“Dalla parte della bambine” – manca ancora molto alla parità di genere?

Anche quest’anno mi sono trovata di fronte alla necessità di comporre un testo sulla parità di genere in Italia, focalizzandomi sul: “Quanto manca ancora alle donne per”; ho fatto veramente fatica, per la prima volta.

Fatica dovuta a cosa di preciso? Ci ho pensato molto, mi chiedevo: perché non riesco? Questa è la mia tematica, il mio pezzo forte, basta andare a rileggere tutti quelli fatti in precedenza no?

Poi ho capito: rileggere quelli fatti in precedenza si, perché di tutto quello che scritto e discusso negli anni, non è cambiato nulla, tutto è ancora esattamente uguale.

Ecco il motivo della fatica, svenarsi ogni volta per elencare quello che ancora manca, quello che ancora non va, rendendomi conto che dico e scrivo sempre le stesse cose, non perché io sia monotematica, perché ancora nulla si è mosso.

Allora mi sono chiesta: nonostante negli ultimi decenni il femminismo sia così inserito all’interno di diverse forme mediatiche, social, movimenti trasmessi in ogni angolo della terra, perché ancora non si sono fatti molti passi avanti? Quali sono gli ostacoli, dove risiedono queste abitudini che ancora vedono le donne come esseri docili, mansueti, addomesticati, che dovrebbero con grazia e femminilità adempiere alla vita a cui ognuna è solitamente destinata? Rispecchiando retaggi culturali e sociali di cui siamo schiavi.

Parto specificando che la quarta ondata femminista, vale a dire quella a cui stiamo assistendo ai giorni nostri, quella a cui mi sento di appartenere e quella a cui tutti dovremmo prestare attenzione veramente, proclama e richiede parità di genere. Erroneamente a quello che siamo portati solitamente a pensare, luogo comune stereotipato da secoli e secoli di patriarcato, il femminismo attuale non vuole la supremazia delle donne sugli altri, vuole la parità tra generi, a livello sociale, economico e politico.

Ecco perché oggi è impossibile parlare di parità di genere senza chiamare in causa il femminismo.

Per darmi una motivazione valida su ciò che ancora boicotta questa parità tra generi, sono andata a leggere diversi saggi di specialiste, cercando risposte alle mie domande, un libro in particolare mi ha letteralmente colpito dandomi la spiegazione più naturale e ovvia.

L’autrice, Elena Gianini Belotti, è stata una pedagogista, insegnante e scrittrice, tra i tanti libri scritti, dedicati alla tematica delle donne e dell’infanzia, uno è stato illuminante, il titolo è Dalla parte delle bambine.

Quest’opera è datata 1973, quindi piuttosto antica, passatemi il termine, rispetto al nostro 2023, ma spaventosamente attuale, ecco perché voglio segnalarla.

E’ una mera indagine scientifica, condotta tra reparti di ostetricia e scuole dell’infanzia, che analizza la differenza di carattere tra maschi e femminine come frutto di una differenziazione dei sessi operata fin dalla prima infanzia, quasi prima della stessa nascita, strumentalizzando il concetto di femminilità e mascolinità sotto ogni suo stereotipo peggiore per fabbricare la tipologia standard di donna e uomo ben inserita nella nostra società.

Vorrei ricordare come fino a poco tempo fa, in alcuni piccoli paesi fuori provincia tutt’ora, si sentisse la frase: “Auguri e figli maschi”, sarà un caso?

Assolutamente no, Gianini Belotti infatti spiega come fin dal concepimento si sperasse in un maschio, per portare avanti il cognome, per fare grandi cose, per essere genitori orgogliosi, perché i bambini si sa, saranno gli uomini di domani, e agli uomini è riservato il potere.

Nulla a che vedere con le bambine, dalle quali, già appena nate ci si aspetta molto. Riassumendo in breve, per quel che posso, Gianini Belotti documenta, come le bambine vengano abituate da subito al sacrificio, vengano domate ed educate in modo repressivo dai genitori, soprattutto se presentano caratteristiche animate, nervose, rumorose, troppo giocose, tutte qualità invece, riconosciute e fomentate sui bambini. Le bimbe devono essere instradate verso la docilità, la grazia, l’accettazione di una posizione marginale, la dedizione alla famiglia, il silenzio, insomma: addomesticate.

Nell’ambiente domestico, vengono interrotte nei loro giochi o nelle loro attività, per aiutare la mamma nelle faccende di casa, mentre i maschietti no, vengono lasciati liberi di giocare, od oziare sul divano quando saranno adulti, dopo una giornata di lavoro ad esempio.

Le bambine imparano presto che per soddisfare le aspettative riversate su di loro, devono eseguire gli ordini, specialmente all’interno del focolare domestico, senza ribellarsi, senza urlare o rifiutarsi, perché non è ammessa l’insubordinazione. Fin da subito capiscono così la distinzione dei ruoli, che entra dentro, nel profondo, mettendo le basi per schemi fissi messi in pratica nel futuro, specialmente quando quelle bambine diventeranno donne adulte, destinandole ad una mancanza perenne di autostima, cosa che nei maschi, uomini adulti del futuro normalmente non succede.

Già queste righe credo possano bastare per darci una chiave di lettura consona, mostrandoci come mai manchi ancora molto al raggiungimento di parità tra generi.

Vorrei però fare una mia riflessione mettendo nero su bianco le conseguenze di questa educazione che ci portiamo dietro da millenni.

Sulle femmine si tende a reprimere ogni forma di espressione di rabbia, di potere, bisogno di affermazione ecc. Dall’altro lato, ai maschietti, viene concesso, perché tutto ciò che è legato all’istinto, alla fisicità, la necessità di vincere, di elevarsi è lecito.

Non è forse anche questo, o soprattutto questo, il motivo per cui, nonostante sul pianeta terra le donne siano in maggioranza, sono gli uomini a governare? Sono gli uomini a detenere il potere, ad avere ruoli importanti e in percentuale a lavorare di più.

Dunque, al tavolo dei potenti noi non ci siamo, o se ci siamo, è in minoranza.

Viviamo ancora in mondo in cui potere e soldi sono simbolo di virilità, dove rabbia, lotta, e ribellione sono caratteristiche che sulle donne non vengono accettate.

Un esempio banale è il famoso gender pay gap, ovvero la differenza salariale tra i sessi.

Quante di noi si sono mai permesse di mettere in discussione lo stipendio offerto durante un colloquio di lavoro? O anche solo permesse di chiedere la paga?

“Non sta bene sentire le donne parlare di soldi” diceva sempre mio nonno, e inoltre a seguito dell’educazione ricevuta, non ci sentiamo nemmeno meritevoli di chiedere di più.

“Non sono abbastanza” questo abbiamo imparato fin da piccole. Pensiamo a cosa può assimilare una bambina che cresce insieme ad un fratello maschio, come vive le differenze educative, sentendosi diversa, discriminata talvolta, inferiore, ricordo infatti, come precisa Gianini Belotti nel suo libro, che sono le bambine a venire continuamente interrotte per aiutare la mamma, cosa che non accade coi fratelli. Questo atteggiamento protratto nel tempo innescherà nel carattere femminile il nulla osta a mettersi in secondo piano per gli altri, a sacrificare la felicità per il dovere.

Nell’ambiente lavorativo quindi, sulle basi fondate da famiglia e scuola, le donne raramente lottano per il proprio riconoscimento anzi, accetteranno quello offerto, non riconoscendosi valide quanto un uomo, quanto un bambino maschio.

Come si può contrattare una paga salariale se nella nostra mente, una voce subdola ci dice: “Certamente ci sono persone più brave di te, accetta quanto ti viene offerto, sii buona e stai al tuo posto”.

Ecco spiegato, in buona parte, perché ancora non siamo arrivate dove vorremmo, ancora combattute tra lavoro e famiglia, facendoci carico di tutti i pesi familiari, lavorando il doppio degli uomini per sentirci a posto con la nostra coscienza, sapendo che a parità di titoli di studio, il nostro stipendio e la nostra valutazione sarà sempre inferiore, perché si sa, le bambine devono avere grazia, pazienza ed eleganza, portare un tocco femminile nel mondo, non di certo qualifiche o capacità particolari.

La società, ma anche la mentalità di ogni suo singolo componente, fa ancora fatica a bloccare questi retaggi insiti dentro di noi, viene difficile quindi cambiare usanze e metodi così radicati da non renderci nemmeno conto di cosa facciamo e di come etichettiamo e istruiamo bambine e bambini.

Mi metto in discussione anche io, senza recriminare nulla alla mia famiglia o alle mie maestre di quando ero bambina, sono stata cresciuta così. Sto facendo un grande sforzo per esaminare i miei atteggiamenti e le mie aspettative verso mia figlia, lasciandola libera come essere umano. Infatti all’età di tre anni, i bimbi iniziano a notare alcune differenze fisiche tra maschi e femmine e piano piano cresceranno riconoscendo tutte le diversità che noi adulti, prendendoci come modello, tendiamo ad evidenziare.

Adesso è il nostro turno, è il nostro momento, per cambiare, per tagliare queste radici patriarcali, evitando di domare, addomesticare le nostre bambine, insegnando ai nostri figli maschi che piangere è normale, la fragilità è normale.

Ecco cosa serve, a mia modesta opinione, per mettere le basi, solide fondamenta verso la parità di genere, una rivoluzione societaria e familiare, che limiti l’applicazione di stereotipi sui nostri piccoli adulti di domani.

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“Quella grassa”.

Ultimamente sono ossessionata, posso dirlo? Il fatto che mia figlia sia prossimo all’inizio della scuola dell’infanzia è per me un pensiero fisso.

Chiudo gli occhi e mi sento di viverla come se il tempo in cui potevo tenerla sotto copertura dal mondo esterno sia agli sgoccioli, un mese e poi il filtro che sto mettendo su ogni anomalia non avrò più modo di applicarlo.

Non posso listare in toto quelle che sono le mie paure verso il mondo che la sta aspettando, quale mamma non le ha? La verità è che probabilmente non sono pronta io a viverle di nuovo.

Nei suoi occhi vedo il pulito, quello sguardo senza macchia che non ha titubanze, incertezze, insicurezze, perché non ha ancora sentito il dolore e so che il mio compito non è quello di evitarglielo, quanto di tenerla per mano fin quando me lo concederà.

C’è però un’ossessione di cui vorrei parlare, raccontando un fatto della settimana scorsa mentre ero al parco con lei. Due bambine, di qualche anno più grandi, stanno giocando con lei e le sento chiedere: “Perché hai capelli tagliati corti come i maschi?”. Mia figlia che parla molto ma solo quando è in casa con noi, si è limitata a sorridere continuando con il suo gioco.

Le bambine ridacchiano tra loro e si allontanano, lei le rincorre e io la seguo.

A quel punto vengono da me: “Perché ha i capelli così corti?”, insistono. “Perché quando crescono troppo sul collo si lamenta”, rispondo io.

“Sono i maschi ad avere i capelli corti così”, continua.

Rispondo solo con un sorriso perché a fine luglio, con il caldo, voglia di spiegare a due bimbe di 5 anni che, schemi mentali di questo tipo, nel 2022, sono veramente fuori moda, proprio non mi va.

Ecco da quel momento è partita un’ossessione costante, e se anche mia figlia, come me, diventasse angosciata e ossessionata dal suo aspetto fisico come è stato per me in tutti i miei anni da ragazzina?

L’ossessione per la bellezza, la magrezza, il rispetto ad ogni costo dei canoni che il mondo esterno ci inietta, ma è solo questo quello a cui vogliamo far ambire i nostri figli?

All’età di 11, 12 anni mi sono detta che essere grassa fosse il mio difetto peggiore, perché gli esempi e le persone a me vicino non facevano altro che farmelo notare.

Ecco devo ammettere, in tutta onestà, che se mi fossi tolta questo pensiero malsano, e concentrata magari su cose più importanti, sui miei ideali, i miei obiettivi, probabilmente il famoso libro che volevo scrivere, anziché pubblicarlo a giugno 2022, sarebbe uscito molto prima. Invece, ho passato innumerevoli giornate a piangermi addosso, perché ero grassa, brutta, inadatta.

Ma come può una ragazzina che sta via via facendo il suo ingresso nel mondo, capire quali sono le cose realmente importanti? Se chi le sta intorno continua a puntualizzare il suo aspetto fisico come un difetto, è normale che lo diventi realmente no? Certo che lo è. Ad oggi, quasi 40 anni, vivo di disagi quando non mi sento fisicamente all’altezza di chi sta con me; il mio schema mentale vede la donna taglia con un difetto in meno rispetto a me.

Mi auguro che le mamme di oggi, per lo più fatte di unghie finte, capelli e corpi artificiali, alimentazione assente, capissero cosa stanno passando ai loro figli. Vorrei future ragazze originali, autentiche, in cerca di ideali puliti, indipendenti, audaci, intelligenti, caparbie, questo vorrei, è davvero così troppo come desiderio?

Farò quanto mi è possibile per continuare a schermarla da questa realtà, il suo corpo, qualsiasi esso sia, non deve essere un limite, tanto da comprometterla. Troppe volte mi sono sentita “quella grassa che”, sto lottando contro ogni cellula del mio corpo per staccarmi da questo schema mentale inserito nel mio DNA., oggi a maggior ragione, per me ma anche per lei.

L’esaltazione della magrezza su ogni piattaforma social è, a dir poco, esasperante, davvero volete farmi credere che sia sufficiente essere magre? Essere belle? Essere conformi a un prototipo? Sono davvero questi gli ideali che stiamo portando avanti?

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Il vaso nero.

Come dev’essere alzarsi al mattino e non essere più libere, costrette a coprirci sotto pesanti veli che nascondano anche il nostro viso, non autorizzare ad uscire di casa da sole, private della possibilità di studiare, di poter lavorare o parlare previa autorizzazione dell’uomo di casa?

Non è il medioevo, non è nemmeno una realtà troppo lontana, è quello che stanno affrontando le donne e le bambine nella nuova Kabul, il ritorno ad una vita di divieti, negazioni, prigionia, possessione, silenzio.

Negli ultimi vent’anni, la vita delle donne afgane è davvero cambiata, tolto il regime talebano che le voleva prigioniere, hanno finalmente potuto assaggiare una qualità di vita nuova.

Le bambine, le donne hanno iniziato a studiare, acceso la radio e ascoltato la musica, hanno tolto il burqa lasciandosi solo il velo, hanno iniziato ad uscire da sole durante il giorno, hanno scelto anche di lavorare, hanno scelto cosa fare della loro vita, per una volta nascere donna non era più un male.

Nelle ultime settimane, i talebani cacciati nel 2001 dalla coalizione di stati che vedeva a capo gli USA, hanno ripreso il controllo. Questa coalizione avrebbe dovuto instaurare un regime democratico capace di ricostruire l’Afghanistan fino al giorno in cui avrebbe lasciato il paese. Non so dire nella mia ignoranza l’elenco dei mille motivi per cui questo non ha funzionato, so solamente che è stato un fallimento di proporzioni epocali. Appena gli americani hanno iniziato ad andarsene, i talebani, che nel frattempo non hanno mai smesso di crescere e prepararsi al gran giorno, si sono ripresi Kabul, annunciando la rinascita dello stato islamico.

Si sono fatti strada massacrando il popolo, hanno rapito tantissimi bambini maschi per addestrarli alla guerra, assassinato donne per il loro abbigliamento, torturato e ucciso artisti, musicisti, assassinato il capo della cultura e dei media per il governo, VENDUTO BAMBINE E DATE IN SPOSE ANCORA MINORI A UOMINI ANZIANI, sfollato centinaia di famiglie e appeso nelle piazze tutti gli uomini uccisi.

Questo è il ritorno dei talebani, la soppressione della cultura, dell’arte, del musica, ogni donna sarà nuovamente spogliata di ogni suo diritto, rinchiusa nell’ombra della casa, di nuovo schiave del loro regime. Bambine che fino a pochi giorni fa andavano a scuola, si ritroveranno mogli a nove o dieci anni di vecchi che le violenteranno per aver figli non appena saranno fertili, coperte nel loro burqa, prigioniere eterne di quel velo pesante.

Ho chiuso gli occhi per un attimo, immaginando la mia vita se fossi una di loro, ho 38 anni, lavoro e scrivo, una figlia di due anni e un marito, siamo di religione cattolica. Considerando la mia indole ribelle sarei probabilmente già stata uccisa, mia figlia rapita per darla poi a qualche vecchio militare che, appena crescerà un po’, la farà sua moglie, e mio marito, dopo essersi convertito all’islam per non essere ucciso, verrebbe mandato in qualche campo di concentramento a lavorare. Provate a fare la stessa cosa anche voi, guardate negli occhi i vostri bambini e immaginate che vita li attenderebbe.

Un’immagine mi ha trafitto qualche giorno fa, una bambina dai capelli arruffati, lo sguardo impaurito, tra le mani il suo giocattolo, vicino a lei suo marito: un militare dalla barba bianca, di almeno 40 anni più grande, impugna fiero tra le mani il suo fucile e la tiene per il braccio, è sua, di sua proprietà; impossibile non immaginare il volto di mia figlia, una bambina come lei.

Ho letto un articolo del Guardian, di una donna afgana a Kabul:

“Ho lavorato per così tanti giorni e così tante notti per diventare la persona che sono oggi, e questa mattina, quando sono arrivata a casa, la prima cosa che io e le mie sorelle abbiamo fatto è stata nascondere i nostri documenti di identità, i nostri diplomi e certificati. È stato devastante”.

Dobbiamo spostare le montagne per loro, scuotere la terra, muoverci, far sentire il loro grido, una ad una verranno nuovamente coperte, nascoste e messe in silenzio a costo della loro vita. Non stiamo fermi di fronte a questo massacro, non fingiamo di non vedere, siamo tutte donne afgane, scuotiamo i nostri cuori e condividiamo la loro condizione.

Aiutiamole, il loro silenzio obbligato non può essere anche il nostro.

“Forse perché i nostri desideri sono cresciuti in una pentola nera..

Forse perché i nostri sogni sono cresciuti in un vaso nero”

#taliban #afghanistan #war #peace

Shamsia Hassani

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SIAMO TUTTE SAMAN.

Come ho fatto in altri casi simili che hanno a che fare con la violenza sulle donne, ho lasciato passare qualche giorno per metabolizzare la notizia, sviscerarla, comprenderla e farla mia nel rispetto di lei, l’ulteriore vittima, Saman.

In questo ultimo weekend mi sono presa il tempo necessario per salutarla, scrivendole qualcosa, sperando che sia l’ultima volta, ma certa che non sarà così.

Saman era una giovane ragazza pakistana colpevole di aver scelto la libertà anziché un matrimonio combinato, credo ormai sia nota a tutti la storia, quello che invece non mi sembra chiaro, ascoltando un qualsiasi talk show italiano, è il reale mandante di questo femminicidio, perché di questo si tratta.

Quanti uomini ho sentito strumentalizzare questa notizia incolpando l’islam, la “loro” cultura, le femministe di sinistra troppo assenti, ridicoli, tutti.

Credo sia poco opportuno parlare della loro cultura, consideriamo prima la nostra che, nonostante predichi il rispetto sacro santo della donna, tanto diversa non è. Vi dirò una cosa, il colpevole dell’omicidio di Saman è lo stesso che ogni giorno uccide le donne italiane, colpevoli di essersi ribellate al “loro” padrone: la violenza patriarcale.

Il mandante non è quindi un fenomeno “islamico”, ma la cultura in cui viviamo che si manifesta in qualsiasi posto, in qualsiasi tempo, in qualsiasi modo, attaccandosi a motivazioni religiose, politiche, civili, TUTTE CAZZATE per legittimare un omicidio.

Smettiamola di parlare di “loro” cultura o di “nostra”, di buona o di cattiva, esiste solamente il patriarcato radicato in maniera trasversale in tutte le popolazioni, che viene chiamato, a seconda delle necessità, con nomi diversi per mascherarlo.

Cosa possiamo racchiudere all’interno del fenomeno PATRIARCALE?

L’uccisione di Saman, la violenza su una coppia gay che si bacia alla stazione, l’omicidio di una donna che vuole il divorzio, un uomo che uccide il fidanzato della sorella per il fatto che sia una persona transgender, un ex marito che uccide la ex moglie e il nuovo compagno, un padre che picchia la figlia perché non rispetta i suoi comandi. VIOLENZA APPARTENENTE ALLA STESSA MATRICE.

Nell’ultima settimana mi sono sforzata di ascoltare il pensiero di tanti esponenti politici presenti in varie trasmissioni, per valutarne il punto di vista, conoscerne le opinioni. Sono rimasta veramente sorpresa da come sia stato raggirato il fatto, additando le culture diverse dalla nostra, come se l’unico scopo mediatico fosse quello di uno scontro tra mentalità occidentale e orientale.

Vorrei anche aggiungere un particolare non indifferente, nessuna religione obbliga ai matrimoni combinati, tantomeno l’islam. Regole di vita come queste vengono solitamente adottate da comunità dove regna sovrana la non scolarizzazione, la povertà, la ristrettezza culturale e sociale, gli unici ambienti in cui è possibile possedere la donna come merce di scambio.

Queste poche righe solo per dare il mio ultimo saluto a quella ragazza che voleva essere libera, rendendole giustizia nel modo in cui so farlo io, ricordando a tutti che non è stato l’islam il suo assassino, ma il patriarcato.

Ciao Saman, vorrei davvero fossi l’ultima, la verità è che viviamo ancora in una società dove l’ex marito cattolico ammazza l’ex moglie e il padre islamico ammazza la figlia. SIAMO TUTTE SAMAN.

Victim blaming: quando la vittima viene colpevolizzata.

In questi giorni siamo bombardati da articoli, informazioni e meme legati a quell’infelice video di Beppe Grillo in difesa del proprio figlio accusato, ancora due anni fa, di stupro. L’immagine che ho davanti, ogni volta che vedo la registrazione, è di un uomo emotivamente provato, visibilmente instabile che, nelle vesti di padre disperato, cerca di difendere il proprio figlio, nel modo meno opportuno, facendo del victim blaming.

Iniziamo dicendo che è un insulto verso tutte le donne che un’accusa di stupro sia ancora aperta dopo due anni, questo per ricordarci come ci siano due pesi e due misure ogni volta che si tratta di generi diversi, detto questo, lo scopo di oggi è quello di spiegare in parole povere cos’è il victim blaming, un comportamento così standard e ancorato nella nostra società che viene ritenuto normale.

Definiamo victim blaming quel meccanismo tale per cui la vittima di violenza (in qualsiasi forma) diventi a sua volta la colpevole dell’accaduto, arrivando così a scagionare e giustificare il solo ed unico responsabile del reato. Un fenomeno che si sparge a macchia d’olio nella collettività, mettendo in moto dei retaggi culturali maschilisti che tendono inevitabilmente a difendere il carnefice con un “se l’é cercata”.

Alla base di tutto c’è sempre e solo lei, la nostra società patriarcale, maschile, sessista fatta di chiusure mentali, fare tardi la sera, bere alcolici, vivere la sessualità senza inibizioni, sono abitudini normali per gli uomini, ma non per le donne. Motivo per cui se un uomo decide di oltrepassare certi limiti, è solo perché la donna con lui non è stata abbastanza prudente, capace di tenersi lontana da certe situazioni.

E’ tendenza comune e generale nella società, attribuire parte della colpa alla vittima, colpevolizzandola, creando una sorta di filiera solidale nei confronti di chi ha commesso il reato, fino a normalizzare il comportamento. Ecco uno dei motivi per cui la maggior parte delle donne che subisce violenze tende a non denunciare, a non far sentire la propria voce, proprio perché il più delle volte vengono giudicate loro, le vittime, anziché i veri colpevoli. Aggiungo anche che sono molte le donne che, anziché difendere la propria simile, le puntano il dito contro, cattiveria? No assolutamente, la definirei piuttosto paura di subire la stessa sorte, ma anche l’illusione di poter evitare situazioni simili mantenendo il controllo, mettendo in atto comportamenti prudenti che possano garantire una maggiore sicurezza. Un’illusione direi, perché tutti gli atti di violenza sono causati sempre e solo da un carnefice, dobbiamo farci entrare nella testa che la vittima è solo una vittima, da tutelare e proteggere.

Ci troviamo ancora al punto in cui, per la vittima, risulta più semplice il silenzio, la vergogna prende il sopravvento, è troppa la paura di venir prese di mira. Chi ha subito questo reato ha la tendenza a giudicarsi e colpevolizzarsi per l’accaduto, se poi pensiamo a cosa le aspetta raccontando tutto pubblicamente, come biasimare il suo silenzio?

Dichiarazioni come quelle di Beppe Grillo andrebbero condannate, punite, proprio perché accentuano e puntano il dito contro la vittima che ha avuto il coraggio di denunciare. “Sono ragazzi e si stavano divertendo” urla contro la telecamera, e un brivido mi percorre la schiena pensando a mia figlia, una forma di divertimento probabilmente percepito solo dai ragazzi presenti in quella stanza, perché di come si sente lei, nessuno se ne cura. “Il giorno dopo era a fare kyte, e ha denunciato 8 giorni dopo, non vi sembra strano?” continua Grillo; no io non lo trovo strano, anzi, capisco sempre di più perché la tendenza di una vittima sia quella di far finta che vada tutto bene, che nulla sia successo, per evitare assalti verbali come quelli fatti da questo padre famoso che sfrutta la sua forza mediatica durante un processo il figlio.

In un mondo migliore, si potrebbe prevenire questo comportamento, cercando di lavorarci da subito, all’interno della famiglia, nelle scuole, sulla sfera emotiva ed anche quella educativa, le donne dovrebbero smettere di giudicare le altre donne, cercando invece di sostenersi. Tutti noi dovremmo smettere di farci manipolare da questo fenomeno sociale, vivere in modo paritario le nostre libertà non può essere un attenuante di fronte ad una violenza di qualsiasi genere.

L’arma più potente contro il victim blaming è il NON GIUDIZIO, l’ascolto e la comprensione, non lasciamo sole le vittime.

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Lo spazio che meritiamo.

Iniziamo con un luogo comune, dirlo, ripeterlo, potrebbe solo aiutarci ad assimilare il concetto: le donne ai vertici, di qualsiasi attività, sono sempre molto poche rispetto agli uomini.

Chi di loro riesce ad arrivare ai vertici deve rispettare standard molto elevati: essere impeccabile, eccellente, perfetta nel ruolo affidato e il più delle volte dormire a fatica per la responsabilità che si sente addosso, per il pensiero di mantenersi tale. Ci avete badato invece a come sono gli uomini agli stessi irraggiungibili (per noi) vertici? Sono NORMALI, sono esseri umani a cui è anche concesso un errore ogni tanto, pochi sono gli impeccabili ed eccellenti, sono persone qualsiasi, alle volte con una lunga lista di difetti, a cui non viene richiesto “di essere qualcosa” in più rispetto al loro limite.

Aggiungiamo anche che spesso, questi uomini, sono arroganti, sicuri di se, certi di meritare a pieno quel ruolo. Capaci di guardare tutti dall’alto verso il basso, non sanno cosa sia l’umiltà, non conoscono la fatica di affermarsi e di raggiungere obiettivi con i bastoni tra le ruote, non sanno cosa vuol dire fare di più del dovuto per essere riconosciuti, perché in quanto uomini non hanno nulla in più da dover dimostrare, a differenza nostra.

Ci pensate ad una donna in una posizione importante nelle sue vesti “normali”? Ecco, il fatto è proprio questo, e per spiegarlo mi riallaccio alle famose pari opportunità che ancora suonano come barzelletta alle mie orecchie. Per quale motivo a me viene richiesto il doppio lavoro, il doppio della fatica, sacrifici familiari ecc.. per poter raggiungere un ruolo importante?

E’ possibile avere le stesse opportunità date agli altri? Possibilità di essere ai vertici in modo normale? Senza dover sputare sangue ad esempio? Le donne che sono arrivate in alto hanno dovuto mettere da parte davvero tanto, fare scelte dolorose per dimostrarsi “degne”, sacrifici così grandi da far piangere nella solitudine della sera. La donna che arriva in alto deve essere la migliore, solo eccellendo può ambire a un ruolo “maschile”, perché si un qualsiasi ruolo di dirigenza è ancora considerato da uomo.

L’Italia è invasa da uomini che occupano posizioni di potere, di privilegio, basti pensare al nostro parlamento, il presidente del consiglio, il presidente della repubblica; oppure possiamo guardare anche alle più piccole realtà, le aziende dove lavoriamo, il nostro comune, la nostra provincia, quante donne vedete ricoprire ruoli di potere? Diciamo poche o quasi nessuna? Direi di si. L’Italia, per i suoi pregressi storici, è uno dei paesi più retrogradi relativamente al ruolo della donna nella società, siamo ancora una minoranza in termini di istruzione e lavoro, è ancora normale che una donna, dopo essere diventata mamma, lasci il lavoro perché incompatibile con l’esigenze dei bimbi. L’Italia è ancora un paese che non tutela la figura della donna o della mamma, perché nelle posizioni di potere ci sono quasi sempre solo uomini, che non conoscono queste fragilità e neanche si prestano a capirle.

Non c’è vittimismo in questo discorso, solamente realismo di fronte alle diverse opportunità che ci vengono date, noi abbiamo bisogno di spazio in questa società, la nostra lungimiranza, la nostra intelligenza mixata con la sensibilità che tanto ci viene criticata, sono doti molti utili e preziose nel mondo in cui stiamo vivendo, pieno di diversità e fragilità che, un uomo, non essendo mai stato fragile o in minoranza, non potrebbe mai vedere.

Smettetela di chiederci di essere eccellenti nel ruolo che ricopriamo, quando intorno a noi ci sono solo uomini che svolgono le loro mansioni in modo normale, lasciateci essere come siamo, senza pretese extra solo perché siamo donne e siamo arrivate in un posto che “solitamente” è impegnato da una desinenza maschile.

Siamo un bene prezioso, lasciateci essere parte attiva in questa società, vogliamo l’opportunità di essere normali anche noi.

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Cerca di capire.

Continuo il mio attacco verso gli stereotipi di genere, oggi in particolare vorrei cercare di dissociare dalle nostre menti la formula algebrica tale per cui DONNA=MISERICORDIA x COMPRENSIONE INCONDIZIONATA.

Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato chiesto di CAPIRE, beh lasciatemi dire che ho una novità, la risposta è NO, non cercherò più di capire nessuno, fintanto che qualcuno non farà lo stesso con me.

Quale sarà mai il significato nascosto tra le righe quando qualcuno ci chiede di CAPIRE? Il non detto in questa frase è la richiesta di farsi da parte, accantonare le proprie idee, i propri principi per evitare litigi, incomprensioni; non solo, aggiungerei anche: mettersi da parte significa lasciare spazio a qualcuno che non siamo noi. Tutto questo fatto nel nome del quieto vivere, della pace, della non rivoluzione. Accettazione, comprensione e misericordia: LA DONNA.

Lo stereotipo della donna comprensiva, benevola, amorevole, ragionevole, tranne in quel periodo del mese in cui, causa turbinii ormonali, diventiamo delle bestie di satana. Questa è la nostra veste che ci è stata cucita addosso.

Le donne devo cercare di capire, perdonare il primo insulto, il primo schiaffo, la prima violenza verbale, fisica, economica, psicologica che sia.

“Cerca di capire, è stanco, stressato sul lavoro” – “La situazione è snervante, manca il lavoro, bisogna capirlo” – “cerca di capire che non era sua intenzione, è stato un raptus di rabbia”.

Sapete chi pronuncia frasi di questo genere il più delle volte? Le forze dell’ordine che vengono coinvolte dalla donna che sta subendo violenza domestica, le persone esterne che non vogliono mostrare crepe nella famiglia, cercando di riappacificare i due coniugi. Preciso: non lo dico io, lo dicono tutti i dati raccolti dai centri anti violenza. E’ sufficiente anche leggere o ascoltare qualche fatto di cronaca per capire che la maggior parte dei femminicidi ha sempre una denuncia o una tentata da parte della vittima che, come sempre, non è stata presa sul serio come doveva.

In generale, è tempo che ognuna di noi smetta di cercare di capire, io personalmente vorrei togliere negli altri questa aspettativa nei miei confronti, togliermi soprattutto di dosso lo sguardo perentorio di chi mi sta chiedendo di farlo, facendomi sentire sbagliata perché questa volta ho detto no.

Troppe volte ci è stato chiesto di capire, mandando giù l’ennesima fatica per non rompere degli schemi, per fare da collante, per addolcire la pillola. Siamo qui per perdonare, compiacere o assecondare solo le nostre emozioni, solo noi. Non ci deve venir più chiesto di farlo in favore di qualcun altro, in nome di uno stereotipo che ha spento tante donne costringendole al silenzio in un angolo buio di una casa.

Rompiamo gli schemi, ascoltiamo la fiamma che ci brucia dentro.

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LOTTO MARZO

Solo negli ultimi anni la “festa della donna” ha cambiato volto e nome, diventando la GIORNATA INTERNAZIONALE PER I DIRITTI DELLE DONNE, definirla festa era piuttosto inappropriato. Un cambio per identificare, ricordare e ringraziare in questa giornata tutte le donne che hanno lottato per ottenere conquiste in campo sociale, politico, economico e di genere per noi donne.

L’agghiacciante figura di Renzi impegnato ad intervistare il principe saudita, mi ha dato l’idea per il testo da scrivere su questo otto marzo; ho chiesto la collaborazione di una mia cara amica di origine saudita, che da diversi anni vive nel nostro paese, scappata dal paese con la famiglia. Caro Renzi, sarebbe bello se per la prossima geniale intervista ti dedicassi a far parlare donne come lei, spesso obbligate per legge al silenzio, all’ombra del loro proprietario, anziché riempirti la bocca di grandi complimenti verso uomini spietati, in aggiunta mandanti di omicidi comprovati.

Quello che vado a scrivere, non è nulla di personale, non opinioni, non giudizi o pareri, solo una lista di diritti che noi donne occidentali possediamo e diamo per scontati, mentre le nostre sorelle saudite non hanno ancora, nulla di criticabile, solo una raccolta di informazioni.

  • iniziamo dicendo che ogni donna ha un tutore, un uomo: marito, fratello, papà, zio, la figura più vicina che vive in casa con lei. La donna appartiene all’uomo con cui vive, insieme alla casa e al resto dei suoi possedimenti,
  • in questo paese le donne possono svolgere solo alcune mansioni e attività in modo autonomo, per la maggior parte necessitano del consenso scritto o orale del tutore,
  • una delle ultime vittore delle femministe saudite è arrivata nel 2017: la possibilità di trovarsi un lavoro senza il bisogno del nulla osta dell’uomo,
  • le donne non possono interagire con alcun uomo esterno alla cerchia familiare, quindi ad esempio: se una donna subisce violenze tra le mura domestiche e vuole denunciare il marito; può farlo, recandosi dalla polizia con il marito, suo tutore. La donna non può parlare con il poliziotto, è solo il marito che può farlo. (L’Arabia è uno dei paesi con meno denunce di violenza domestica in assoluto, e credo sia ben chiaro il perché),
  • entrando in un ristorante ci sono due aree: quella delle famiglie con donne e quella di soli uomini, questo perché durante un pranzo ad esempio, una donna dovrà levarsi il velo per mangiare e non è rispettoso farlo davanti ad altri uomini,
  • prima del 2018 un autista di un mezzo pubblico, poteva rifiutarsi di far salire una donna da sola, questo perché era immorale vedere in giro donne sole senza accompagnatori. Nonostante questo, se una donna vuole prendere il treno in autonomia, può farlo solo nella capitale e occupando l’ultimo vagone riservato a loro; se volesse per qualche motivo sedersi da un’altra parte, deve essere presente il tutore,
  • la parola di un uomo vale almeno due volte quella della donna, immaginate durante un processo, quanto può valere la testimonianza di una donna, spesso e volentieri non vengono nemmeno ascoltate,
  • in caso di eredità la donna percepisce metà dei suoi fratelli, mentre in alcune zone rurali viene completamente esclusa,
  • una donna saudita può sposare solo uomini musulmani, in caso contrario esiste tutta una procedura da seguire tramite il ministro degli esteri. Se vuole sposarsi per amore, quindi non utilizzando la formula standard in uso di matrimonio combinato, avrà bisogno prima del consenso scritto del padre. L’Arabia Saudita è uno di quei paesi dove una ragazzina di 12 può sposare un uomo anche di 70 se i genitori glielo impongono,
  • esiste anche il divorzio, per lo più perché richiesto dagli uomini, da pochi anni le donne hanno ottenuto di essere almeno avvisate nel caso in cui il marito chiedesse la separazione; negli anni precedenti era lecito procedere in silenzio senza coinvolgere la moglie.

Questi sono alcuni degli aspetti legati ai diritti delle donne saudite, uno in particolare non ho toccato perché saranno le parole della mia amica farlo: “Appena arrivati qui mi faceva strano vedere tutte queste donne con il corpo non coperto, mia madre ha iniziato da pochi anni a togliere il velo dal volto, da quando ha visto in me la capacità di vivere bene e serena negli abiti comuni degli occidentali. Mia nonna diceva sempre che coprirci era la nostra forma di protezione dagli uomini cattivi, evitare di mostrare una qualsiasi parte del nostro corpo ci tutelava dalle loro violenze.”

Da alcuni rapporti di Amnesty International le donne saudite continuano a subire discriminazioni, violenze ed abusi sessuali impossibili da denunciare per i motivi spiegati sopra. Ogni anni a causa di queste condizioni, sono tantissime le donne che cercano di fuggire dal paese, dalle violenze e dai soprusi; purtroppo sono in poche quelle che ce la fanno, la maggior parte viene catturata, fermata e ripudiata dalla famiglia, vivendo nell’oblio più totale.

Alcuni diritti sono stati raggiunti grazie alle lotte continue delle femministe, ma tante di loro sono state incarcerate e fatte sparire, si anche dal caro principe saudita amico di Renzi.

Ringrazio la mia amica per avermi concesso queste poche righe, non abbiamo detto nulla di che, tutte informazioni reali sui diritti delle donne in un paese diverso dal nostro.

Vorrei dedicare questo articolo a tutte le donne che hanno perso la vita per la lotta, tutte quelle che sono state catturate, imprigionate, picchiate, messe a tacere, solo perché volevano PARI DIRITTI. IO LOTTO.

Grazie.

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Anche gli uomini possono piangere.

Il mio è un blog prettamente di tematiche “femminili” questo perché mi prendo la libertà di parlare di cose che conosco, eviterei argomenti diversi che potrebbero innescare discussioni, lo devo già fare per lavoro, qui ho scelto di evitare, dedicandomi solo ad argomenti che hanno segnato la mia pelle.

La società patriarcale, maschile, in cui viviamo è un aspetto di cui ho scritto spesso perché ha ampiamente modificato la mia e nostre vite e i nostri usi, ma stavo dimenticando di parlare di un’altra vittima, oltre a noi donne, che alle volte, sta forse peggio, sto parlando dell’uomo.

L’uomo è stato ed è tuttora danneggiato costantemente dalla società, se noi siamo stereotipate in un modo, loro lo sono in un altro; facciamo qui di seguito una lista delle caratteristiche basic che DEVE possedere un uomo, per definirsi tale, secondo il non detto delle nostre abitudini:

  • un vero uomo deve essere sicuro, spavaldo, testa alta, sempre pronto a guardare negli occhi l’altro, mai abbassare la guardia,
  • deve essere, sempre pronto a reagire, non può lasciarsi sfidare senza incalzare a sua volta,
  • è un uomo non emotivo, non prova emozioni, quanto meno quelle sinonimo di debolezza o sofferenza,
  • è un uomo invincibile, indistruttibile, forzuto, violento, un aizzatore delle folle, un esempio perfetto è il buon vecchio Trump, o anche il nostro Mussolini per stare nel nostro territorio. Uomini di “questa portata” trasmettono fiducia e serenità, con loro a fianco non dobbiamo preoccuparci di nulla,
  • possiede una mascolinità obbligatoria, è maschio in ogni sua movenza, deve esserlo, per non perdere credibilità, è molto virile sempre.
  • non piange e non è in grado di capire nessuna creatura al di fuori del suo ego, non entra in empatia con altre persone,
  • il vero uomo gioca sempre con malizia, il sesso è il suo pensiero fisso, in quanto essere dominante in veste di promotore della specie,
  • la donna al suo fianco deve essere esseri ubbidiente, silenziose, moderate, femminile e intrattenitrice, un passo indietro,
  • non possiede lati vulnerabili,
  • in ultimo non chiede mai aiuto, prima di tutto perché non ne ha bisogno, e in secondo luogo, perché sono le persone fragili a chiederlo.

Questa lista di stereotipi è una sorta di vademecum che viene, in modo tacito, considerata essenziale per potersi sentire uomini in questa società. Inutile dire che stress può portare il dover rispettare criteri di questo tipo, ecco infatti, la così definita mascolinità tossica, vale a dire quest’insieme di caratteristiche, fissate nel medioevo che, chi non condivide o non si sente di voler soddisfare, verrà additato come diverso.

La società insegna a sopprimere le emozioni più delicate, il pianto, la paura, portando, a lungo termine, problemi di natura psicologica. Basti pensare ai genitori che, di fronte al figlio maschio in lacrime per un giocattolo, lo intimano a smettere dicendo: “non vedi che piangi come una femminuccia?”. Perché i genitori si impegnano così tanto ad insegnare al figlio maschio che il pianto, sinonimo di fragilità, è qualcosa solo di femminile? Perché non possiamo insegnare ai nostri bambini che piangere è semplicemente umano e va fatto quando ne sentiamo il bisogno?

Al bambino viene “inculcato” un modo di vivere ben preciso etichettando tutti gli atteggiamenti femminili come fragili e sbagliati, mentre vengono caldamente promossi tutti i comportamenti che faranno di lui un maschio alfa.

Il maschio basic cresciuto nei canoni imposti sarà violento, omofobo e misogino, per scacciare tutto quello che non deve far parte di lui, conosciuto come diverso. Non a caso, chi vive un’infanzia rigida in cui viene impartito il non pianto, la non emozione e il comportarsi da uomo vero, avrà poi affinità con la violenza fisica e verbale tra le mura domestiche nei confronti di chi vive con lui e non “sta al proprio posto”.

Ho ben chiaro davanti ai miei occhi, esempi noti a tutti di uomini veri, la storia infatti ci insegna vicende di guerrieri, invincibili, senza pietà che distruggono e vincono con la violenza. Mi viene in mente il concetto di superuomo che ci ha regalato Nietzsche, guarda caso poi strumentalizzato dal nazionalismo tedesco con Hilter, valido esempio come altrettanto lo è Mussolini, di uomini il cui il concetto di forza e virilità estrema li ha portati al distacco dalla realtà e natura umana da credersi invincibili. Uomini che hanno vissuto come degli highlander capaci di ogni, onnipotenti, con una lista infinita di amanti, ognuna meno importante dell’alta, tronfi, dall’ego smisurato che, nonostante gravi disturbi di salute, non hanno mai voluto mostrare al mondo le loro fragilità, per non intaccare la loro immagine di super uomini.

Vi ho fatto esempi estremi e malati, lo so bene, ma il mio scopo è quello di farvi capire fino a che punto può portare una malattia, perché di questo si tratta, come la mascolinità tossica.

Siamo esseri umani dotati di caratteristiche simili, sofferenza, fragilità, tristezza espresse sotto forma di pianto, dovrebbero entrare a far parte del nostro quotidiano, lasciando liberi gli uomini (intesi come maschi) dalle catene della non emozione.

La prima cosa che viene chiesta ad un bambino, appena uscito dall’utero della madre, è di piangere, come “conferma” del fatto che sia vivo, piangere è vita. Per quale motivo poi, durante il resto del cammino si tende a isolare gli episodi di pianto nei bambini maschi? Sento ancora troppo spesso genitori dire ai figli che piangono solo le bambine, questo perché è un luogo comune che spesso e volentieri diciamo sovrapensiero.

Vogliamo essere parte del cambiamento? Lo dico soprattutto a quei papà a cui è stato insegnato che piangere è sbagliato. Insegniamo ai nostri bambini che ad essere adulti sereni che riescono a vivere i propri sentimenti senza vergogna, il punto elenco del maschio alfa va dimenticato e tolto dai nostri file di memoria, per il bene di tutti.

Ho scritto questo pezzo grazie al blog di un ottimo scrittore qui su wordpress che amo leggere, che ha dedicato diversi suoi articoli su questo tema, quindi grazie dell’ispirazione.

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Rompiamo la bolla della normalità.

E’ il 25 di novembre e ho perso il conto di quante volte ho scritto testi o saggi brevi relativamente al tema, mi piacerebbe avere la ricetta giusta, quella che fa la magia e sistema tutto. Cosa posso dire oggi di diverso? Cosa posso dire che non sia già stato detto mille volte?

La parola chiave che ho scelto per scrivere oggi è NORMALE, il problema è questo, è tutto ancora normale, parte del nostro quotidiano. Ci sono situazioni in cui è normale vivere così, donne che vivono sul filo del rasoio ogni giorno perché basta poco per scatenare la bestia. Tutto normale, ci si sveglia, si fa colazione, si portano a scuola i figli, tutto deve essere fatto in un certo modo perché da un momento all’altro lui potrebbe arrabbiarsi, ma è normale, lui lavora molto ed è stressato.

“Lui è un brav’uomo, mi da la possibilità di stare a casa dal lavoro per accudire i figli, solo ha questo piccolo difetto, ma lo so che non è colpa sua, sono io che scateno queste reazioni, può succedere”

“Ho chiamato i carabinieri perché avevo paura, ieri sera ha superato ogni limite, ma poi quando sono arrivati mi hanno fatto ragionare e ci siamo riappacificati, anche loro mi hanno detto che alle volte succede anche nelle migliori famiglie”.

Queste sono le frasi che ho sentito più e più volte nei centri antiviolenza, la maggior parte di queste donne ha scelto di non proseguire, di restare in questa normalità, perché è questo l’ambiente in cui vivono. Su dieci donne che si recano in questi centri, forse due arrivano alla fine del percorso, la maggior parte sceglie di fermarsi, soprattutto per il bene dei figli.

La maggior parte delle donne che si reca in ospedale con contusioni o fratture dovute alla violenza domestica non denuncia, inventa scuse pessime del perché si trova li, per evitare di essere picchiata ancora quando tornerà a casa, la motivazione è lampante, davanti agli occhi di tutti, ma purtroppo se lei sceglie di non agire, nessuno può farlo al suo posto. Diverse sono state le telefonate o i contatti di persone vicino alla vittima, ma l’azione di aiuto, sostegno e protezione può partire solo se è lei a chiederlo.

I centri antiviolenza sono ovunque, facili da trovare, digitando su Google trovate sempre la sede a voi più vicina. Tutto si svolge nell’anonimato più totale, le volontarie sono obbligate al silenzio e alla non divulgazione, siete al sicuro e protette. Le volontarie sono formate con corsi specifici tenuti da psicologi, avvocati, sociologi, medici, figure di rilevanza che danno un’ottima base a chi vi deve aiutare.

La bolla della normalità in cui viviamo queste violenze è ancora difficile da rompere, la casa dovrebbe essere il posto più sicuro in cui ognuno di noi si può riposare, proteggere, godere il relax a fine giornata, sentire il calore dei familiari, se non è un posto sicuro allora non è casa.

Fate il bene dei vostri figli, non restate in quella casa, i vostri bambini vedono tutto, non devono crescere in questa normalità deviata, saranno uomini violenti a loro volta, o donne vittime che non parleranno, questa normalità non va tramandata. Uscite dalla bolla, scappate, urlate e denunciate, solo così i vostri bambini impareranno che non è normale, la violenza è sempre sbagliata in ogni sua forma. Salvatevi e salvate i vostri bambini, ripulitevi dallo schifo di quell’uomo che non è degno di crescere vicino a voi.

A tutte le forze dell’ordine, che ad ogni chiamata ricevuta da donne in lacrime, spesso cercano di smorzare la rabbia e la paura con la mediazione dico NO, non funziona così, è omissione di soccorso, la prossima volta potrebbe non riuscire più a telefonare perché la violenza è stata troppa, non c’è nulla da mediare o sistemare di fronte a botte corporee o violenze, la donna va messa in sicurezza subito.

Lasciatemi fare un appello, come ogni anno in questa giornata triste, non lasciate mai sole le vittime, spronatele sempre a denunciare anche se capite che non serve, vi sembra che lei non capisca, non voglia reagire, non mollate mai, perseverate, continuate a stargli vicino, non lasciamole solo nella loro normalità malata.

Rompiamo la bolla della normalità, rompiamo il silenzio.

Non mi stancherò mai di lottare per noi.

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