E’ il 25 di novembre e ho perso il conto di quante volte ho scritto testi o saggi brevi relativamente al tema, mi piacerebbe avere la ricetta giusta, quella che fa la magia e sistema tutto. Cosa posso dire oggi di diverso? Cosa posso dire che non sia già stato detto mille volte?
La parola chiave che ho scelto per scrivere oggi è NORMALE, il problema è questo, è tutto ancora normale, parte del nostro quotidiano. Ci sono situazioni in cui è normale vivere così, donne che vivono sul filo del rasoio ogni giorno perché basta poco per scatenare la bestia. Tutto normale, ci si sveglia, si fa colazione, si portano a scuola i figli, tutto deve essere fatto in un certo modo perché da un momento all’altro lui potrebbe arrabbiarsi, ma è normale, lui lavora molto ed è stressato.
“Lui è un brav’uomo, mi da la possibilità di stare a casa dal lavoro per accudire i figli, solo ha questo piccolo difetto, ma lo so che non è colpa sua, sono io che scateno queste reazioni, può succedere”
“Ho chiamato i carabinieri perché avevo paura, ieri sera ha superato ogni limite, ma poi quando sono arrivati mi hanno fatto ragionare e ci siamo riappacificati, anche loro mi hanno detto che alle volte succede anche nelle migliori famiglie”.
Queste sono le frasi che ho sentito più e più volte nei centri antiviolenza, la maggior parte di queste donne ha scelto di non proseguire, di restare in questa normalità, perché è questo l’ambiente in cui vivono. Su dieci donne che si recano in questi centri, forse due arrivano alla fine del percorso, la maggior parte sceglie di fermarsi, soprattutto per il bene dei figli.
La maggior parte delle donne che si reca in ospedale con contusioni o fratture dovute alla violenza domestica non denuncia, inventa scuse pessime del perché si trova li, per evitare di essere picchiata ancora quando tornerà a casa, la motivazione è lampante, davanti agli occhi di tutti, ma purtroppo se lei sceglie di non agire, nessuno può farlo al suo posto. Diverse sono state le telefonate o i contatti di persone vicino alla vittima, ma l’azione di aiuto, sostegno e protezione può partire solo se è lei a chiederlo.
I centri antiviolenza sono ovunque, facili da trovare, digitando su Google trovate sempre la sede a voi più vicina. Tutto si svolge nell’anonimato più totale, le volontarie sono obbligate al silenzio e alla non divulgazione, siete al sicuro e protette. Le volontarie sono formate con corsi specifici tenuti da psicologi, avvocati, sociologi, medici, figure di rilevanza che danno un’ottima base a chi vi deve aiutare.
La bolla della normalità in cui viviamo queste violenze è ancora difficile da rompere, la casa dovrebbe essere il posto più sicuro in cui ognuno di noi si può riposare, proteggere, godere il relax a fine giornata, sentire il calore dei familiari, se non è un posto sicuro allora non è casa.
Fate il bene dei vostri figli, non restate in quella casa, i vostri bambini vedono tutto, non devono crescere in questa normalità deviata, saranno uomini violenti a loro volta, o donne vittime che non parleranno, questa normalità non va tramandata. Uscite dalla bolla, scappate, urlate e denunciate, solo così i vostri bambini impareranno che non è normale, la violenza è sempre sbagliata in ogni sua forma. Salvatevi e salvate i vostri bambini, ripulitevi dallo schifo di quell’uomo che non è degno di crescere vicino a voi.
A tutte le forze dell’ordine, che ad ogni chiamata ricevuta da donne in lacrime, spesso cercano di smorzare la rabbia e la paura con la mediazione dico NO, non funziona così, è omissione di soccorso, la prossima volta potrebbe non riuscire più a telefonare perché la violenza è stata troppa, non c’è nulla da mediare o sistemare di fronte a botte corporee o violenze, la donna va messa in sicurezza subito.
Lasciatemi fare un appello, come ogni anno in questa giornata triste, non lasciate mai sole le vittime, spronatele sempre a denunciare anche se capite che non serve, vi sembra che lei non capisca, non voglia reagire, non mollate mai, perseverate, continuate a stargli vicino, non lasciamole solo nella loro normalità malata.
Rompiamo la bolla della normalità, rompiamo il silenzio.
Ho talmente tante cose da dire in merito alle molestie che, per non creare confusione al lettore, ho dovuto farmi schemi, ordinare le “sotto tematiche” e cercare di incastrare tutto.
Partiamo dalle basi, la definizione secondo la Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/molestia): sensazione incresciosa di pena, di tormento, di incomodo, di disagio, di irritazione, provocata da persone o cose e in genere da tutto ciò che produce un turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale, nel link annesso potete leggerla al completo.
Qualcosa che provoca turbamento, disagio nel benessere altrui, in effetti detta così credo di essere stata anch’io una molestatrice nella mia vita, ed infatti è così. La molestia generalizzata viene vissuta da tantissime persone in tantissimi ambiti, quello che interessa a noi però si chiama MOLESTIA DI GENERE, inflitta da un uomo su una donna.
La teoria che voglio spiegare non è semplice nella mia testa, figuriamo scriverla in modo comprensibile, cercate di seguirmi ok? Iniziamo dicendo che in situazioni di molestie ci sarà sempre un agente (chi compie la molestia) cioè il molestatore, è un soggetto subente (chi la subisce) la vittima, ma l’ago della bilancia è l’intenzione. Essendoci due soggetti ci saranno due punti di vista e due emozioni differenti. Il molestatore può agire intenzionalmente (ed ecco l’aggravante del gesto), oppure può discolparsi dicendo che non era intenzionato a farlo e scusarsi risolvendo la situazione, (ovviamente deve trattarsi di un fatto increscioso che sia dato dalla casualità). La vittima in quanto tale ha subito molestie, intenzionali o meno, quindi ha tutto il diritto di sentirsi a disagio, ma se l’atto è stato intenzionale qui si va nel penale, sempre che come tale venga riconosciuto (…)
Quanti uomini incriminati di molestie non sono stati neanche minimamente processati perché “non era sua intenzione”, e quante donne invece sono state accusate perché “si ma tu onestamente ricordi di averlo provocato in qualche modo?”, diciamo che sperare nella coscienza pulita del molestatore è come dichiararsi delle donne bugiarde che hanno esagerato nella reazione.
Ora però vi propongo due esempi di molestie, il primo non intenzionale, il secondo si, poi trarremo insieme le conclusioni dovute:
Sto camminando da sola, passa un uomo in macchina che, abbassando il finestrino emette una specie di fischio, immediatamente mi sento a disagio e gli faccio il dito medio, lui risponde: “maleducata, volevo solo farti un complimento”. Io ho sentito un disagio, quindi siamo entrati nella fase molestia (che ci piaccia o no è così). Lui voleva molestarmi? Immagino di no, ha solo lasciato che i suoi ormoni goliardici prendessero il sopravvento come fanno i babbuini su National Geographic; chi fa il verso più acuto riuscirà ad accoppiarsi per primo (e mi scuso coi babbuini per questo paragone). Cosa intendeva fare quindi? Il suo fischio voleva SOLO farmi capire che mi trova sessualmente attraente.
PRIMA DOMANDA: dovrei sentirmi lusingata? Forse perché viviamo in una società che ci insegna giorno dopo giorno come le donne debbano essere belle e sensuali per valere qualcosa? Come se fosse uno dei requisiti basic per essere notate dal mondo?
SECONDA DOMANDA: alla luce di quanto sopra, posso sentirmi autorizzata ad alzare il dito medio? Sono infastidita dal suo atteggiamento animale e rispondo a tono, perché divento maleducata ai suoi occhi?
Ecco forse come prima cosa fondamentale dovremmo spiegare alla comunità dei babbuini che i loro richiami non hanno l’effetto che speravano su di noi, anzi. Io ho parlato con uno di questi “babbuini” uno dei più intelligenti però, il quale mi ha risposto: “Fede, guarda che a noi non frega molto di che reazione potete avere, tanto vi lamentereste comunque”. SIPARIO.
2. Caso del molestatore che lo fa intenzionalmente intenzionalmente, in questo caso racconterò la storia di questa ragazza che si è rivolta ad un centro antiviolenza, in anonimo perché ogni info raccolta in questi luoghi è assolutamente confidenziale e purtroppo anche perché attualmente la ragazza lavora ancora nel posto incriminato. Ecco si ho già spoilerato che si tratta di molestie su luogo di lavoro, ma che strano vero? La vittima: lavora in ufficio, è separata, ha una figlia piccola, l’ex marito disoccupato che non partecipa al mantenimento della bimba (anzi era arrivato a chiedere aiuti economici a lei perché lui non lavora, ma questa è un’altra storia), aggiungo anche che è straniera (n.d.a. il classico maschio medio italiano direbbe: beh allora considerando che è separata, ha figli ed è straniera dovrebbe già essere contenta di lavorare). Il molestatore: è uno dei dirigenti, ha circa 20 anni in più di lei, è un lurido maiale (scusa maiale per il paragone) e ha un debole per le donne, tutte, è sposato ma, ha detta sua, ha all’attivo diverse relazioni extra coniugali di cui ne fa continuamente vanto. Cosa fa il nostro caro dirigente molestatore? Semplice, le invia messaggi e foto che fanno veramente vomitare, foto di lui non molto vestito (tra l’altro un uomo poco gradevole alla vista), messaggi in orari notturni con tutta una serie di espressioni colorite su cosa vorrebbe fare alla nostra vittima. Lei inizialmente ne ha parlato con il suo responsabile (dirigente al pari del porco maniaco), il quale ridendo ha risposto: “si sai che lui è un po’ così”, ma si è comunque preoccupato di ammonire il colpevole che indovinate come si è giustificato? Dicendo che la vittima gli avrebbe lasciato intendere altro, cioè che gradiva, per fortuna però i suoi messaggi si sono fermati. In azienda sono tutti sereni perché la situazione si è risolta giusto? Lei non riceve più messaggi, gli è stato chiesto di non far denuncia dato che ha bisogno di lavorare, lei ha accettato in nome dello stipendio che riceve per mantenere la figlia. Il molestatore per paura di venir additato come il maniaco dell’azienda si è preoccupato di dare a tutti una versione che lo tutelasse, quindi nonostante lei fosse stata in rispettoso silenzio, ha scoperto dopo qualche settimana che i colleghi non le parlavano più perché lei aveva infangato il buon nome del dirigente X, si anche le colleghe donne.
Conclusioni da trarre?
la prima lampante è che in entrambi i casi ci sono due vittime che si sono sentite molestate, che si sono sentite a disagio e che nonostante abbiano alzato la mano per farlo notare non hanno risolto molto, questo è molto sconfortante,
nel primo caso la vittima sa per certo che nella vita incontrerà ancora uno dei tanti babbuini che urlano per strada,
nel secondo caso la vittima sa che il dirigente non ha imparato nulla da questa situazione anzi, la sua richiesta di aiuto l’ha portata a venir emarginata e a sentirsi a disagio ogni giorno sul lavoro, perché gli occhi di quell’uomo sono ancora sempre puntati su di lei,
entrambi i molestatori esercitano un potere sulle vittime, questa è una caratteristica comune in ogni situazione di violenza infatti; il molestatore ha una posizione dominante, detiene il potere e riesce ad aver in pugno sempre la vittima (in senso figurato e non). Chi subisce invece si ritrova sempre con una grande delusione, un senso di impotenza e la sensazione di non poter mai aver giustizia.
Onestamente vi dico che nella vita ho subito anch’io molestie, non importa molto se fossero o meno intenzionali, io mi sono sentita a DISAGIO, mi sono sentita SPORCA, ho avuto paura. Il mondo in cui viviamo non ci fa stare serene, alzar la mano e dire “mi sono sentita molestata” corrisponde quasi sempre ad una domanda: “Si ma tu cos’hai fatto? Hai un atteggiamento che spesso può essere frainteso”. Si perché il processo alle intenzioni non viene fatto ai molestatori, ma delle vittime, siamo noi che veniamo messe sotto accusa per capire cos’abbiamo fatto, che atteggiamenti avevamo, come eravamo vestite per meritarci un comportamento così.
Il processo è sempre verso la vittima, fintanto che sarà questa la risposta della nostra società, come possiamo dire di ROMPERE IL SILENZIO? Come possiamo far passare il messaggio che LE MOLESTIE VANNO DENUNCIATE?
Vi dico una cosa, i centri anti violenza a supporto delle donne vi possono aiutare, lavorano con specialisti in grado di rompere questi meccanismi patriarcali e malati, psicologi, avvocati, assistenti sociali, anche responsabili della sicurezza per il lavoro, e credetemi questo è il pane per i loro denti, non lasciate che tutto vada sotto l’uscio entrando a far parte della quotidianità, rivolgetevi al centro anti violenza della vostra città e raccontate sempre tutto.
Non siamo sole in queste situazioni, tantissime donne vivono quotidianamente molestie soprattutto al lavoro, non lasciatevi convincere quando vi dicono “per così poco non avresti potuto fare molto, se avessi denunciato non avresti concluso nulla”, FALSO. Capisco sia difficile rivolgersi alle forze dell’ordine (spesso sono loro i primi a cercare di “mediare”), ecco perché insisto con i centri anti violenza, i loro specialisti sono estremamente preparati e possono aiutarvi in modo silenzioso ed efficace.
A noi tutte dico di ascoltare sempre col cuore la donna che abbiamo di fronte che ci sta chiedendo aiuto, con le parole, con lo sguardo, con le mani, con il corpo.
FERMIAMO IL SILENZIO, fermiamo la sicurezza di questi uomini che pensano di avere in pugno il nostro mondo, sono loro gli unici a doversi sentire a disagio e sporchi.