Divido i mesi dell’anno per blocchi di colore, da marzo ad agosto i colori sono piuttosto accesi, da settembre a febbraio una gamma di grigi, un po’ come ho diviso le aree della mia mente.
Settembre è il mese che mi prende per mano e mi conduce verso il noir dei mesi gelidi, in tutti i sensi. Un mese in cui si tenta di riprendere i ritmi intensi abbandonati prima dell’estate, che però mi restano attaccati addosso come pesanti zavorre che non riesco a metabolizzare.
Il colore del cielo e del sole che cambiano, incupendomi fin dal primo risveglio. Ho dei ricordi ben distinti, di quando ero bambina, associati a questo periodo dell’anno, soprattutto legati alle mie campagne verdi.
L’ora crepuscolare accompagnata da quella lieve nebbia che piano piano prende il posto del calore estivo, il verde che cede il posto a varie tonalità di gialli e marroni, rami che mano a mano si spogliano di ogni loro protezione, il buio che ogni giorno si insinua prima, qualcosa o qualcuno deve aver spento la luce, ed io non trovo l’interruttore.
Non mi stupisce che, il mio animo bianco e nero, abbia sempre avuto una passione per i racconti esoterici legati alla fine dell’anno, quante storie fin dalle elementari leggevo sulla festa di Ognissanti che noi oggi chiamiamo Halloween, la fine della stagione estiva e l’inizio del freddo, del buio, la fine dei raccolti.
Gli ultimi mesi dell’anno segnano il momento preciso in cui la mia mente inizia ad annebbiarsi, scurirsi, si anima, vive da sola e prende un’ autonomia non concessa rispetto alla strada in cui cerco di incanalarla a fatica ogni giorno. Settembre, ottobre, novembre, sono i mesi in cui ho avuto le ricadute peggiori, momenti in cui sento che quel lato oscuro con cui convivo non è del tutto un mio alleato, piuttosto un avido personaggio che, appena mi trova distratta, cerca di rubarmi tutta la lucidità, vincendo sul controllo che ho sulla mia mente.
A volte mi chiedo se, quel lato che io fingo di non conoscere, sia il mio essere reale; come posso non tener conto del fatto che mi curo per non lasciarlo dominare? Se non lo facessi sarebbe totalmente libero di inghiottirmi, ciò significa che io sono realmente questo? Senza le mie cure cosa ne sarebbe della mia mente così colorata e serena?
La differenza di chi sono senza terapia non è banale; quando sono serena, sento di aver luce e sole dentro di me, consapevole anche della presenza di nuvole e i temporali, ma ben calibrati e capaci di vivere insieme nello stesso cielo. Quando sto bene, io e il mio lato oscuro siamo amici, in sintonia, viviamo insieme, una convivenza equilibrata, come se davvero fossimo due esseri paritari.
Cazzate, quando sto male si ribalta tutto. Il cielo diventa quello autunnale, fatto di grigi, il sole non c’è, è stato totalmente coperto, giorni interi di grigio totale, dove la nebbia copre la lucidità ben salda fino a poche settimane fa.
Com’è essere bipolari? Questa è la realtà, non ci sono giorni di sole o nuvole solamente, ma settimane di nebbia, dove perdi anche la strada più comune che ogni giorno percorri.
Cosa c’è che non va? Cosa ti ha scatenato questa sensazione? Perché sei caduta in questo buco? No non c’è nulla che non va, non ci sono motivi scatenanti. Il bipolarismo o qualsiasi altro disturbo psichico è ciclico, come lo è il lavoro su un appezzamento di terreno agricolo, per fare un esempio comune, ciclico, influenzato dal clima, dalla luna e da chi lo ara.
Il mio lato oscuro è una sorta di maggese, un momento in cui metto a riposo la lucidità della mente, per restituirgli fertilità, ma prima deve passare attraverso un anno di totale carestia e svuotamento.
Questi sono i lati di una mente scomposta in settori non comunicanti tra loro, dove l’unico filo conduttore è il poterlo scrivere su un foglio, alleggerendone i contenuti. Aree di colore e aree di grigio, che durante alcune stagioni, fanno veramente paura.
L’incognita più grande per chi soffre di questo disturbo è il non sapere per quanto tempo il cielo resterà coperto, la nebbia oscurerà il sole, la terra può dirsi davvero fertile solo se illuminata dai suoi raggi.
Ho sta cosa dentro di cui non riesco a venire a capo. Per cercare di farmela amica ho chiuso gli occhi e come se fossi in possesso di una telecamera interna, mi sono immaginata di controllare in quale parte del mio corpo potessi trovare la sua posizione. Tra la gola e l’imboccatura dello stomaco, c’era questo groviglio, come un gomitolo, una matassa di nodi, stretti tra loro, rigidamente, bollenti. Da questo punto ho visto partire il resto del mio corpo, luminoso ma debilitato, accorciato, affaticato da questa confusione di nodi che rallentavano il mio movimento.
Il groviglio nasce di conseguenza prima o dopo una scarica di adrenalina non consumata correttamente, non preventivata e non assestata. Scie sporche contaminate da notti assenti, da un cuore pressante, da denti stretti, e occhi spalancati.
Non ho scoperto l’acqua calda, l’adrenalina è un prodotto delle ghiandole surrenali che induce effetti, quasi sempre fugaci, (a meno che tu non sia un soggetto particolarmente ansioso..), come eccitamento fisiologico, aumentando fortemente la pressione arteriosa.
L’adrenalina viene rilasciata in un momento di stress, dettato da un evento, un pensiero, un qualcosa di futuro che dovrà avere luogo; è un ormone che attiva un campanello di allarme, benevolo o meno, per avvisarci che quella detta situazione potrebbe causarci delle conseguenze.
Scientificamente parlando è tutto ben definito, cosa la scatena, come viene prodotta, come reagisce il corpo, quali sono i sintomi più frequenti, quelli più di nicchia, fino ad arrivare a “come combatterla”, una lista chilometrica di attività zen, respirazioni, meditazioni.
Il mio groviglio è resistente alle meditazioni, alle respirazioni e ad ogni sport io voglia praticare, mi segue, mi accompagna, mi preme sul petto, mi toglie l’aria. Sicuramente non sono “portata” per queste attività introspettive, sono più brava ad aprire una bottiglia di vino e alleggerirmi con il suo profumo, come se la matassa andasse assottigliandosi.
Una scarica di adrenalina è un fiume che va lasciato scorrere senza argini, può sommergere fino alla gola rischiando di soffocarci; talvolta può nutrire terreni aridi da piogge. Cosa può aiutarci a determinare cosa sarà?
Ho iniziato a farmi una domanda ogni volta mi trovo di fronte ad una data situazione che mi tiene sveglia la notte: quello che andrò a fare come mi fa stare? Mi alleggerisce come piuma? Oppure mi appesantisce come un mattone?
L’adrenalina del prima o del dayafter può cambiare totalmente se pensiamo a come ci può curvare la schiena, la pesantezza di una scelta, la leggerezza di una non decisione, e viceversa.
Chi l’ha detto che dobbiamo per forza? Siamo padroni del nostro qui ed ora, e possiamo passare attraverso una scarica di adrenalina tenendo solo quello che ci serve, ascoltando il nostro corpo, che ci segnala, ci avverte, ci sintonizza sempre sulle frequenze giuste, non ignoriamoci, siamo i migliori amici di noi stessi, nessuno può capirci meglio.
“Si vive una volta sola, devi buttarti”, non sono del tutto d’accordo, posso dirlo? Cosa potrebbe succedere ad un mattone pronto a buttarsi nel vuoto? Rompersi in mille pezzi, vivendo una volta sola, ma totalmente ricoperto di crepe. Al contrario una piuma potrebbe tuffarsi ogni qualvolta lo desideri, sapendo che il vento continuerebbe ad adagiarla lenta sul terreno senza procurarle alcun dolore o rottura.
Ecco quello che vorrei far passare è: non sempre l’istinto, l’impulso, possono essere motori pronti a muoverci nel nostro sentire; certo, l’emisfero destro del nostro cervello va ascoltato senza dubbio alcuno, ma ognuno di noi sente dentro di sé quella vocina sottile, provenire da un luogo lontano ma estremamente vicino, come un warning, lei ci sta indicando il poi, il DOPO, lei sa chi si schianterà al suolo in mille pezzi e chi volteggerà nel cielo blu, l’adrenalina facciamocela amica.
Aspetto il mese di dicembre tutto l’anno, poi quando arriva è un casino. Una continua alternanza di stati d’animo e sbalzi, luci natalizie e buio delle 16.30 del pomeriggio, speranza misto malinconia. Sarà la fine dell’anno che mi mette addosso quella sensazione di tempo che scorre e scivola via, quest’anno poi, portandomi questo flusso di sinfonie scritte in lettere che pubblico sul mio blog. Sinfonie fatte di ansia, pressione alta, rivoluzione, guerra, post parto, ormoni, pianti, gioie, rincorse, salti, obiettivi, cambio di strade ecc..
Quanti anni ho lasciato soffocare tutte queste “cose”? Lasciavo li quella voce, come se non esistesse, la voce di chi voleva parlare una lingua diversa da quella che io volevo sentire; adesso, a fine anno viene quasi normale fare un bilancio di questo 2020.
Da quando ho aperto la mia “mostra” online, fatta di scritture su ogni cosa mi passi per la testa, è cambiato tanto, ho vissuto quella cosa che Kafka chiamava metamorfosi senza rendermene conto. Ho iniziato a scrivere durante la prima quarantena e qualcuno mi leggeva veramente, incredibile mi sono detta! Scrivevo, liberavo mente e parole e mi sembrava di fare sempre un passo in più verso una meta, ma quando, ad un certo punto mi sono voltata, ho visto una nuova realtà, non ero più nel posto di partenza, era cambiata la strada, la meta, il paesaggio, proprio avevo bypassato i binari che avevo pronti davanti, uscita completamente di strada, ero immersa in acque scure.
La bellezza di questa sensazione? Non so dirla a parole, non sono “riuscita” a restare nella normalità, con mio grande grandissimo piacere. La normalità? Forse una parola, una sensazione che ci serve per non aver paura di annegare in acque sconosciute, ho lottato tantissimo per non essere diversa, e ogni volta che arrivava quella sensazione di mancanza d’aria, formicolio alle mani, cuore nelle orecchie, sudori freddi, mi sentivo come se il mio corpo, la mia mente, la mia personalità soffocata si rivalesse di quello che l’avevo costretta a vivere.
Quando ho iniziato ha scrivere davvero ho come lasciato uscire quel lato emarginato, qualcuno si impossessa di me e parla per tutte le volte che non gliel’ho lasciato fare. Sono acque molto profonde, dove ci si può tuffare solo se si sa nuotare bene, riesco a galleggiare a fatica perché le onde di queste parole sono forti e devo assimilarle poco alla volta per non venire travolta sempre. Voglio aver rispetto di questo mio lato che ho soffocato per tanti anni, ci devo e ci voglio convivere, è mio, e anche lui vive ogni giorno in mia compagnia. Prima lo scacciavo infondo a quel mare spaventoso dove butto tutto quello che mi fa paura, oggi mi ci butto anche io ogni tanto, da sola, perché il naufragare è bello se fatto in solitudine, senza preoccuparsi anche di altri.
Più le parole scendono e si calmano sul foglio, più le mie braccia riescono a tenermi a galla per godere delle onde che mi cullano portandomi, forse, alla riva da cui sono partita.
Entrare in contatto con quei pensieri è stata una delle cose più faticose e spaventose che continuo a fare, non posso smettere, se dovessi farlo tornerebbero ad essere quei mostri giganti che per anni hanno cercato di divorarmi durante le notti buie.
Quando rileggo quello che scrivo mi chiedo in che posto ero, è davvero un posto buio per me, ogni volta penso che sia l’ultima, che non mi riporti più nel mio mondo normale, e invece.. si, perché la novità è che quest’anno le ho dato un volto. Non ci sono mostri anzi, ho visto una bambina impaurita, piccola, che piange da sola e nessuno si scomoda ad accarezzare, ecco io l’ho vista la mia ansia, e aveva proprio quell’aspetto. Ecco perché non posso lasciarla da sola anch’io, ogni bambina piccola ha bisogno di un abbraccio, non esistono bambine cattive, lo sono diventate per qualche sofferenza che nella vita normale non deve essere riconosciuta come tale.
Il mio 2020 è questo, ho dato un volto a quella cosa che mi spaventa da quasi vent’anni, ho conosciuto finalmente quella persona che ho cercato in tutti i modi di far sparire, siamo tante persone ma voi ne vedete una sola.
“Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere.”
Il tema degli attacchi di panico, del bipolarismo, della depressione è qualcosa ancora di cui vergognarsi, un tabù visto come un disturbo da “malati mentali”. Ho deciso di parlare della mia esperienza, della mia storia proprio perché ne soffro e non ho più paura a dirlo. La malattia mentale più grave è quella di chi giudica questi mali senza conoscerne l’entità, senza sapere che dietro ci sono spesso traumi dolorosi.
“Adesso ho capito perché la Fede è così.. lo sapevo che non era normale” cit.
Tra i vari motivi per cui mi sono decisa a scrivere pubblicamente c’è anche quello “curativo-terapeutico”, ragion per cui oggi andrò a parlare di una delle cose che mi hanno fatto più paura negli ultimi anni, tanto da condizionarmi la vita.
Da quasi 16 anni vivo insieme ad un compagno di vita invisibile agli occhi ma estremamente presente e disastroso, si chiama panico, diagnosticato dopo anni e anni di “forse sei solo un po’ stanca”, oppure “Fede devi maturare e smetterla di avere queste crisi”, chiamandolo con il nome di: attacchi di panico e bipolarismo. Che parolone detto così vero?
Si presenta a fasi alterne, durante i cambi stagionali, in momenti particolarmente difficili, per un lutto o un forte dispiacere, in seguito a forti stress. Perdo la rotta, mi spengo, piango e di botto smetto di dormire.
Merita tempo la stesura di questo articolo perché siamo in tantissimi a soffrire in silenzio di questo problema, la vergogna ci assale e non abbiamo il coraggio di farne parola con nessuno per quanto ci sentiamo sbagliati.
Io e il panico ci siamo conosciuti per la prima volta il giorno prima dell’esame di lingua inglese I, arrivato vestito da tachicardia, calore e dolore al petto, bocca asciutta, braccia intorpidite, chiaramente ho pensato ad un infarto. Lo spavento è stato tale da angosciarmi ogni volta che avevo un nuovo esame da dare, fino ad aver paura di aver paura, un circolo.
La cosa che mi ha sempre spiazzato è che lo stronzo si presentava durante la notte, mi svegliavo sudata, affannata e ogni volta il pensiero era lo stesso: “questa volta muoio”.
Quando le dinamiche sono diventate “croniche” ho deciso di affidarmi ai medici che purtroppo si sono rivelati fallimentari fino al 2017, per tredici lunghi anni ho vissuto con questa spina nel fianco, quando se ne andava sapevo che sarebbe stato per poco, sono rimasta in attesa del suo ritorno, sapendo che non mi avrebbe lasciato mai.
I medici più pressapochisti che mi suggerivano camion di benzodiazepine come se fossero acqua fresca, mentre gli psicologi più banali per 90 euro l’ora ricercavano le cause di questo mio male nel paleozoico. I motivi scatenanti sono molto privati e tali resteranno, ho sempre saputo la causa e non era di certo rivangare nel passato che mi avrebbe salvato. Avevo solo bisogno di vivere nel presente e imparare a gestire questi attacchi di panico per condurre una vita normale durante i miei periodi di down cosmico.
La mia cura è iniziata in quel famoso 2017 e sta ancora andando avanti, ho imparato con la meditazione e il training autogeno come gestire questa bestia e soprattutto ho capito che fingere che non esista è la mossa più sbagliata.
Quando il panico mi prende la gola mi sento morire, ma davvero. Lucidità e razionalità sono perse nel niente, in quel momento cerco aria, vita, luce. Sono tachicardica al punto di aver perso anche i sensi, vedo solo nero, piango con singhiozzi. Sento che lui sta arrivando a prendermi la gola momento in cui ho paura di smettere di respirare. Mi colpisce sempre negli stessi periodi, ed ecco che appena scatta l’ora x arriva il mio polo nero. Sono spenta, ansiosa, claustrofobica, con forte bisogno di silenzio, protezione e aiuto. Esternamente conduco la mia vita in modo esemplare, forse si noteranno di più le occhiaie per mancanza totale di sonno, ma sembro semplicemente stanca.
Il peggio è stato per le persone a me vicine, mia mamma che mi ha sempre assistito durante quelle notti infinite, senza mai una parola di rabbia o di giudizio, il mio compagno Fabio che mi ha raccolto durante il momento più nero con la pazienza e la cura necessaria tanto da farmi sentire accettata in modo naturale.
Ho vissuto così tanti anni nascosta per paura che qualcuno sapesse il mio punto debole giudicandomi “malata”, quanta ignoranza. Oggi dico che è una malattia a tutti gli effetti, come un diabete o la pressione alta, invalidante, non si tratta di capricci o mancanza di maturità o qualsiasi altra stronzata le si voglia attribuire. E’ un fenomeno capace di annullare le persone più solari e credo sia giusto parlarne per far comprendere a chi non conosce la bestia, che male può fare a chi ne soffre.
Sono disturbi frutto di traumi passati che hanno cambiato la nostra mente, ma anche lo specchio di una società malata che ci sta distruggendo interiormente, facendo breccia sulla nostra inadeguatezza.
Un pensiero particolare va dedicato a chi ne soffre come me e vuole figli, uno dei “medici rinomati” nel settore mi aveva ventilato di evitare gravidanze per la mia salute mentale, il tutto si sarebbe potuto aggravare, in realtà trovando il medico giusto sono diventata mamma e sto anche decisamente meglio rispetto agli anni passati. Infatti ad oggi gli episodi si sono via via alleggeriti, la meditazione e la gestione della respirazione mi hanno insegnato a comandare la mia mente anziché farmi imprigionare in un angolo. La vita frenetica, uno dei male peggiori, è un vecchio ricordo, non faccio più niente sotto pressione. Successivamente nello spazio dedicato alle “vostre domande” vi spiegherò come mi sono e mi sto curando.
Sono consapevole che avrò sempre giorni bianchi e giorni neri nella vita, ho imparato che non sono sempre io a scegliere che colore indossare al mattino, ma posso schermarmi per evitare che il mondo esterno mi annerisca troppo. Combatto sempre contro questo panico che mi aspetta dietro l’angolo in attesa di trovarmi disarmata, sono qui a parlarne anche per rimpicciolire i suoi poteri. Non nascondermi più è una delle mie armi più forti, quello che ho vissuto è reale non “frutto della mia mente”, so che male fa sentirsi non capiti e frasi del genere sono l’esempio di come le persone non si mettano mai nei panni degli altri.
I disturbi come il mio fanno parte degli scherzi della mente, e vanno curati, accettati e accompagnati per mano. Sono segnali di allarme che vogliono farci capire che qualcosa non va, il nostro corpo si sta difendendo da una paura che ha provato e ogni volta che si ricrea una situazione simile il nostro cervello va in allarme provocando questo sfogo.
Tramite il mio account Instagram ho conosciuto tante persone che vivono questo male in forma anonima, trovando il coraggio di parlarne solo con chi soffre della stessa cosa. Ho raccolto diverse domande ricevute e ho pensato di dedicare uno spazio qui di seguito a cui rispondere. Sono domande molto frequenti, simili per chi ha sofferto e ne soffre ancora e sono una speranza, un appiglio, una forma di mutuo aiuto che voglio dare a tutti.
Le vostre domande:
io soffro di ansia, credi sia la stessa cosa?: Non proprio, l’ansia credo sia una delle malattie del nostro millennio, preambolo di qualcosa che sta per “esplodere”, vale la pena quindi rivolgersi a qualche specialista che possa aiutarvi a gestirla per evitare che possa trasformarsi in disagi fisici.
prendi dei farmaci? al momento no, ma li ho presi e li prenderò ancora appena dovessi averne bisogno. È stato inevitabile usarli in periodi in cui non volevo alzarmi dal letto, in cui il nero mo scorreva nelle vene. Ci si può curare anche senza, con farmaci omeopatici, tutto dipende dalla “pesantezza del disturbo”. Non si guarisce da soli questo deve essere chiaro.
Come ti stai curando? ho preso farmaci nei momenti peggiori, attualmente invece sono riuscita a scalare e ad essere “quasi” pulita. La cura migliore per me (ogni persona è a sé) è stata la meditazione per gestire la respirazione frenetica, lo sport e la terapia EMDR praticata da uno specialista. Ve la spiego vista da me che sono una paziente: l’attacco di panico è una forma di difesa che viene azionata dal nostro cervello ogni volta che ci sentiamo in pericolo, nel nostro inconscio viene percepita una sorta di paura che ci rimanda in un momento ben preciso della nostra vita che ci ha probabilmente (non è sempre così) causato un trauma. L’EMDR è una terapia fatta di esercizi visivi che aiutano a disgregare nel nostro cervello queste associazioni di paura con conseguente panico, inserendone altre. Magari qui vi metto un link che spiega meglio il tutto, dato che non sono un medico competente:
Questo video è estremamente esaustivo, il tema della minaccia è molto importante, l’attacco di panico è un allarme che ci dice che c’è un’imminente minaccia rimandandoci ad un trauma passato. Ecco dopo quasi tre anni con questa terapia posso dire da diversi mesi non ho più avuto attacchi violenti.
Prendere i farmaci crea dipendenza? qualsiasi genere di farmaco che sia ansiolitico o antidepressivo va preso seguiti da specialisti. Loro sanno esattamente in che quantità si può creare la dipendenza. Ricordo che anche la sigaretta crea dipendenza e fa più male, quindi andiamo oltre, se ci si deve curare si prende il farmaco. Io non sono dipendente nonostante li abbia presi per diverso tempo. L’utilizzo di questi farmaci non fa di noi persone peggiori, mentre invece non curarci si, ci rende peggiori e ci fa stare sempre più male.
Come hai affrontato la gravidanza? Sapendo che è uno dei momenti più delicati in assoluto mi sono mossa per tempo facendomi sempre seguire dal mio medico specializzato in disturbi pre e post parto, così da non farmi trovare impreparata. Se state seguendo delle terapie farmacologiche per ansia o depressione ricordatevi che potete avere figli senza interrompere bruscamente la terapia basta rivolgersi ai medici competenti e aggiornati sulle nuove medicine.
Si può guarire? Questo non lo so, sono onesta. Quello che so per certo è che ci sono periodi pesanti e periodi leggeri. Io sono migliorata ma non fuori pericolo, ci sono momenti dove non ho il controllo al 100% delle mie paure e la modalità nero si attiva. Rispetto ai primi anni in cui ero completamente rapita da questi attacchi e avevo paura ad uscire di casa, oggi conduco una vita normale.
“Avrei bisogno di una giornata di 48 ore per fare tutto, in 24 è quasi impossibile”. La mia vita è circa così: sveglia ore 7, vestiti preparati il giorno prima con accessori e scarpe giuste, capelli curati (lisci o mossi, mai lasciati da soli o liberi di essere), trucco partendo dalla skin care fino al rossetto, unghie colorate e si parte con la mia borsa piena di agende (almeno 3), il tutto in 30 minuti di orologio.
Ore 7.30 colazione al bar con due o tre persone con cui inizi anche a dire qualche battuta perché le vedi ogni giorno, poi via subito in ufficio. Lavoro in modo frenetico, sono una donna e sono multitasking, si perché più fai adesso e meno fai dopo, il mio scopo è alzarmi dalla scrivania sapendo che il giorno dopo mi porterò il meno possibile. Nella vita ci vuole fretta, bisogna fare tanto e avere il fiato corto anche da sedute.
Ore 17 via di corsa e pronti per il fitness, si va in ciclabile (sole, pioggia, vento, freddo o neve), doccia veloce, appuntamenti vari con: estetista, osteopata, naturopata, riflessologia plantare, yoga, cena volante e poi un’ora di meditazione forzata per buttare fuori la negativà perchè non riesco mai a dormire (ma dai?). Si va a letto alle 23.30 circa, ma in media dormo intorno alle 2, e se il nervosismo non mi da tregua inizio a pulire il bagno.
I miei compagni di viaggio fissi sono: l’ansia, il fiato corto, panico, angoscia, paura di avere paura, paura di non avere tempo, appuntamenti spesso concomitanti, e tanti tanti soldi per tutti i miei cari specialisti che avevo bisogno di vedere per “stare bene”. Dedichiamo un paio di righe a questi specialisti.. che hanno un incasso solido anche grazie ai nostri stili di vita che ci spremono fino all’ultima goccia; “Fede hai bisogno di vivere nel qui e ora, smetti di organizzarti la vita”.. grazie (ci starebbe bene un’emoticon di whatsapp la faccina con occhi — e bocca __ mi capite?) Ognuno di loro mi prepara la “pozione magica” per drenare, dormire meglio, depurare il fegato, aiutare i reni, rilassare il cuore, lo zenzero, le bacche, i fiori, gli integratori ecc.. io compro tutto.
Per qualche motivo a me ignoto, in mezzo a questo casino di appuntamenti e doveri resto anche incinta, incredibilmente la mia testa va in slow motion immediato, come per difendere quella bambina dalla fretta divoratrice della mamma e così mi passano tutti i disturbi per cui mi stavo curando. Nasce la bimba e le ostetriche mi aiutano ad alimentare nuovamente la fretta, deve assolutamente arrivare il latte. Purtroppo arriva tardi, lei perde troppo peso e di conseguenza non veniamo dimesse il giorno promesso. Finalmente ci portano il primo latte artificiale, la bambina per la prima volta dopo tre giorni non piange e dorme beata, ma io inizio a sentirmi poco bene, sono agitata, nervosa. Mi scoppia la testa, il mio battito cardiaco è troppo alto, chiamano il medico di turno perché sto per perdere i sensi, poi ricordo poco.. solo che mi hanno sedato e portato via la bambina, avevo la pressione 120/180 e un pensiero solo: la mia bambina non mangiava da tre giorni. Vengo dimessa qualche giorno dopo con allattamento misto e ragadi sanguinanti, un calvario. Questo mio stato confusionale scatena mille ansie assopite da tempo, e nei tre mesi successivi dalla nascita la pressione del sangue peggiora fino ad un secondo ricovero ospedaliero.
Siamo ai primi di gennaio e mi portano in ospedale con una forte aritmia e pressione di nuovo alta, resto una notte dentro da sola con i miei pensieri: devo stirare, devo pulire, devo dare il latte alla bambina, devo riprendermi perché il mio corpo ancora porta i segni del parto, perché sono ancora in questo stato? Vengo dimessa il giorno dopo con 7 pastiglie per cuore e pressione. Arrivo a casa e corro dalla mia bimba che ha dormito tutta notte, appena la vedo mi sorride e restiamo insieme nel letto a farci le coccole. Da quel giorno prendo la decisione migliore: basta allattamento al seno. Dopo un mese la pressione inizia a scendermi.
Arriva il Covid e non mi lasciano più avere avere fretta. Non posso più correre in palestra, in ciclabile, dal parrucchiere, dall’estetista, da tutti gli specialisti, basta dormite ad intermittenza perché al mattino “dobbiamo andare”, basta, mi devo fermare. La quarantena non rispetta i miei ritmi, e così mi sono fermata, insieme alla mia bambina. Ci siamo coccolate fino a diventare invincibili insieme, tanto che oggi 1 giugno le pastiglie che prendo sono 1 soltanto, dimostrazione che la fretta mi stava uccidendo.
Si la mia malattia è la fretta e non voglio insegnare a mia figlia che correre ed essere multitasking è il modo giusto per essere riconosciute come “brava”, distruggersi fisicamente per ottenere risultati appaganti? Ma possiamo dirlo veramente? Ma dove stiamo correndo ce lo siamo chiesti? Ci siamo dati uno scopo nella vita? Io dopo quella notte in ospedale mi sono promessa serenità, vivere di corsa non è un preludio di qualcosa di bello che arriverà, è solamente una distruzione che porta all’annientamento. E per favore non banalizziamo questo articolo dicendo “fare figli ti cambia la vita”, no, io stavo rischiando di esplodere per il mio stile di vita multitasking.
Non è avere figli che cambia la vita, nel mio caso è stata la paura di rovinarsi la saluta concretizzata, la paura di non fermare la mia testa perché pensava troppe cose insieme, la paura della notte che mi teneva sveglia troppe ore, la depressione post parto che ha invaso i primi mesi con la mia bambina ma che, tramite il campanello d’allarme della pressione alta, mi ha spinta a chiedere aiuto in tempo. Probabilmente è stato proprio l’arrivo del figlio che ha peggiorato la mia situazione di salute al punto “giusto” per potermi salvare in tempo. Sono le mie nonne che dall’alto mi hanno mandato questa meraviglia di bambina, per salvare una nipote troppo severa con se stessa che si sente sempre in debito con la vita e con il mondo.
Facciamo tesoro della pace che abbiamo sentito in quarantena, ricordiamoci di lei quando ci sentiamo soffocare. Sono convinta che sia stato un modo per dire a tutto il genere umano che stiamo correndo troppo senza una meta.