA=MISERICORDIA x COMPRENSIONE INCONDIZIONATA.

Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato chiesto di CAPIRE, beh lasciatemi dire che ho una novità, la risposta è NO, non cercherò più di capire nessuno, fintanto che qualcuno non farà lo stesso con me.

Quale sarà mai il significato nascosto tra le righe quando qualcuno ci chiede di CAPIRE? Il non detto in questa frase è la richiesta di farsi da parte, accantonare le proprie idee, i propri principi per evitare litigi, incomprensioni; non solo, aggiungerei anche: mettersi da parte significa lasciare spazio a qualcuno che non siamo noi. Tutto questo fatto nel nome del quieto vivere, della pace, della non rivoluzione. Accettazione, comprensione e misericordia: LA DONNA.

Lo stereotipo della donna comprensiva, benevola, amorevole, ragionevole, tranne in quel periodo del mese in cui, causa turbinii ormonali, diventiamo delle bestie di satana. Questa è la nostra veste che ci è stata cucita addosso.

Le donne devo cercare di capire, perdonare il primo insulto, il primo schiaffo, la prima violenza verbale, fisica, economica, psicologica che sia.

“Cerca di capire, è stanco, stressato sul lavoro” – “La situazione è snervante, manca il lavoro, bisogna capirlo” – “cerca di capire che non era sua intenzione, è stato un raptus di rabbia”.

Sapete chi pronuncia frasi di questo genere il più delle volte? Le forze dell’ordine che vengono coinvolte dalla donna che sta subendo violenza domestica, le persone esterne che non vogliono mostrare crepe nella famiglia, cercando di riappacificare i due coniugi. Preciso: non lo dico io, lo dicono tutti i dati raccolti dai centri anti violenza. E’ sufficiente anche leggere o ascoltare qualche fatto di cronaca per capire che la maggior parte dei femminicidi ha sempre una denuncia o una tentata da parte della vittima che, come sempre, non è stata presa sul serio come doveva.

In generale, è tempo che ognuna di noi smetta di cercare di capire, io personalmente vorrei togliere negli altri questa aspettativa nei miei confronti, togliermi soprattutto di dosso lo sguardo perentorio di chi mi sta chiedendo di farlo, facendomi sentire sbagliata perché questa volta ho detto no.

Troppe volte ci è stato chiesto di capire, mandando giù l’ennesima fatica per non rompere degli schemi, per fare da collante, per addolcire la pillola. Siamo qui per perdonare, compiacere o assecondare solo le nostre emozioni, solo noi. Non ci deve venir più chiesto di farlo in favore di qualcun altro, in nome di uno stereotipo che ha spento tante donne costringendole al silenzio in un angolo buio di una casa.

Rompiamo gli schemi, ascoltiamo la fiamma che ci brucia dentro.

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