Pienezza vs Mancanza.

Avete presente il giorno degli innamorati? Credo fosse ieri, quasi sicuramente, non partecipo attivamente a quel gioco. Sono generalmente innamorata della mia famiglia e di quello che ci sta dentro e fuori.

Sono rimasta sorpresa dal numero di persone che ieri “sdrammatizzava” l’assenza dell’amore nella loro vita, specialmente non corrisposto o non vissuto totalmente.

Difficile parlarne, io vivo di concretezze, bollette da pagare, lista della spesa e pannolini di mia figlia, ma ieri sentivo questa mia amica sofferente per un amore non fattibile, non possibile nella realtà.

“Cosa significa non fattibile?” chiedo.

“Non possiamo stare insieme, abbiamo deciso di non viverla”.

L’amore cos’è? Costruire una casa? Mattoni, giardino? Aprire un conto in banca insieme? Fare progetti? Viaggi? Boh io non credo, trovo tutto questo una sorta di controllo, dominio, possesso.

Ci sono tanti modi di vivere un amore, ma noi ne conosciamo solo uno, quello che implica “costruire qualcosa insieme”, ciò per cui la società sembra ci abbia creato, nasci, cresci, riproduciti, lavora e muori.

Cosa c’entrano tutte queste cose con il sentimento dell’amore? Certo si, la famiglia nasce su queste note, ma non solo.

L’amore è intensità, un uragano di movimenti interni al nostro corpo che ci segnalano presenze nuove, un dolore al petto che ti toglie l’aria. E’ autenticità, fuoco vivo, adrenalina, pioggia dopo la siccità. La presenza fisica del “viverci” cosa c’entra in questo?

Non è vero che le persone innamorate DEVONO stare insieme, non è sempre così. Quanti libri avete letto di amori consumati su carta e inchiostro? Lettere piene di un sentimento mai toccato con mano?

L’amore è libertà, non dominio, non possesso, non mattoni.

L’amore è abbondanza, non mancanza, sentire un sentimento nel cuore non può portare sofferenza, amare non significa cercare per forza di essere ricambiati, amare non è possedere.

Amica mia, come puoi decidere di non vivere un amore? Non si sceglie nulla, l’amore c’è tra anime che si ritrovano dopo tempo e si scelgono ancora, malgrado siano distanti o impossibilitate nel vedersi, quindi vivi il tuo amore, esattamente com’è, nella pienezza di un sentimento che non deve essere completato.

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C’è della chimica

“Tu chiamale se vuoi emozioni.”

Caro Lucio, io non credo si parli di emozionalità, o almeno concedimi di dubitarne. Sono così terrena e pragmatica che posso attribuire una reazione ad ogni miracolo della vita, partendo dal sentimento più puro dell’amore materno, fino all’odio più infuocato verso chi ci sbriciola.

Diamogli il nome corretto: CHIMICA. Nonostante i miei passi umanisti tra gli scrittori più passionali delle epoche lontane, non posso che dissentire con i loro versi floreali nel parlare dei contatti umani.

Certo che si chiamano emozioni, ma si sviluppano, crescono annaffiate dalla nostra mente, fino ad esplodere come bombe atomiche, spesso sotto forma di malattie psicosomatiche, si tipo quel mal di stomaco che ogni santo mese viene a spaccarci in due, nonostante gli esami siano tutti perfetti, ma quindi.. che cazzo è che mi fa male?

Posso dirtelo onestamente? ti fa male la vita, fa male a tutti, non solo a te, trova un posto dove mettere quell’inquietudine, corri, salta, canta, scrivi, respira, lasciala uscire come le cascate, irruente e impetuose.

Ogni scelta, anche la più banale, è dettata dalla chimica. Sai quella camicia a scacchi rossa e nera che hai appena comprato? Si quella, si chiama chimica. Quella foto su cui continui a tornare perché ci sono due occhi neri che leggono nei tuoi, chimica. Il sorriso di quella ragazza, che ti ha fatto sentire abbracciata nonostante il covid e il saluto col pugnetto, C H I M I C A.

Lo stomaco è quello che mi fotte sempre, sento quella cosa, non so che nome possa dargli, forse non voglio proprio darle alcun nome, perché è così mia che nessuno deve condividerla con me. Sale, mi arriva al petto ed ecco che il respiro si blocca. Calmati Fede, devi solo ricordarti la respirazione che ti hanno insegnato, penso.

Ma lei sale e ride perché, la chimica, quella stronza impulsiva, sa che non ti darà il tempo di fare le respirazioni alla Bruce Lee. Il tuo cuore? Tachicardico si è già impossessato delle tue braccia, che iniziano a tremare ed essere rigide, e poi? beh poi il corpo si difende a suo modo, endorfine a profusione.

Non è malvagia, non spaventiamoci. La chimica è l’effetto. L’effetto che fa annusare i capelli del tuo bambino appena sveglio, profumati di sogni leggeri, l’abbraccio della mamma che anche a 38 anni scalda più del fuoco, la canzone degli Spandau Ballet che ascoltavi da bambina senza capirne una parola, la presenza di qualcuno che ti cura solo con una carezza.

C’è chimica nel silenzio, nella calma piatta, nello sguardo perso, che nasconde tutti quegli scarabocchi neri che tentano di trovar vie di fuga dalla nostra mente.

C’è chimica quando scali le montagne, quando ti tuffi nel mezzo del lago senza vederne il fondo, quando ti completi nel corpo di un altro, quando ti colori la pelle, quando leggi un libro tutto d’un fiato, quando la notte scegli di non dormire.

C’è chimica, perché noi siamo chimica, un mix di ingredienti di cui non è dato sapere la ricetta, gioie e dolori che ci hanno reso quello che siamo, tenuti in piedi da un corpo che è nato solo per sostenerci, e come tutte le cose, sarà la chimica a ricostruirlo, guarirlo o lasciarlo andare, ma solo nel momento opportuno.

Oggi ha vinto il my Dark Side of The Moon, domani saranno cieli tersi.

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Quei cinici auguri glitterati.

Le luci, i fiocchi, il calore delle candele, i dolcetti, quell’atmosfera di pace e leggerezza che si fonde con la neve, i sorrisi, gli abbracci, la famiglia, gli amici, un’infinità di parole che mi vengono in mente quando ripenso a “quei natali”.

Ve li ricordate anche voi? Quei natali dove ci si credeva davvero, quelli che: “tra poco è Natale, basta musi lunghi, pensieri negativi, preoccupazioni, ci penseremo poi”. Quelli in cui avvertivamo una strana emozione la giornata della vigilia, perché, anche se non eravamo più bambini, la notte in arrivo era magica, sempre. Quei momenti in cui nonostante l’anno difficile, qualche brutta esperienza, un amico che ti aveva tradito, un amore finito, una difficoltà lavorativa, sentivamo comunque la magia in arrivo, il tempo del riscatto, la serenità.

Beh si tutto davvero bello il Natale e la meraviglia che lo circonda, ma sento di dover fare uno dei miei outing più invadenti per non compromettere ulteriormente i miei valori pressori già piuttosto alti.

Quale migliore modo per fare outing se non quello di augurare buon Natale a modo mio? Tramite le note della “mia penna”? La penna più cinica e dolorante raggiunta dall’alto dei miei 38 anni?

Lasciatemi iniziare dicendo che vorrei sentire “auguri di buone feste” solo da chi me lo sta augurando davvero, da chi lo dice col cuore, sorridendomi, da tutti gli altri vorrei solamente essere ignorata, avete preso nota?!

Vorrei invece fare degli auguri speciali, di luce e serenità al punto elenco seguente:

  • a te che hai dovuto aprire la porta della tua amorevole casa alla malattia, quella stronza che sta logorando lentamente la persona con cui pensavi di trascorrere lenta la vecchiaia, in pace e silenzio, magari guardando i vostri nipotini diventare grandi. Si, questo augurio è anche per te, perché so che in silenzio la sera quando sei sola, piangi lacrime di sale che bruciano sulle ferite che ogni giorno quella malattia ti infligge,
  • a te che hai accompagnato per mano il tuo papà fino alla fine, stringendolo forte e facendolo sempre sentire amato. Si, questo augurio è anche per te, perché per la prima volta quest’anno dovrai guardare la sua sedia vuota alla cena della vigilia, sarà il Natale più triste e freddo mai vissuto, ti abituerai, anno dopo anno,
  • a te che per eliminare la pesante solitudine nella tua vita, stai facendo grandi sacrifici, intraprendendo percorsi insapori e dolorosi, per lavorare su te stessa nella grande incertezza. Si, questo augurio è anche per te, che la speranza non ti abbandoni mai, nonostante i mesi e gli anni proseguano e non ci siano novità all’orizzonte,
  • a te che mai avresti pensato di poter ricevere quella pugnalata dal tuo amico, si sai di chi parlo. Quello che sembrava essere onesto, fedele e trasparente con te, veniva a cena a casa tua a giocare coi tuoi figli ricordi? Proprio lui, che ha sgretolato la tua fiducia in pochi secondi, gelando la vostra amicizia, onestamente, detto fra noi.. non so se si sia accorto di averti fatto del male. Si, questo augurio è anche per te, perché nonostante questo, so che nella tua prossima avventura non mancherà il tuo forte entusiasmo, lascerai alle spalle quella ferita che, nonostante il male, ti insegnerà che le persone hanno interessi non sempre puliti nei tuoi confronti,
  • a te che passi le giornate impaurita dal tempo che passa, dalla tua bambina che cresce, dalla paura di non poter riuscire. Lo so che la notte ti svegli con il cuore in gola, quella tachicardia che ti toglie il respiro per prosciugarti, purtroppo non credo se ne andrà presto. Questo augurio è anche per te, perché ti diranno che passerà tutto, ma non è così, sono solo bugie dette per farti star serena. Sappi che prima tu imparerai a convivere con i tuoi demoni, prima loro impareranno a lasciarti respirare la notte,
  • a te che non conosci l’umiltà, arrogante e irruento hai camminato per i prati fioriti senza accorgerti del deserto dietro che lasciavi. Ti senti solo ora vera? La verità è che lo sei sempre stato, lo realizzi solo ora perché non c’è più nulla da mangiare sulla tavola e quindi la gente ti ha abbandonato. Questo augurio è anche per te, perché il tuo sarà un Natale molto triste e silenzioso. La storia di Dickens ahimè non esiste, non ci sarà nessuno spirito dei Natali passati, presenti o futuri che verrà a trovarti la notte della vigilia per darti un’altra possibilità, no davvero. Ecco perché sei finito tra le persone a cui mando un augurio sincero, perché, nel caso in cui non ci sia un lieto fine ad attenderti, che sia lieve la tua caduta e che tu possa fingere il più possibile di viverla bene, augurandoti di rimetterti in gioco ancora,
  • a te che sei piccola e indifesa ai miei occhi, che mi commuovi ad ogni carezza. Questo augurio è anche per te, perché la tua mamma impari a capire che stai crescendo, lasciandoti fare qualche passo da sola più serena, abbi pazienza e continua ad accarezzarla, il tempo vi aiuterà a crescere insieme.
“Grazie al cazzo”.

Sarebbe bello, anche solo per un attimo, immaginare la magia del Natale tornare; alleviando la malattia, il distacco per una perdita, colmare la solitudine, curare una delusione, lenire l’ansia, sollevare le angosce e guarire le insicurezze, sarebbe bello davvero, ma il mio cinismo vorrebbe lanciare un messaggio: CAZZATE!!! SONO TUTTE CAZZATE!!! La verità è che sposteremo per qualche ora, in un angolo della nostra mente, tutti questi pensieri tristi, così da poter mangiare in compagnia di chi è consuetudine incontrare durante queste feste comandate, per poi tornare nella nostra realtà e poterci immergere di nuovo nelle piaghe dei nostri pensieri.

Adesso prendo la scopa, spazzo sotto il tappeto tutte le grida del mio cinismo stronzo che vuole rovinarci le feste! Via levati, così che anche per quest’anno io possa fingere che la magia del Natale sia arrivata, quanto meno per gli occhi incantati della mia bambina che merita di vivere questo momento glitterato come se davvero esistesse. Saranno poi le persone e le esperienze dolorose purtroppo, a darle modo di riflettere e capire che i glitter sono belli ma servono solo a coprire delle crepe, troppo visibili al naturale, della vita.

Fedy_On_This_Christmas

Metamorfosi.

Aspetto il mese di dicembre tutto l’anno, poi quando arriva è un casino. Una continua alternanza di stati d’animo e sbalzi, luci natalizie e buio delle 16.30 del pomeriggio, speranza misto malinconia. Sarà la fine dell’anno che mi mette addosso quella sensazione di tempo che scorre e scivola via, quest’anno poi, portandomi questo flusso di sinfonie scritte in lettere che pubblico sul mio blog. Sinfonie fatte di ansia, pressione alta, rivoluzione, guerra, post parto, ormoni, pianti, gioie, rincorse, salti, obiettivi, cambio di strade ecc..

Quanti anni ho lasciato soffocare tutte queste “cose”? Lasciavo li quella voce, come se non esistesse, la voce di chi voleva parlare una lingua diversa da quella che io volevo sentire; adesso, a fine anno viene quasi normale fare un bilancio di questo 2020.

Da quando ho aperto la mia “mostra” online, fatta di scritture su ogni cosa mi passi per la testa, è cambiato tanto, ho vissuto quella cosa che Kafka chiamava metamorfosi senza rendermene conto. Ho iniziato a scrivere durante la prima quarantena e qualcuno mi leggeva veramente, incredibile mi sono detta! Scrivevo, liberavo mente e parole e mi sembrava di fare sempre un passo in più verso una meta, ma quando, ad un certo punto mi sono voltata, ho visto una nuova realtà, non ero più nel posto di partenza, era cambiata la strada, la meta, il paesaggio, proprio avevo bypassato i binari che avevo pronti davanti, uscita completamente di strada, ero immersa in acque scure.

La bellezza di questa sensazione? Non so dirla a parole, non sono “riuscita” a restare nella normalità, con mio grande grandissimo piacere. La normalità? Forse una parola, una sensazione che ci serve per non aver paura di annegare in acque sconosciute, ho lottato tantissimo per non essere diversa, e ogni volta che arrivava quella sensazione di mancanza d’aria, formicolio alle mani, cuore nelle orecchie, sudori freddi, mi sentivo come se il mio corpo, la mia mente, la mia personalità soffocata si rivalesse di quello che l’avevo costretta a vivere.

Quando ho iniziato ha scrivere davvero ho come lasciato uscire quel lato emarginato, qualcuno si impossessa di me e parla per tutte le volte che non gliel’ho lasciato fare. Sono acque molto profonde, dove ci si può tuffare solo se si sa nuotare bene, riesco a galleggiare a fatica perché le onde di queste parole sono forti e devo assimilarle poco alla volta per non venire travolta sempre. Voglio aver rispetto di questo mio lato che ho soffocato per tanti anni, ci devo e ci voglio convivere, è mio, e anche lui vive ogni giorno in mia compagnia. Prima lo scacciavo infondo a quel mare spaventoso dove butto tutto quello che mi fa paura, oggi mi ci butto anche io ogni tanto, da sola, perché il naufragare è bello se fatto in solitudine, senza preoccuparsi anche di altri.

Più le parole scendono e si calmano sul foglio, più le mie braccia riescono a tenermi a galla per godere delle onde che mi cullano portandomi, forse, alla riva da cui sono partita.

Entrare in contatto con quei pensieri è stata una delle cose più faticose e spaventose che continuo a fare, non posso smettere, se dovessi farlo tornerebbero ad essere quei mostri giganti che per anni hanno cercato di divorarmi durante le notti buie.

Quando rileggo quello che scrivo mi chiedo in che posto ero, è davvero un posto buio per me, ogni volta penso che sia l’ultima, che non mi riporti più nel mio mondo normale, e invece.. si, perché la novità è che quest’anno le ho dato un volto. Non ci sono mostri anzi, ho visto una bambina impaurita, piccola, che piange da sola e nessuno si scomoda ad accarezzare, ecco io l’ho vista la mia ansia, e aveva proprio quell’aspetto. Ecco perché non posso lasciarla da sola anch’io, ogni bambina piccola ha bisogno di un abbraccio, non esistono bambine cattive, lo sono diventate per qualche sofferenza che nella vita normale non deve essere riconosciuta come tale.

Il mio 2020 è questo, ho dato un volto a quella cosa che mi spaventa da quasi vent’anni, ho conosciuto finalmente quella persona che ho cercato in tutti i modi di far sparire, siamo tante persone ma voi ne vedete una sola.

“Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere.”

Pirandello Uno, Nessuno, Centomila.

Quelle sedie vuote.

Si ok, zona rossa, gialla, verde, per me è un Natale diverso, non per il lockdown, il mio è diverso da un paio d’anni. Natale non è ancora arrivato lo so, ma per parlare di cose tristi ci vuole il momento giusto, l’ambientazione, la neve, la musica di Rod Stewart che canta “Have yourself a Merry Little Christmas”, ci vuole la solitudine della sera quando tutti dormono, ci vuole la mente pronta a ripercorrere quegli anni dove il Natale era il vero Natale.

Il mio Natale era la vigilia, correre a casa della nonna Adelina, perché eravamo in tantissimi e dovevo leggere la poesia sulla sedia, dovevo aiutarla a preparare la tavola, contare quanti tortelli avevamo fatto, quanti kg di pasta avevamo tirato. La stufa in ghisa era dalle sei che andava, e io spesso ero li dal giorno prima, svegliarsi col profumo della legna che bruciava e il suo caffè latte era una coccola. “Mangia poco che stasera poi ci sono tre primi”, “Nonna lo sai che io mangio tanto sempre”, quindi 25 biscotti nel latte e via a prendere la legna.

Non preparavamo molti regali per Natale, ma stavamo insieme davvero, lei cucinava per 30 persone: fratelli del nonno, figli, zii, cugini, la porta di casa era sempre aperta a tutti. Cantavamo fino a tardi, eravamo nella sua casa in mezzo alla campagna, al caldo, niente più di questo, era arrivato il Natale.

Si concludeva tutto per Santo Stefano dall’altra nonna, la Rita, sempre in tanti, lasagne alte come una mano, stavamo tra di noi, cugini, zii, poi tombola con quelle dieci mila lire che mi dava il nonno sotto banco, perché io mica le avevo!

Il fatto è che quest’anno probabilmente non ci possiamo muovere dal comune, ma poco conta onestamente, quel Natale di cui vi ho parlato non esiste più, ci sono solo tante sedie vuote, quelle delle nonne pesano come dei macigni, e io non riesco, non riesco a sentire quel sapore delle cose che sentivo una volta.

Qualcuno una volta mi ha detto “le nonne creano famiglie”, è vero, non c’è niente di più vero, creavano quell’atmosfera che aspettavo tutto l’anno, quell’attesa della serata o del pranzo insieme, sembrava di avere l’oro in mano, ero felice anche se di regali non me ne arrivavano.

Tutti gli anni ci riproviamo a creare qualcosa di simile, ma cosa posso farci se mi manca sempre un pezzo? C’è sempre quella sedia vuota che non riempie nessuno, loro non ci sono, e il mio Natale è più spento, un Natale di una donna adulta che ha smesso di vedere le luci calde di quella festa, perché la verità è che le sedie vuote saranno sempre di più.

Di persone come me c’è pieno il mondo, anzi, il mio egoismo mi fa scrivere della perdita delle nonne, ma c’è chi ha perso il papà, la figlia, la mamma, e si mette addosso il vestito delle feste solo per le altre persone che ha vicino, per i nipoti, per i figli. Certo lo so, questo è crescere, lo so bene, è quella magia del Natale che ricordo io mi faceva pensare che era tutto possibile, che la felicità era eterna e che saremo stati sempre uniti.

Ci sono i nostri bambini adesso che guarderanno tutto con quegli occhi che avevo io la mattina della vigilia, la cosa che mi fa piangere più di tutte e che anche loro un giorno scopriranno che la magia del Natale ha senso solo se tutte le sedie sono occupate.

Quest’anno saremo rinchiusi, ma onestamente pensiamoci, lo siamo da tanto, rinchiusi in una favola che non esiste.

La notte della vigilia io esprimevo un desiderio, se avessi saputo in quanto poco tempo quella magia sarebbe finita, avrei sicuramente chiesto di fermare il tempo, con loro due vicino a me.

Oggi va così, si piange, ogni tanto serve anche questo.

“When you wish upon a star, makes no difference who you are, anything your heart desires will come true”