Parità: ieri, oggi e domani.

“Hai voluto l’uguaglianza tra i sessi? Bene adesso ti arrangi”, una delle frasi più sentite, ma cari amici zotici leggete bene cos’ho da dirvi.

Noi non abbiamo chiesto l’uguaglianza, noi vogliamo parità, cosa ben diversa. Parità nell’essere viste, riconosciute, parità d’importanza, pari giudizi e pari trattamenti, siamo esseri umani diversi e non potremo mai essere uguali, ma possiamo essere allo stesso livello?

La strada è ancora molto lunga, rispetto a dieci anni fa almeno se ne sta parlando, questo è già un passo avanti, almeno per me che sono una femminista moderata.

Perché parliamo di parità? Iniziamo dicendo che le donne sono in credito con la storia, fino a qualche anno fa, non solo la parità era lontana, ma le donne non erano considerate come esseri umani indipendenti. La donna era proprietà del papà, del marito, o dell’uomo di casa, abbiamo acquisito un’indipendenza solo da poco tempo. La libertà, uno dei diritti fondamentali dell’uomo, per noi non c’è mai stata veramente, basta tornare indietro ai tempi dei miei nonni, o ai tempi del fascismo, dove le donne, oltre ad essere di proprietà del marito, se non obbedivano potevano essere rinchiuse nei manicomi come “persone isteriche”. Lo stupro in passato era considerato come un reato contro la morale comune, non di certo verso la donna che lo aveva subito, e come veniva risolto? Innanzitutto la donna doveva avere il coraggio di far presente di essere stata violata; il proprietario, diciamo il papà, l’ammoniva per il comportamento che aveva indotto il suo stupratore a tanto, poi stabiliva una somma di denaro consona per coprire l’ammanco subito. Cioè, il papà chiedeva soldi allo stupratore in base al valore della figlia, per chiudere il tutto, la vittima era il proprietario della donna, oppure c’era il famoso matrimonio riparatore soprattutto se la donna era rimasta incinta.

Vorrei specificare che i cenni storici sopra, risalenti non a tanti anni fa, sono storici solo per noi “fortunate”, infatti ci sono paesi nel mondo in cui quanto sopra è ancora vigente. Pensiamo alle spose bambine, un uomo vecchio “acquista” la figlia di un papà per una buona cifra, poco importa che la bambina abbia dieci o undici anni e la notte stessa verrà violata da quell’uomo grande come il suo papà. Da quel momento in poi il suo proprietario diventerà il vecchio marito, e lei inizierà a vestirsi da donna truccata e agghindata per il suo nuovo padrone e nonostante questo la notte andrà ancora a letto con la sua bambolina di pezza, perché le mancherà la sua mamma.

Il nostro retaggio culturale di uomini bianchi europei, è ancora molto legato all’idea della donna come patrimonio dell’uomo, difficile pensare ad una parità in un paese dove ancora molte donne lasciano il lavoro e dipendono dal marito in termini economici. La storia ha lasciato pesati paletti nella nostra cultura, nonostante sia una delle più open mind. Sarebbe buona cosa iniziare nelle scuole a parlare di cosa avveniva in passato e come sono cambiate le cose, facendo figurare certi comportamenti errati e mostrandoli agli occhi dei bambini. Studiamo le guerre, studiamo i mutamenti dei popoli, e la nostra di donne non è stata forse una guerra? Quante di noi sono morte e hanno lottato in nome di questa libertà? Nelle scuole bisogna parlarne per riconoscere il lavoro fatto dalle nostre antenate.

Nessuno ci pensa a disgregare questi stereotipi culturali per raggiungere la parità, o quanto meno ci pensano solo le donne che ne hanno sofferto, l’uomo comanda da sempre e non ha mai avvertito l’esigenza di dover portare tutti alla parità perché è abituato ad una posizione dominante proprio a causa della nostra cultura.

Per il nostro domani spero in una scuola che possa insegnare ai bambini la vera parità, loro sono il nostro futuro e non meritano di portare avanti radici vecchie e marce di un passato che ci ha sempre considerato parte integrante dei domini maschili.

Tutti dovremmo essere femministi, che non significa calpestare gli uomini, significa portare le donne sullo stesso livello.

Agli uomini che continuano a sminuirci, rimpicciolirci ne non ci stanno aiutando dico una cosa precisa: avete paura di donne indipendenti, siete esseri piccoli e finiti e non volete riconoscere la nostra grandezza e l’importanza, lasciarci libere vi farebbe sentire ancora più impotenti e limitati.

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Attente al LUPO.

La buttiamo in ridere? No, sono solo provocatoria come sempre, perché credo ancora sia una lontana utopia poter uscire serene, camminare a testa alta, guardare tutti negli occhi, sorridere senza doverci coprire, essere schive, ed evitare sguardi troppo pesanti per non sentirci prede indifese come cappuccetto rosso.

Ho pensato spesso a come mi sarei sentita uscendo di casa LIBERA, io amo camminare, passeggiare, assaporare le giornate all’aperto, la dinamica è sempre quella, quando dalla parte opposta arriva una persona (specialmente di sesso maschile), mi rendo conto che mi viene AUTOMATICO abbassare lo sguardo e non riuscire a guardarlo a mia volta, (si perché un uomo ci guarda sempre, non é detto sia per secondi fini, semplicemente lui può guardare tutti negli occhi senza difficoltà). Non sto facendo di tutta l’erba un fascio, sto solo scrivendo come la maggior parte di noi ancora si sente quando si trova da sola per strada a camminare: IN PERICOLO.

Ho approfondito l’argomento con svariate donne con cui ho contatti legati alla mia attività di volontariato volta al supporto e sostegno femminile; la maggior parte ammette di abbassare lo sguardo ogni volta che incontra un uomo, tende a chiudersi nelle spalle, coprirsi, guardare altrove, mettere gli auricolari, guardare il cellulare ecc, un’ infinità di cose per proteggersi. Alla mia domanda: “come mai abbassi lo sguardo?” le risposte sono state a dir poco esaustive e perfette rappresentanti della nostra società. Le ho potute raggruppare in macro gruppi:

  • “non sta bene guardare gli uomini negli occhi”,
  • “mi sento in imbarazzo se un uomo per strada mi guarda, mi sento come se mi stesse studiando, poi con quello che si sente in giro..”
  • “non guardo negli occhi un uomo perché poi ti fischia per strada, gridando apprezzamenti che FANNO SCHIFO, come se fossimo allo zoo”
  • la percentuale di chi mi ha risposto: “si mi sembra di tenere la testa alta”, è troppo bassa ancora, inoltre le risposte erano al condizionale, quindi non sono riuscita a capire quanto potessero essere certe.

NON STA BENE GUARDARE GLI UOMINI NEGLI OCCHI. Risposta a cui mi associo anche io, non perché sia d’accordo, ma perché avverto dentro una sensazione pudica e di vergogna. Ognuno di noi ha un carattere e una morale dettata dalla famiglia in cui è cresciuto, dal carattere che si è costruito e dalla società in cui vive. Prendendo in esame il nostro piccolo paese ed è normale che una donna su due mi risponda così, la mia cara nonna mi diceva: “Non sta bene che una ragazza guardi negli occhi un uomo quando parla, non è rispettoso”. Pur non essendo d’accordo io l’ho sempre fatto, testa bassa, schiva, timida, silenziosa, piccola, indifesa, nuda, fragile, come mi sono sempre sentita. Non ho mai avuto il coraggio di tenere la testa alta, perché “chi mi credo di essere?” Sono la prima a mettermi in posizione subordinata.

MI SENTO IN IMBARAZZO SE UN UOMO PER STRADA MI GUARDA, MI SENTO COME SE MI STESSE STUDIANDO, POI CON QUELLO CHE SI SENTE IN GIRO. Questa è forse la risposta più triste, la frase “con quello che si sente in giro” é da brividi, ma di un reale pazzesco. Cos’è che si sente in giro? LO STUPRO. E non datemi dell’esagerata, frequentando i centri anti violenza mi sono fatta una bella full immersion in questo campo, e tutti coloro che mi danno della visionaria farebbero bene a venire con me un giorno a parlare con queste donne. Lo stupro fa parte della normalità, la nostra società accetta questo comportamento, UNA DONNA SU TRE E’ VITTIMA DI STUPRO, quindi significa che la nostra società non è abbastanza punitiva verso chi si comporta così. Pensate che in Italia fino al 1996 lo stupro era considerando un REATO CONTRO LA MORALE, non contro la persona vittima, assolutamente no, solo contro la morale, perché non sta bene violentare un essere umano contro la sua volontà violandolo nel suo intimo e costringendolo ad avere rapporti, NON STA BENE. Ecco, la risposta ricevuta è legata a questo, molte donne non si sentono sicure a ricambiare uno sguardo direttamente, per paura di venire poi scambiate per disponibili, fraintese e poi incantonate fino alla violenza.

NON GUARDO NEGLI OCCHI UN UOMO PERCHE’ POI TI FISCHIA PER STRADA, GRIDANDO APPREZZAMENTI CHE FANNO SCHIFO, COME SE FOSSIMO ALLO ZOO. Risposta “meno grave” della precedente certo, ma anche questa ha il suo background molto impegnativo. Notate anche voi l’ossimoro? APPREZZAMENTI CHE FANNO SCHIFO, questa vicinanza di parole in netto contrasto fra loro? La Treccani mi dice che apprezzare significa: valutare positivamente, quindi come mai farebbero schifo?! Ragazze mie, quello di cui stiamo parlando non sono lusinghe o complimenti, SONO VERE E PROPRIE MOLESTIE VERBALI che ledono la nostra libertà di girare serene, anche in solitudine. Quante di voi indossano gli auricolari anche per evitare di sentire queste parole? Come se il problema fosse nostro, siamo noi che dobbiamo difenderci tappandoci le orecchie e facendo finta di non sentire?! Quando diventerà reato anche per noi in Italia questo atteggiamento?! Se ve lo state chiedendo la risposta é si, ci sono stati in cui questo comportamento è REATO.

Vorrei aggiungere alcune riflessioni extra, molto donne e mi inserisco anch’io, mentre si parla dell’argomento, esordiscono dicendo: “so che vi sembra strano detto da me perché sono brutta, quindi é ovvio che se un uomo mi guarda non é perché ha secondi fini, ecc..”, oppure “non so perché abbia fatto questi apprezzamenti osceni, le belle donne sono altre, non di certo io”. Allora, partiamo con ordine, non andrò ad analizzare il fatto che la maggior parte delle donne si valuta brutta e inadatta perché lo abbiamo già fatto ampiamente, quello che vorrei sottolineare è che il sentirci brutte non è una protezione verso questi uomini, o meglio, la violenza verbale o lo stupro, non sono dettate dall’esigenza di poter godere della nostra bellezza. Un ESSERE MALATO che agisce in questo modo vuole prima di tutto imporre la sua presenza e dominare su di noi, vuole possederci come il soprammobile che ha in casa e decidere di romperci quando e come vuole, non ha alcun rispetto di noi e della nostra vita, non ci riconosce come persone al suo stesso livello. Una società di persone civilizzate dovrebbe punire che si comporta così. Ho preso coscienza solo da qualche anno che la maggior parte degli stupri avviene tra le mura domestiche e quindi non vengono denunciati, violenze fatte da chi ci ha promesso amore eterno e incondizionato, la cosa peggiore è che molte donne trovano “normale” che succeda in un rapporto di coppia. Termino qui l’argomento lievemente “fuori tema” rispetto a dove sono partita, è mia intenzione dedicare molto tempo alla questione “violenza domestica”, pane per i miei denti.

Non scrivo o parlo di queste cose per diventare la paladina di nessuno, solo per mettere al corrente che ci sentiamo tutte nello stesso fango, insieme dovremmo cercare di rialzarci e riprenderci la nostra posizione di lupi tra i lupi. Per vincere battaglie così difficili bisognerebbe essere tutti femministi, anche i nostri colleghi uomini dovrebbero capire che lo schierarci tutti dalla stessa parte può sconfiggere il nemico della disuguaglianza di genere. Ricordo sempre che nel nostro cuore c’è o c’è stata una donna importante: la mamma, la figlia, la sorella, la moglie, la nonna, la zia, rendiamo migliore questo mondo, guardando oltre il nostro naso.

Testa alta e camminare, speriamo presto.

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“Facciamolo per il nostro bene”, marketing e insicurezza femminili.

E’ incredibile come un argomento tira l’altro, una settimana fa parlavamo di #bodyshaming e di come il mondo del consumismo cerchi di tenerci in pugno, promuovendo, da un lato, la bellezza naturale e, dall’altro, mostrandoci immagini di quelli che sono gli standard canonici di bellezza (a cui chiaramente non apparteniamo), mortificandoci di continuo.

Ci eravamo lasciati cercando di capire quanto eravamo disposte a stressare il nostro corpo e mente per sentirci meno sbagliate, ed eccomi qui che torno a “battere il ferro finché è caldo”.

Oggi prenderò in esame l’industria estetica, non tutta chiaramente, mi vorrei concentrare su tutte quelle aziende che, facendo leva sulle nostre insicurezze, paure, e la totale mancanza di autostima, cercando di vendere scorciatoie per la bellezza e la felicità.

Faccio subito outing in merito, non voglio fare l’ipocrita, sono una delle clienti migliori per quanto riguarda parrucchieri, estetisti, negozi di vestiti, creme, trucchi, una donna completa e piena di insicurezze che cerca di colmare con l’acquisto compulsivo di quanto detto sopra, ma non è qui voglio focalizzarmi.

Iniziamo dicendo che tutti gli agi legati al mercato dell’estetica un secolo fa ovviamente non erano disponibili, il progresso, il benessere ci ha aiutati ad esser più curati e in ordine (chi più chi meno), in funzione della richiesta del mercato, perché di questo si tratta. Come dicevo nell’articolo precedente, farci sentire brutte e il modo migliore per quest’industria di trionfare e farci diventare i clienti perfetti. Qualcosa però sta cambiando, o meglio ci sta sfuggendo di mano, secondo il mio modestissimo parere, parliamone insieme.

Sono sicura che tutte abbiamo avvertito questo “cambiamento positivo” (lo virgoletto perché credo sia solo travestito da positivo), legato a una nuova visione del corpo al richiamo del #bodypositive, avete provato a cercare questo hashtag su instagram ad esempio? Qualcuno la fuori ci sta dicendo che è tempo di smetterla di cercare la perfezione nei canoni dei social, qualcuno ci sta dicendo che è ora di far trionfare il corpo in quanto tale, che la bellezza vera è quella del nostro benessere mentale, è ora di smettere di distruggere il nostro corpo in nome di qualche regola stabilita dai mass media. La bellezza naturale deve trionfare, visi senza troppo trucco, leggeri e freschi, una bellissima utopia.

Qualcosa non mi torna e vi spiego perché. Sono molto attiva sui social sia per la mia attività di scrittrice che per quella legata al mio lavoro di marketing, e mi è impossibile non notare come vengano inviati messaggi contrastanti relativamente a noi donne specialmente:

  • vogliamo parlare di corpi naturali? bene, quante di voi tutti i giorni vengono bombardate da immagini di integratori miracolosi? Prodotti da bere e ingurgitare prima o dopo i pasti?
  • quante creme snellenti avete visto negli ultimi mesi?
  • e la dieta liquida?
  • quella del digiuno intermittente?
  • quella delle carote? o delle mele?

Il loro slogan però è molto cambiato, perché le nostre care industrie di prodotti miracolosi hanno dovuto evolversi per seguire il nuovo mood della positività. Se negli anni passati lo slogan era legato al calo rapido di peso, oggi si vende tutto usando le parole: BENESSERE, NATURALE, BIO, SALUTE MENTALE E CORPOREA, TORNARE IN FORMA FISICA E PSICHICA ecc.. Il dimagrimento non vende più come una volta, quindi cosa mi sfoderano i geni del male? Si sono spostati verso questa nuova dimensione di fiocchi ed unicorni dove i loro prodotti super naturali ci permettono di arrivare alla felicità.

Mi basta aprire Instagram per vedere come un’infinità di ragazze impegnate in questo settore, il gioco è solitamente questo, integratori, uniti a due litri d’acqua al giorno, dieta salutare e attività fisica. Voglio svelarvi un segreto: tutti i fattori sopra (tolti gli integratori) porterebbero comunque ad un calo fisico, senza bisogno di pillole.

Capiamoci, so che il lavoro è lavoro e quindi se questa nuova attività porta buoni guadagni è ovvio che la si faccia, inoltre non voglio attaccare personalmente chi svolge queste funzioni, anzi io stessa mi trovo spesso dentro al vortice di necessità all’acquisto. Le networkers sono molto brave e preparate portandoci subito ad avere la necessità di acquistare per farci sentire meglio, sia in termini di benessere che in termini di autostima perché siamo certe delle parole che dicono nonostante non le conosciamo nemmeno, e quel prodotto potrebbe essere la soluzione giusta per farci alzare col sorriso domani.

E la bellezza naturale? Non mi sono dimenticata di questo argomento! Quante volte vediamo foto con hashtag come #nofilter, #nomakeupon, #naturalbeauty quando la foto ritrae un bellissimo viso femminile con labbra carnose e fillerate, sopracciglie con trucco semipermanente, capelli raccolti in un messy bun (la classica cipolla) che richiede almeno due ore di preparazione, pelle luminosa e ciglia con extension, cosa ci sarebbe di naturale in tutto questo? Se guardo il mio viso ora è di una donna di 37 anni, con rughe di espressione marcate, molte lentiggini, macchie scure post gravidanza e occhi stanchi, mi sento legittimamente brutta perché quello che vedo allo specchio, il “mio naturale” differisce ampiamente da quello che i social vogliono inculcarmi come naturale, ecco che sento il bisogno di acquistare delle soluzioni per apparire “più sana”.

Quindi, questo “cambiamento positivo” merita di restare virgolettato, perché onestamente non ci vedo niente di buono, anni fa ci dicevano di dimagrire per essere più belle per il nostro uomo, di truccarci ed essere più femminili; oggi invece con questa nuova immagine della donna emancipata, non si può più parlare di grasso o magro, sarebbe un giudizio e la nuova donna non accetta giudizi, meglio fare appello al senso del “sano”, del “benessere”, del “naturale”, per invogliarci ad “entrare nella loro rete”.

Volete sapere cos’è che funziona veramente bene? IL MARKETING. Utilizzare la ragazza della porta accanto che SEMBRA come noi e ci dice con occhioni dolcissimi ” FACCIAMOLO PER NOI STESSE, PER IL NOSTRO BENE”, non le creme, non le spremute drenanti, non gli 80 integratori al giorno che si beve, no, niente di questo, è solo MARKETING.

Sono stronza a smantellare la rete di vendita di queste ragazze capitanate da un’azienda leader alle spalle? Aziende che promuovono la capo aerea, la capo gruppo, la team leader e sviliscono chi vende poco? Francamente me ne infischio (come diceva Clark Gable in Via col Vento), poi diciamocelo, non stanno di certo a leggere quello che scrivo io. So per certo che nella mia attività di sostegno alle donne in difficoltà sono incappata molto spesso in ragazze disperate che per “diventare più belle” si sono trovate schiave di più prodotti insieme, compromettendo la loro salute. Sicuramente questi prodotti, per essere in vendita sul mercato, non sono pericolosi, ci mancherebbe anche, il più delle volte sono totalmente inutili. Onestamente però, credo nella medicina e nella scienza, quindi affidatevi a professionisti per questi programmi e ricordatevi che, eventualmente, in farmacia potete trovare molti integratori VERAMENTE CERTIFICATI.

Nella moltitudine del mercato di queste industrie ci sono chiaramente aziende oneste, serie, che promuovo la salute, quindi non voglio puntare il dito verso nessun brand anzi, spero che chiunque mi legga del settore possa dirsi orgoglioso e soddisfatto perché l’azienda per cui lavora non è così. Il mio scopo è come sempre la denuncia di situazioni scomode, è un mezzo per raggiungere chi si sente “sbagliato” e fargli capire che non esistono pillole della felicità che con un po’ di acqua possono portarci a risultati facili, è un modo per ragionare insieme sui meccanismi spietati del consumismo e del guadagno, che certamente non hanno a cuore il nostro benessere.

Oggi voglio dirmi che: SONO CONSAPEVOLE DI ESSERE INVECCHIATA, DI AVERE UNA TAGLIA 46, DI AVER UN CORPO CHE PORTA I SEGNI DI UNA GRAVIDANZA, DELLE MIE SMAGLIATURE, DELLA MIA CELLULITE, DEI MIEI CHILI E DELLE MIE FORME. SONO CONSAPEVOLE DI POTER CAMBIARE IN MODO SALUTARE QUANDO E SE IL MIO CORPO E LA MIA MENTE LO VORRANNO, NON PERCHE’ IL MONDO ESTERNO ME LO IMPONE. SONO UNA DONNA CHE VIVE BENE NEL SUO CORPO E SI VUOLE BENE, IL MIO CORPO E’ NATURA.

Facciamolo davvero per noi stesse.

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Mi rifiuto di sacrificare la mia salute mentale per avere un corpo perfetto.

Quante volte ho già parlato di bodyshaming e quante volte lo farò ancora, sono troppe le cose da dire e ogni stimolo esterno mi provoca nuove considerazioni. Quello che andrò a scrivere oggi è il prodotto dell’articolo di Vanity Fair su Vanessa Incontrada, che mi è piaciuto moltissimo, è stato come leggere tra le righe la sua rinascita, come è riuscita ad accettarsi; sono convinta che questo abbia fatto bene a tutte noi, ma soprattutto a lei.

Lasciatemi dire però che Vanessa Incontrada è una figa pazzesca, il fatto che sia stata giudicata per il suo corpo “rotondo” la dice lunga su come va il mondo. Ogni singola donna che ha letto l’articolo ha sicuramente pensato: “Lei? e io allora?”, si perché io rispetto a lei sono un cesso a pedali, ecco. “Lei è la porta voce di una battaglia contro il bodyshaming”, ripeto: “Lei? e io allora?”. Vanity Fair ti piace vincere facile giusto? Per promuovere un messaggio importante come il #bodypositive e l’accettazione di noi stesse hai messo in copertina una donna bellissima, come mai non hai chiamato me? Forse perché ho almeno 15 kg extra rispetto a lei, capelli arruffati, occhiaie da non sonno, ceretta fatta a pezzi quando mia figlia dorme e attualmente un herpes sul labbro superiore?

Ok, dopo la mia mini polemica vorrei anche dire che comunque un passo avanti lo abbiamo fatto, anni fa un corpo bello come il suo non sarebbe mai stato messo in copertina perché non rispettoso dei canoni inflitti dallo showbiz.

Vanity Fair come tanti altri giornali sta promuovendo finalmente questa piccola rivoluzione di “nuova bellezza”, e li ringrazio, ma non mi sento meno brutta, anzi. Infatti girando pagina mi trovo poi al cospetto con la solita crema anti cellulite, quella antirughe per le neo quarantenni, la dieta liquida per perdere 5 kg in tre ore, il digiuno intermittente delle dive, il laser per eliminare i peli, vado avanti? Cioè bodypositive dove? Diciamo che l’articolo serviva per vendere giusto qualche copia a persone “rotonde” come me e farsi condividere su facebook.

Qual è il punto? Beh, il mercato dell’immagine lavora sul nostro senso dell’inadeguatezza facendo leva sul farci sentire sbagliate perché non abbiamo ancora acquistato un determinato prodotto miracoloso, deve farci sentire brutte sempre per renderci le clienti perfette, disposte a spendere qualsiasi cifra pur di aumentare la nostra autostima.

Prendiamo un qualsiasi giornale femminile e iniziamo a sfogliarlo; per essere al passo coi tempi è necessario che pubblichi e sostenga questi nuovi corpi che stanno facendo sentire la loro voce, la bellezza naturale, la ruga che ci rende diverse, ma allo stesso tempo, troveremo un’infinità di pubblicità di integratori, prodotti snellenti, modelle in taglia 38 ecc, concludendo poi con il test dello psicologo “scopri perché non ti piaci abbastanza”.

Parliamoci chiaro, al mondo non conviene liberarci dalle catene dei canoni di bellezza, il consumismo non può smettere di farci sentire brutte, ma continuare a schiavizzarci con messaggi e tenerci in pugno sgretolando la nostra autostima, così saremo impegnate a fare altro mentre gli uomini continueranno a comandare e manovrarci.

Rendere le donne indipendenti dalla loro immagine potrebbe mettere in ginocchio delle intere economie, quante siamo ad essere schiave di questo mondo? Io per prima ancora mi trovo ferma ad ascoltare networker che promuovono l’integratore di ultima generazione e sento il bisogno di comprarlo per essere “a posto con la mia coscienza”.

E’ l’insicurezza la carta vincente su cui tutto il mercato lavora, vendere la bellezza travestendola da “benessere fisico e mentale”. Non so voi ma nonostante mi sforzi di non ascoltare questi messaggi, me li sento dentro come un martello. Ho passato anni interi ad odiare il mio corpo o parti di esso, cercando di modificarmi con diete, facendo sport contro voglia e facendomi le extension ai capelli, ma quanto sono tossici questi comportamenti?

Sono TOSSICI perché ci sembra di poter essere felici solo quando saremo entrate nella taglia 42, quando i capelli saranno lunghi, quando la pancia sarà calata o le braccia toniche, senza renderci conto che la rincorsa alla felicità non avrà mai fine. Ogni qualvolta un obiettivo sarà raggiunto ecco che una nuova immagine o messaggio ci farà odiare un’altra parte ancora del nostro corpo e il circolo vizioso riprende, questa lotta non avrà mai fine.

Mettiamo di vivere in una città che non ci piace, possiamo cambiarla, ma a lungo andare non ci piacerà più neanche quella nuova, quindi vorremo cambiarla ancora e ancora. Odiare il nostro corpo può solo portarci ad essere insoddisfatti, infelici, perennemente stressati per la ricerca della tanta agognata perfezione che, immancabilmente, il mercato dell’immagine ci sposterà sempre più lontano per tenerci imbrigliati al guinzaglio dello spendere soldi.

“Mi rifiuto di sacrificare la mia salute mentale per avere il corpo perfetto”

IO SONO COME SONO.

Nel prossimo articolo vorrei parlare di quanto spendiamo per la ricerca della felicità (diete, integratori “naturali”, elisir di bellezza) e quanto siamo disposte a stressarci per arrivare a quella che sembra essere la felicità. Se avete idee o suggerimenti scrivetemi!

Musica sessista, fermiamo la violenza.

Ogni mio articolo è scatenato da una goccia che fa traboccare il mio vaso, che onestamente, credo essere diventato un bicchiere da shortino più che un vaso, questo perché la tolleranza verso certi comportamenti è sempre meno così come lo spazio che riesco a dedicargli nel mio contenitore. Oggi parleremo di musica, nello specifico di un genere musicale e alcuni “artisti” italiani che ne fanno un uso improprio.

Il mio panorama musicale è estremamente vasto, da Bruce Springsteen a Adriano Celentano, gli Articolo 31, il genere indie, il pop, reggeaton, rap, mi piace praticamente tutto, da ascoltare in funzione di come mi sento in un dato momento, ad esempio oggi, per scrivere, ho scelto il blues del delta di Chicago.

Gli “artisti” che sto mettendo sotto esame sono esplosi negli ultimi anni in Italia tra i ragazzi giovanissimi, fanno parte della scena rap, hip hop e trap, genere musicale a me molto caro specialmente quando sto correndo in ciclabile e ho bisogno di qualcosa che carichi.

Facciamo un breve tuffo nel passato, quando ho iniziato a sentire i primi ritmi rap provenienti da oltre oceano, negli Stati Uniti ero una giovane ragazza di 13 anni. Uno degli esponenti più importanti della musica rap americana è stato Tupac (parlo di lui perché il mio preferito, difficile poterlo imitare).https://it.wikipedia.org/wiki/Tupac_Shakur.

La sua musica “parlata” era usata come denuncia della vita che lui e i suoi “fratelli” afroamericani vivevano. Era principalmente “musica nera”, cantata dalla loro minoranza che parlava di razzismo, povertà, guerra tra gang, sparatorie, criminalità, prostitute, ragazzi giovanissimi che per guadagnare qualche soldo si buttavano nella malavita e nel commercio della droga, insomma la realtà dei primi anni novanta per la “sua gente”. La musica poi lo ha arricchito e reso famoso ma la rivalità tra gang ha avuto la meglio, infatti alla giovane età di 25 anni è stato ucciso. Artisti come lui hanno influenzato molto il resto del mondo e anche nella nostra piccola realtà ecco emergere le canzoni parlate di Jovanotti e gli Articolo 31, ovviamente con un altro spirito, tematiche diverse e ricche di contenuti.

Questa intro ci aiuta a capire le origini di questo genere musicale e, come sia stato poi trasformato oggi nel nostro paese. In Italia infatti il numero di artisti che si destreggia tra questi generi musicali è sempre maggiore, con testi arrabbiati, che anziché mettere in musica serenate rap (perchè di quella ce n’è una sola), scrivono di cattiverie subite, emarginazione, sogni non realizzati. Non tutti però hanno temi impegnati purtroppo, anzi.

Alcuni di questi infatti, mettendosi sulla falsa riga di artisti importanti che hanno risollevato la loro vita con la musica, si sentono autorizzati a scrivere testi carichi d’odio nei confronti delle donne. Questo genere musicale è stato una rivoluzione per far sentire la voce di chi per troppo tempo è stato messo a tacere in quanto “minoranza”, mentre alcuni dei nostri rapper italiani sostengono che cantare con il linguaggio di strada sia la chiave del successo. In questo linguaggio sono inclusi termini come “troia”, “puttanta” ecc, insulti sessisti che sappiamo bene esistere in versione femminile soltanto.

Non è mia intenzione scrivere o citare alcuno dei loro testi, credo siano già abbastanza pubblicizzati. Siamo nel 2020, il numero dei femminicidi in Italia è altissimo, combattiamo il patriarcato e il maschilismo e mentre sono ferma al semaforo sento passare per radio una “canzone” di questo genere?

E’ davvero questo il messaggio che si vuole passare alle generazioni che stanno ascoltando la canzone? Non ci sono altri argomenti a disposizione per questi “artisti”? Oppure la scelta di utilizzare tutto questo sessismo è in nome del successo? Per vendere di più? Beh, se questa fosse la ragione, lasciatemi dire che ci troviamo di fronte ad una pochezza inaudita.

Parte di questo articolo verrà utilizzato da un centro antiviolenza nel veronese, pertanto mi sono documentata a dovere prima di scrivere, scoprendo anche che ci sono artisti come Ghali (Good Times, canzone super trasmessa quest’estate) che si sono fatti portavoce di una campagna contro l’uso smodato di parole violente verso le donne. Ghali è un rapper italiano ma di origine tunisina, un caso? Non direi, in diverse sue interviste parla di come sia stato discriminato ed emarginato, sentendosi “diverso” o parte di una minoranza. Ecco che esperienze come queste ti cambiano, ti rendono migliore, insegnandoti ad essere più rispettoso verso l’altro.

Mi verrebbe molto facile etichettare questi artisti dai poveri contenuti, nello stesso modo in cui loro ci hanno etichettato, ma non è combattendoli personalmente che risolverò il problema della violenza contro le donne purtroppo. Vorrei piuttosto farli ragionare sull’importanza dei messaggi che lanciano ai più giovani che amano ascoltarli, quanto pesano le parole che utilizzano e come possono essere percepiti da chi non è pronto. Vorrei portarli con me in un centro anti violenza per un giorno, dar loro modo di incontrare donne che vivono nell’ombra per non essere trovate dall’ex marito, altre che sono vive per miracolo, e altre ancora che, per paura di perdere i figli, restano nella casa con il loro carnefice, con botte e violenza continua.

“E’ solo una canzone, sai quante parolacce sentono in casa questi ragazzi?”, certo che lo so, per tante famiglie vivere in mezzo alla violenza è una normalità, sentirla però passare anche nelle canzoni è come renderla lecita e accettata, come autorizzarne l’esistenza e la convivenza. La prossima vittima potrebbe essere vostra figlia, mamma, sorella, una donna importante della vostra vita, riflettete sul male che trasmettete nelle vostre parole. La vostra influenza mediatica sui più giovani potrebbe essere usata proprio per lanciare messaggi contro la discriminazione e la violenza, fatevi portavoce del cambiamento per un futuro migliore.

Fermiamo la violenza anche con la musica.

Sostenere una donna solo perché è donna è l’equivalente di un autogol.

Mi sono decisa a parlarne, una volta per tutte, per spiegare il mio punto di vista relativamente al supportarsi tra donne e il fare squadra. E’ uno dei punti su cui la corrente femminista fa leva da sempre per poter distruggere il patriarcato e chiaramente sono a favore.

Ciò non toglie che non sono d’accordo nel sostenere qualsiasi donna a prescindere, quante volte mi sono sentita dire la frase: “ma proprio tu parli così che fai la femminista?!” con quel sorriso di sfida; bene cari signori, adesso ascoltate quello che ho da dire perché lo farò per l’ultima volta.

Inizio il mio fiume di parole dicendo che mi trovo “costretta” a scriverlo qui sul blog perché nessuna persona, dopo avermi detto quella frase inutile, si è mai fermata ad ascoltare veramente la mia risposta. Se ne escono con questa battuta da uomo alfa, per poi chiaramente ridere e non prendere sul serio minimamente il mio tentativo di ribattere.

Questa osservazione mi è stata fatta perché mi sono espressa in disaccordo verso una ragazza e le sue opinioni, ogni essere umano ha delle idee, dei valori e in quel momento io ero completamente contro quanto lei stesse dicendo. Uno dei valori per me fondamentali è l’umiltà in tutti i campi della vita, non si è mai finito di imparare quindi non posso accettare che qualcuno parli e interagisca con altri “dall’alto” della sua sapienza, specialmente se questa sapienza non è dimostrata. Sono femminista certo, ma questo atteggiamento che tende a rimpicciolire gli altri non mi appartiene e lo combatto, non potrò mai sostenere una donna che cerca di affermarsi schiacciando le altre persone. Donne e uomini devono rispettare regole per convivere nella nostra società, rispettarsi tra loro e sostenersi.

Mi faccio molte domande sempre, per capirmi e studiare le mie reazioni, dargli un nome e capire certi malesseri da dove partono. Inizialmente mi sono ritrovata a pensare che tutta questa rabbia che sentivo nei confronti di alcune donne fosse invidia, per un attimo le ho viste forti perché urlavano e cercavano di essere “dominanti” in questa veste da attacca brighe. L’invidia è un sentimento ancora peggio di chi cerca di affermarsi con frusta e bastoni e onestamente dopo tante tante analisi su di me posso dire che proprio non mi appartiene. Il mio rifiuto verso chi non possiede alcuna forma di umiltà è dato dalla mia etica, dai miei ideali, una persona che è nel giusto e ha grandi capacità si può affermare e crescere senza schiacciare gli altri.

Femminismo non è sorellanza a tutti i costi, una donna che per farsi rispettare usa la voce alta, la cattiveria, l’indifferenza non potrà mai essere meritevole di sostegno da parte mia. Possiamo arrivare tutte in alto e raggiungere i nostri obiettivi senza bisogno di schiacciare qualcuno, questo è sostegno, tutto il resto non può far parte del mondo femminista, non può esistere femminismo senza rispetto dell’altro.

Lasciatemi dire anche un’ultima cosa, chi cerca di affermarsi usando l’attacco non è altro che un insicuro che cerca di mascherare la sua inadeguatezza, impreparazione, incapacità difendendosi in questo modo, pensando che la violenza verbale possa colmare la totale inettitudine che avverte. Tante donne specialmente nel mondo del lavoro sono così, questo grazie al patriarcato che ci insegna sempre che siamo inadatte, inferiori e incapaci rispetto ai nostri colleghi uomini; per sentirci al loro pari lavoriamo il doppio, facciamo dieci cose allo stesso tempo oppure diventiamo aggressive e cattive per difendere il “nostro territorio” da altre belve feroci che potrebbero scavalcarci.

Essere femminista e supportare le nostre sorelle significa:

  • fiducia: iniziamo a pensare che nessuna donna vuole “rubarci” il posto che con tanta fatica ci siamo guadagnate, lei lavora con noi, non contro di noi,
  • sostegno: incoraggiamo le nostre amiche, colleghe, sorelle, donne in generale, ricordandogli tutti i loro punti di forza che per tanti anni ci hanno convinto fossero DIFETTI,
  • empatia: mettiamoci nei panni dell’altro, l’attacco non è la risposta giusta anzi, allontana chi ci sta vicino,
  • collaborazione: si lavora insieme per arrivare ad un obiettivo di gruppo, “siamo state brave” perché lo abbiamo fatto insieme,
  • l’invidia è un sentimento genuino alle volte che può stimolarci a fare meglio, ma attenzione, c’è chi lo userà e lo manipolerà per stimolarci a lavorare di più, per sfruttarci, chiamandolo ambizione; quando diventa un sentimento negativo correte ai ripari,

“Proprio tu parli così che fai la femminista?!” “Sostenere una donna solo perché è donna trattandola coi guanti significherebbe assecondare lo stereotipo che hanno creato quelli come te, e ascoltami quando parlo”.

We rise by lifting others.

Vi lascio con questa immagine, e vi traduco le bellissime parole all’interno:

“E quando arrivi dove volevi arrivare guardati intorno e aiuta anche lei, c’è stato un tempo non troppo lontano in cui lei era te”

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Odio piangere di fronte a chi mi ha fatto incazzare.

C’è qualcuno che come me soffre di questa sindrome disastrosa e fastidiosa? Quelli che durante la discussione della vita, con tutte le carte vincenti, pronti per andare a meta, si trovano all’apice dell’incazzatura e, anziché dare il colpo di grazia, si trasformano in bambini capricciosi iniziando a piangere con singhiozzi e il naso rosso? Dio che fastidio, come dice una delle canzoni su Spotify che sto ascoltando in questi giorni.

Mi immagino la scena vista da fuori, suona come una grandissima sconfitta, l’avversario di turno vince inesorabilmente guardandomi riversa nelle mie lacrime indifesa. I suoi pensieri in testa quali potrebbero essere?

  • “Ma guardala immatura e ancora bambina che non riesce a gestire una conversazione”,
  • “la solita donna emotiva”,
  • “ha finito gli argomenti e quindi piange”,
  • “è una donna troppo fragile”,
  • E il peggiore di tutti credo sia: “ecco l’ho fatta piangere, ho vinto”.

La realtà, amici che mi fate piangere, è ben diversa, esiste questa categoria sfigata a cui appartengo con tutti i meriti, di persone così incazzate che, anziché riempirvi di mazzate (perché il dialogo non ha più senso), anziché urlarvi contro le peggio parole disponibili nei vocabolari, si spengono e stringendo i pugni, iniziano a piangere.

Andando sempre più nello specifico, solitamente quando capita a me, sto discutendo con una persona che si trova su un pianeta diverso dal mio, difficile quindi comprenderci. L’avversario superclassico è un uomo, purtroppo, con l’atteggiamento di chi mi sta sbeffeggiando, sorride intenerito di fronte ai miei sforzi di farmi capire invano. Lui mi guarda e prova tenerezza verso questa donna (che sarei io) con la piangina facile, un’escalation di toni di voce dove lui mi sovrasta e io capisco che non si può battere un avversario a chi grida di più.

Vi racconto di questo collega, ormai non so dire quanti anni siano passati dal fatto, io ero piuttosto giovane e impetuosa come sempre, lui un uomo molto frustrato e amareggiato dalla vita. Discutevamo spesso, e la mia promozione (se così possiamo chiamarla, direi più un martirio), l’aveva molto infastidito. All’ultima discussione, perché poi non ci siamo più rivolti parola, ha osato avvicinarsi a 5 cm dal mio naso e con gli occhi rabbiosi mi dice: “sei ridicola, tu questo lavoro non sei in grado di farlo e lo sai bene”. Eccole che arrivano, le lacrime iniziano a scendere da sole, che fastidio e lui rincara la dose: “ecco vedi, questa è la differenza tra me e te”. Nei giorni successivi, probabilmente deve essergli apparsa in sogno la Madonna che lo ha illuminato d’immenso, eccolo che torna e inizia a dirmi come lo abbia fatto riflettere vedermi piangere, aveva superato il limite concesso e si scusava tanto. La mia risposta è stata breve “No adesso basta”. La frase sul mio pianto che lo aveva fatto riflettere era ancora peggio del fatto che io avessi pianto! Lui era il capitano dell’Enterprise, l’uomo alfa, io ero una bambina piccola, bisognosa di coccole, affetto, tenerezza e modi dolci, il rischio era di farmi piangere ancora.

Come te lo spiego caro ex collega che io piango perché sono incazzata e incapace di parlare la tua lingua per spiegarti le mie ragioni? Come posso farti capire che il pianto è la risposta al tuo essere ottuso e incapace? Il mio pianto rappresenta la tua inettitudine ed io, delusa ancora dal genere umano che, non vede mai oltre il proprio naso, piango per la sconfitta che anche tu infliggi al mondo.

Non sempre tutto si risolve così facilmente, ci sono stati momenti in cui ho pensato di aver pianto davanti a lui perché la frase “sei ridicola, questo lavoro non lo sai fare”, non era altro che le stesse parole che io mi ripetevo tutte le mattine. Il suo sguardo violento e quelle parole mi sembrano come la mia parte cattiva che riflessa nello specchio mi parlava e mi diceva quanto poco mi stimavo, quanto poco mi davo valore e quanto poco attribuivo valore al mio lavoro. Argomento già trattato lo so, ma i disagi sono uno incatenato nell’altro, io non mi sentivo abbastanza e il mio pianto per quella frase era perché mi ero ritrovata allo specchio, io non mi sentivo in grado di fare quel lavoro e la mia autodifesa era sempre l’attacco.

Per completezza, oggi so che quel lavoro lo sapevo fare e molto bene anche, l’acquisto di autostima e fiducia nelle mie capacità mi sta aiutando a piangere meno, allo stesso tempo rendermi conto che spesso il mio pianto è veramente la risposta alla chiusura mentale di chi mi sta di fronte è confortante, ascoltiamo quel bambino che abbiamo dentro quando piange per farsi sentire, cerchiamo di capire cosa vuole dirci.

Ricordiamoci anche dei poteri benefici del pianto:

  • È liberatorio, ci permette di non tenere tutto dentro e farci venire ulcere,
  • È uno sfogo, stiamo esternando un disagio, ascoltiamoci,
  • Da quando piango tanto ho smesso di soffrire di mal di stomaco,
  • Piangere è una pulizia, lasciamo andare quello che non ci fa bene.

Piccola nota per i nostri amici maschietti: POTETE PIANGERE ANCHE VOI SENZA SENTIRVI MENO UOMINI DOMINANTI CHE DETENGONO IL CONTROLLO.

Piccola nota extra per il prossimo che mi farà piangere (perché lo so che ci sarà): il mio pianto non è la tua vittoria, ma la tua sconfitta, piango perché ogni forma di umana tolleranza, con te, non ha dato risultati.

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Ordine di una famiglia ottimale.

Il procedimento è quasi sempre lo stesso, parto per la mia camminata giornaliera sotto il sole cocente di agosto e anziché svuotarmi dai pensieri, mi riempio. Ieri in particolare mi arriva questa foto da una cara amica che ben conosce il mio animo infiammabile.

Non so neanche bene da cosa partire, ogni parola in questa immagine mi rimanda a una vita così chiusa e spaventosa che mi provoca subito un groppo in gola, come mi mancasse l’aria.

Sono una persona estremamente spirituale, rispetto tutte le religioni, purchè esse stesse rispettino il valore degli esseri umani. Una religione è un sentimento che lega un uomo o un gruppo di uomini ad un credo verso un’entità spirituale, una luce, un’energia, da qui separo gli atei dai religiosi. Vado spesso in chiesa riconoscendola come luogo sacro dove posso nutrire il mio bisogno di contatto con la mia spiritualità, ma lo faccio come sempre a mio modo. Ho sentito da tempo la necessità di separarmi da alcuni aspetti della nostra religione, specialmente quelli legati alla famiglia e ai ruoli sociali imposti. Ritengo che alcuni di questi dogmi siano stati creati dagli uomini per gli uomini.

Ho già parlato in articoli precedenti di come anni e anni fa, fosse la società matriarcale a guidare, (breve esempio preso da FOCUS: gli egizi, avevano la parrucca nera per elevarsi al ruolo femminile; ma potevano indossarla solo dopo aver raggiunto un certo valore morale, la perfezione, la completezza era la donna), l’arrivo dell’impero romano ha significato molto per noi, in male. L’aspetto maschile e fisico ha avuto la meglio, e sapete come? con l’utilizzo della religione. Si avete capito bene, la religione cristiana è stata da sempre utilizzata per castigare e punire le donne troppo pretenziose, relegandole in un angolo della casa, la cucina. Vogliamo riflettere sulle streghe cattive bruciate nei roghi? Donne con intelletto superiore che venivano etichettate con questo nome streghe, utilizzando l’ignoranza del volgo base per rapirle e arderle vive. Le donne intelligenti sono da sempre pericolose. Sto parlando di mille argomenti insieme lo so eh? Non me ne vogliate, la mia intenzione è quella di parlare “facile” e raccontare come il maschio ha saputo sfruttare, interpretare e mettere a suo favore i testi religiosi tanto da stravolgere la società e relegarci in fondo, togliendoci ogni mezzo che potesse renderci libere.
Detto questo, sottolineo che nessuna religione che insegna il perdono, l’accettazione e il rispetto, potrebbe mai appoggiare un’immagine come quella sopra.


Questo spot pubblicitario della “famiglia ottimale” è un estratto di una religione simile alla nostra, o quanto meno con radici uguali alla nostra. Cosa vuole trasmetterci?

Partiamo con ordine, ovviamente dal numero uno indiscusso: il Marito che con le sue braccia sovrasta sopra alla famiglia, Lui è chi DIRIGE e PROVVEDE. Subito SOTTO in posizione di subordinazione abbiamo la MOGLIE, accompagnata dai verbi docili e mansueti per una donna ben addomestica, lei CONFORTA, EDUCA, INSEGNA e, il peggiore di tutti: SI PRENDE CURA (della casa, dei figli, del marito), i figli per ultimi che devono amare e obbedire.

In questa vita basic che la religione vorrebbe farci indossare, abbiamo un marito che provvede al mantenimento familiare e quindi, portando i soldi a casa, ha il pieno diritto di comandare, gestire e pretendere dalla moglie e figli. La moglie invece, sarebbe meglio fosse poco istruita (così da non avere strane idee in testa), meglio non lavori perché cosa se ne fa lei dei soldi se già ci pensa il marito? Una donna con indipendenza economica è un pericolo, meglio sia subordinata e totalmente dipendente dal suo padrone di casa. In tutto questo bel quadretto abbiamo i figli, che vedendo questo modello, potranno crescere nel modo ottimale.

A fronte di questo ripeto: nessuna religione che parli di perdono, accettazione, rispetto può volere questo. Testi risalenti a 2020 anni fa vanno sicuramente sviluppati e adattati alla nostra realtà contemporanea, perché se prendiamo per buono tutto quello che ci dicevano gli apostoli, sarebbe bene, cari i miei uomini alfa di nostro Signore, che smetteste di bestemmiare se vostra moglie vi ha preparato la pasta col pomodoro invece delle lasagne.

Ecco dove voglio arrivare, da ormai 6 anni seguo e faccio volontariato presso enti anti violenza, per poterlo fare ho seguito corsi lunghi e faticosi, anzi direi dolorosi per la precisione. Questa gabbia dorata che gli uomini si sono cuciti addosso è spesso il covo ideale per la violenza domestica. Ruoli così marcati, definiti e subordinati provocano situazioni di violenza e silenzi continui. Sono tanti gli uomini che appena hanno figli pretendono che la moglie resti a casa ad accudire la prole, creando così questo legame di dipendenza tossica e controllo su tutto, controllo economico, fisico e mentale, poi la domenica mattina in prima fila nella chiesa del paese per ascoltare quella bella lettera agli efesini. L’uomo si sente potente, padrone di tutto anche degli esseri umani con cui vive.

Attenzione però, non sto dicendo che la religione cattolica sia la fonte della violenza di genere, ci mancherebbe, il male legato a queste scelte di vita va ben oltre e non è questo il momento per analizzarlo. Volevo solo far notare come situazioni così agli antipodi siano ben ancorate alla nostra società italiana, la bella facciata della domenica religiosa e una famiglia composta da un Capo Branco Padrone e i suoi subordinati.

Quando penso al “family day” ecco cosa mi viene in mente. I bambini, la moglie e il cane non stanno sorridendo, sono imbavagliati.

Ma è mai possibile che ci siano persone che difendono i diritti di queste famiglie rispetto alle cosiddette “famiglie arcobaleno 🌈 ”? C’è chi difende queste realtà dove i bambini vivono quotidianamente sofferenze di una mamma che piange di nascosto, mentre il papà beve o gioca alle macchinette del bar, piuttosto che incoraggiare l’amore tra persone delle stesso sesso serene. Una vita familiare così medioevale può solo portare alla vincita del nostro lato oscuro, l’insofferenza totale verso chi ci sta intorno.

Possiamo essere religiosi, tutti sul podio, tutti al primo posto, è questo che qualsiasi entità benevola vorrebbe insegnarci. Siamo tutti uguali.

“Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, diceva, e da qui vorrei si potesse ripartire.

Chiaramente questo articolo esula dalla scelta delle donne di non andare al lavoro o di non trovarlo, di non averne bisogno o di non averne la possibilità, non traiamo le conclusioni sbagliate, quello che voglio fare emergere è che la donna dovrebbe non lavorare sulla base di questi testi religiosi per non sentire il bisogno di agghindarsi, uscire di casa o distrarsi dal suo ruolo principale: PRENDERSI CURA DI.. tutto tranne di lei.

Fedy_On_The_Blog – anche oggi temi leggeri come il pranzo di Natale 🎄

Come posso disinserire la funzione multitasking dal mio sistema operativo?

Ho avuto il piacere di leggere un articolo di una donna estremamente caparbia, una comica con un intelletto sopraffino, lei si chiama Michela Giraud e sul numero di Vanity Fair di questa settimana parla di come sia importante essere donne MONOTASKING. Il suo savoir-faire ci insegna come dire no smettendo di pretendere da noi cose che non pretendiamo dagli altri.

Ho divorato il suo pezzo, riflettendo poi su come mai io mi sia sempre trovata a vivere con questa funzione attiva, in effetti nessuno mi ha chiesto esplicitamente di essere multitasking, ma perchè l’ho sempre fatto?

Mi sono sempre sentita in dovere di farlo in quanto donna, per poter valere almeno quanto un uomo, nella mia mente sono stata inferiore per molto tempo, svolgere 10 funzioni insieme mi aiutava a valutarmi quasi come gli altri. Mi faceva sentire una donna meno inutile, una donna desiderabile perché più adempiente, più utile e necessaria in campo lavorativo perché ero una sola ma lavoravo per tre. Volevo sentirmi riconosciuta, “brava”, una donna che sa fare.

Da me pretendevo una cosa sola, essere impeccabile: in forma, bella, ordinata, capello liscio, trucco, pulita, profumata, pelle morbida e idrata da curare con prodotti giusti (costo minimo un rene cad.), sorriso giusto, vestiti sempre nuovi ogni giorno (mai mettersi la stessa cosa due volte di fila). Una perfetta donna di casa che tiene pulito, in ordine, tutto stirato (anche gli asciugamani), acquistati numero due i-robot per la pulizia costante del piano sotto e sopra, vetri splendenti e “home sweet home” appeso ovunque. Non poteva essere diverso sul lavoro, il telefono ovviamente era mio, quindi si risponde al centralino, si smistano le mail, si apre al corriere, si firma la raccomandata, si fa accoglienza e nel mentre dovevo anche fare il mio lavoro, ma la pipì quando? Ah si il tutto coronato dai miei attacchi di panico. (vedi ultimo articolo: https://fedyontheblog.com/2020/07/29/presa-dal-panico/)

Cosa ci ha portato a vivere così? voglio dire, perché ci è sempre sembrato normale vivere indossando gli abiti da: donna, mamma, moglie, fidanzata, amante, crocerossina, lavoratrice, psicologa, badante, donna delle pulizie, infermiera, cuoca, modella di intimissimi e al bisogno “inserisca qui il gettone per una notte di sesso”?

Io mi sono fatta tante volte questa domanda, immagino che l’ambiente in cui siamo nate, la cultura e il folklore locale a cui siamo state esposte, ci abbiano infettato a tal punto da crescere con questo file installato. I media che ci bombardano con queste donne da copertina che oltre ad essere bellissime e leggiadre anche dopo 24 ore di travaglio, riescono a fare le lasagne e mettersi il perizoma con una mano ingessata. Gli uomini che per anni, anzi secoli, hanno saputo tramandarsi il comportamento giusto per tenerci docili e mansuete pronte ad ogni loro bisogno, pretendendo da noi molte più fatiche perché sulla carta erano loro ad andare al lavoro ogni giorno. Nei vari libri e saggi letti pare che questa caratteristica femminile derivi dalla preistoria, gli uomini erano dediti alla caccia soltanto, data come attività molto pericolosa e stressante, mentre le donne “a casa” dovevano occuparsi di tutto il resto. In questo modo i nostri cervelli si sono evoluti in maniera differente, noi multitasking..loro no. Beh, non direi consolante.

Quello che ai miei occhi risulta molto chiaro è che negli anni le donne non hanno mai potuto dire no, se qualche temeraria si azzardava, erano botte e tanto altro. Credo quindi che l’attività multitasking sia stata una sorta di “evoluzione” femminile per prevenire la violenza dell’uomo alfa, il quale sapeva come convincere la “sua amata” a non lamentarsi troppo, era meglio quindi farsi trovare sempre impeccabili per non rischiare di farlo arrabbiare.

Oggettivamente, quante richieste ci vengono fatte al giorno? Quante volte diciamo no? Ho collegato da poco i miei attacchi di panico alla vita “impeccabile” che mi ero imposta da sola di avere, la nuova prospettiva è parte integrante del mio sentirmi meglio. Non è facile, ci sono giorni in cui scelgo di fare “solo la mamma” e mi sento in colpa, come se fossi venuta meno ad uno dei miei compiti primari.

La mia domanda non ha ancora trovato la risposta che cerco.. essere multitasking è veramente una virtù? o è piuttosto una forma di autodifesa messa in atto dalla notte dei tempi verso quel mondo che ci fa sentire sempre “non abbastanza”? E soprattutto.. come si fa a disinstallare dal nostro cervello questo file medioevale?

Vi lascio il link di un libro eccezionale, da leggere, con la prefazione di una delle “mie donne” preferite: Michela Murgia.

https://www.amazon.it/s?k=bastava+chiedere&adgrpid=79869496715&gclid=Cj0KCQjwgo_5BRDuARIsADDEntSs3N_KKTKIDh9phCoHUlMC9LNmfpO4xERdyUoXb_vF1Nu5meey6hsaAqTsEALw_wcB&hvadid=387750654854&hvdev=c&hvlocphy=20570&hvnetw=g&hvqmt=e&hvrand=7143885204944499318&hvtargid=kwd-852270846184&hydadcr=18636_1822916&tag=slhyin-21&ref=pd_sl_93eqb0b2c5_e

Buona lettura e buona riflessione a tutte noi, che ogni giorno usiamo i nostri poteri magici per adempiere a tutti i vari ruoli assegnatici.

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Devi imparare a stare zitta.

“Come faremo se non ci fossero le nostre donne in questo mondo? Le donne sono forti, importanti, guidano le famiglie, crescono figli, curano la casa, amano un marito”.. che ansia. L’importante è che la donna sappia bene qual è il suo posto, al centro lui, il solo e unico marito con intorno la meravigliosa cornice.. sua moglie, la regina del focolare domestico, per lei poesie e parole d’amore senza fine, l’importante cara mogliettina è che tu sappia stare sempre un passo indietro e soprattutto che impari a stare zitta.

Siamo nel 2020 ed esiste ancora una generazione che non tollera il fatto che una donna possa anche solo alzare la mano per esprimersi, figuriamoci se si permettesse di rispondere a tono quando istigata da un un interlocutore maschile. In quel caso sguardo vitreo che dice: “ma come ti permetti di rispondermi male?”.

Noi donne siamo tenute ad azionare sempre la modalità “polite” ovvero diplomazia e dolcezza, qualsiasi altra forma verrebbe considerata una sorta di acidità, anomalia ormonale, incapacità di gestione delle emozioni, impulsività, immaturità, fragilità di sentimenti al grido di “oggi è acida, avrà il ciclo”, oppure ancora peggio: “Secondo me ha bisogno di vitamina C” e non intendo quella che si vende in farmacia, come se un rapporto sessuale con un uomo potesse ripagarmi di anni in silenzio a non rispondere perché sono nata donna e non mi è concesso avere opinioni.

In realtà ho il ciclo proprio ora che sto scrivendo, lo dico ai più temerari così da togliere ogni dubbio, ma vi assicuro non da sbalzi ormonali. Sapete cos’è che crea sbalzi d’umore alle donne? Lavorare il doppio per essere pagate quasi come un uomo ad esempio, fare la casalinga e la mamma di fronte a qualcuno che ti dice: “bello stare a casa a fare un cazzo vero?”, e ancora: lavorare otto ore al giorno poi arrivare a casa e anziché coricarmi sul divano in attesa della cena, dover fare lavatrici, stirare, fare le pulizie perché sono ruoli “nostri”, far parte del gruppo whatsapp della classe del figlio con compiti, catechismo, calcio, compleanni. Banali esempi ma.. siamo sicuri che sia il ciclo il problema?

La domanda “hai il ciclo?” posta come forme d’istigazione in risposta ad una nostra presa di posizione è da anni e anni che esiste, ci tengo a dirlo perché è bene mettere in chiaro come venivano trattare le donne in passato, e perché esiste ancora una generazione che ragiona come se fossimo ai primi del ‘900, tramandando questa mentalità chiusa da padre in figlio.

Infatti è proprio in quel periodo che vorrei soffermarmi un attimo, ai tempi i vari “medici” ritenevano le donne soggetti inferiori sia a livello cerebrale che a livello fisico, soprattutto perché sanguinanti ogni mese come se avessimo una sorta di disturbo cronico con ripercussioni anche a livello mentale, tanto da “renderci matte in quei giorni”. A partire dalla prima guerra mondiale ci fu un aumento esponenziale dei manicomi in cui venivano internate per lo più donne. Negli archivi delle loro cartelle cliniche viene quasi sempre riportata la seguente frase: “facile irritabilità, rifiuta di sottostare ai volevi del marito o della suocera, incline agli insulti, incapace di gestire la prole, rifiuto di adempiere ai compiti coniugali”. Nel periodo poi dei fasci il numero di donne fu triplicato, in troppe si rifiutarono di fare da incubatrici per la produzione in massa di figli di razza pura.

Analizziamo la situazione? Nel 1900 e dintorni, una donna di circa 30 ha già come minimo 7/8 figli, (io ho rischiato di impazzire partorendone una) mettiamoci dentro anche qualche aborto spontaneo perché l’ostetricia non era ancora ai massimi livelli. In aggiunta deve curare la casa, i figli, avere rapporti sessuali a comando in base alle esigenze del marito padrone, non può esprimere nessun genere di idea, il più delle volte picchiata perché nella normalità di una famiglia italiana media cristiana e sicuramente viveva con la suocera. Se tutto questo roseo mondo non le piaceva ecco che il ribellarsi destava subito sospetti, si chiamava il medico et voilà internata in manicomio perché irosa, con squilibri, curata se andava bene con 10 elettroshock al mese o coma farmacologici indotti (tutto questo documentato su libri es. Malacarne, donne e manicomio nell’Italia fascista, di Annacarla Valeriano).

Credo questo breve excursus sia sufficiente per capire che la battuta sugli sbalzi di umore e ciclo sia lievemente inadeguata. Avere un’opinione e rispondere a tono a provocazioni o frasi infelici non è sinonimo di acidità femminile, o donna con la lingua lunga, significa essere umano al pari degli altri che difende le proprie posizioni senza entrare nel merito del sesso di appartenenza. Non lasciatevi mai zittire da nessuno, se qualcuno vi sta ordinando di stare zitte c’è un problema.

Spero vivamente che la generazione di cui tanto parlo sia verso la fine, si tratta di uomini chiusi mentalmente che hanno vissuto in famiglie patriarcali in minuscoli paesi con livelli bassi di istruzione, ma che purtroppo si sono sparsi a macchia d’olio, infettando i figli che ai giorni nostri ancora vivono e ragionano in questa modo vergognoso. Spero anche che gli esseri umani stiano facendo in mondo che i bambini crescano senza stereotipi, liberi di parlare e di esprimersi.

Voglio che le orecchie di mia figlia non sentano mai le parole: “devi imparare a stare zitta”, perché amore mio, la libertà è un tuo diritto fondamentale.

Facciamo un passo avanti verso un’evoluzione cerebrale, la mente chiusa è la peggior prigione in cui vivere.

Questo articolo è per tutte quelle donne che negli anni del fascismo hanno perso la vita rinchiuse nei manicomi a causa della loro ribellione verso una vita di dominio maschile, io sarei stata la prima delle rinchiuse.

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