Come ho fatto in altri casi simili che hanno a che fare con la violenza sulle donne, ho lasciato passare qualche giorno per metabolizzare la notizia, sviscerarla, comprenderla e farla mia nel rispetto di lei, l’ulteriore vittima, Saman.
In questo ultimo weekend mi sono presa il tempo necessario per salutarla, scrivendole qualcosa, sperando che sia l’ultima volta, ma certa che non sarà così.
Saman era una giovane ragazza pakistana colpevole di aver scelto la libertà anziché un matrimonio combinato, credo ormai sia nota a tutti la storia, quello che invece non mi sembra chiaro, ascoltando un qualsiasi talk show italiano, è il reale mandante di questo femminicidio, perché di questo si tratta.
Quanti uomini ho sentito strumentalizzare questa notizia incolpando l’islam, la “loro” cultura, le femministe di sinistra troppo assenti, ridicoli, tutti.
Credo sia poco opportuno parlare della loro cultura, consideriamo prima la nostra che, nonostante predichi il rispetto sacro santo della donna, tanto diversa non è. Vi dirò una cosa, il colpevole dell’omicidio di Saman è lo stesso che ogni giorno uccide le donne italiane, colpevoli di essersi ribellate al “loro” padrone: la violenza patriarcale.
Il mandante non è quindi un fenomeno “islamico”, ma la cultura in cui viviamo che si manifesta in qualsiasi posto, in qualsiasi tempo, in qualsiasi modo, attaccandosi a motivazioni religiose, politiche, civili, TUTTE CAZZATE per legittimare un omicidio.
Smettiamola di parlare di “loro” cultura o di “nostra”, di buona o di cattiva, esiste solamente il patriarcato radicato in maniera trasversale in tutte le popolazioni, che viene chiamato, a seconda delle necessità, con nomi diversi per mascherarlo.
Cosa possiamo racchiudere all’interno del fenomeno PATRIARCALE?
L’uccisione di Saman, la violenza su una coppia gay che si bacia alla stazione, l’omicidio di una donna che vuole il divorzio, un uomo che uccide il fidanzato della sorella per il fatto che sia una persona transgender, un ex marito che uccide la ex moglie e il nuovo compagno, un padre che picchia la figlia perché non rispetta i suoi comandi. VIOLENZA APPARTENENTE ALLA STESSA MATRICE.
Nell’ultima settimana mi sono sforzata di ascoltare il pensiero di tanti esponenti politici presenti in varie trasmissioni, per valutarne il punto di vista, conoscerne le opinioni. Sono rimasta veramente sorpresa da come sia stato raggirato il fatto, additando le culture diverse dalla nostra, come se l’unico scopo mediatico fosse quello di uno scontro tra mentalità occidentale e orientale.
Vorrei anche aggiungere un particolare non indifferente, nessuna religione obbliga ai matrimoni combinati, tantomeno l’islam. Regole di vita come queste vengono solitamente adottate da comunità dove regna sovrana la non scolarizzazione, la povertà, la ristrettezza culturale e sociale, gli unici ambienti in cui è possibile possedere la donna come merce di scambio.
Queste poche righe solo per dare il mio ultimo saluto a quella ragazza che voleva essere libera, rendendole giustizia nel modo in cui so farlo io, ricordando a tutti che non è stato l’islam il suo assassino, ma il patriarcato.
Ciao Saman, vorrei davvero fossi l’ultima, la verità è che viviamo ancora in una società dove l’ex marito cattolico ammazza l’ex moglie e il padre islamico ammazza la figlia. SIAMO TUTTE SAMAN.
In questi giorni siamo bombardati da articoli, informazioni e meme legati a quell’infelice video di Beppe Grillo in difesa del proprio figlio accusato, ancora due anni fa, di stupro. L’immagine che ho davanti, ogni volta che vedo la registrazione, è di un uomo emotivamente provato, visibilmente instabile che, nelle vesti di padre disperato, cerca di difendere il proprio figlio, nel modo meno opportuno, facendo del victim blaming.
Iniziamo dicendo che è un insulto verso tutte le donne che un’accusa di stupro sia ancora aperta dopo due anni, questo per ricordarci come ci siano due pesi e due misure ogni volta che si tratta di generi diversi, detto questo, lo scopo di oggi è quello di spiegare in parole povere cos’è il victim blaming, un comportamento così standard e ancorato nella nostra società che viene ritenuto normale.
Definiamo victim blaming quel meccanismo tale per cui la vittima di violenza (in qualsiasi forma) diventi a sua volta la colpevole dell’accaduto, arrivando così a scagionare e giustificare il solo ed unico responsabile del reato. Un fenomeno che si sparge a macchia d’olio nella collettività, mettendo in moto dei retaggi culturali maschilisti che tendono inevitabilmente a difendere il carnefice con un “se l’é cercata”.
Alla base di tutto c’è sempre e solo lei, la nostra società patriarcale, maschile, sessista fatta di chiusure mentali, fare tardi la sera, bere alcolici, vivere la sessualità senza inibizioni, sono abitudini normali per gli uomini, ma non per le donne. Motivo per cui se un uomo decide di oltrepassare certi limiti, è solo perché la donna con lui non è stata abbastanza prudente, capace di tenersi lontana da certe situazioni.
E’ tendenza comune e generale nella società, attribuire parte della colpa alla vittima, colpevolizzandola, creando una sorta di filiera solidale nei confronti di chi ha commesso il reato, fino a normalizzare il comportamento. Ecco uno dei motivi per cui la maggior parte delle donne che subisce violenze tende a non denunciare, a non far sentire la propria voce, proprio perché il più delle volte vengono giudicate loro, le vittime, anziché i veri colpevoli. Aggiungo anche che sono molte le donne che, anziché difendere la propria simile, le puntano il dito contro, cattiveria? No assolutamente, la definirei piuttosto paura di subire la stessa sorte, ma anche l’illusione di poter evitare situazioni simili mantenendo il controllo, mettendo in atto comportamenti prudenti che possano garantire una maggiore sicurezza. Un’illusione direi, perché tutti gli atti di violenza sono causati sempre e solo da un carnefice, dobbiamo farci entrare nella testa che la vittima è solo una vittima, da tutelare e proteggere.
Ci troviamo ancora al punto in cui, per la vittima, risulta più semplice il silenzio, la vergogna prende il sopravvento, è troppa la paura di venir prese di mira. Chi ha subito questo reato ha la tendenza a giudicarsi e colpevolizzarsi per l’accaduto, se poi pensiamo a cosa le aspetta raccontando tutto pubblicamente, come biasimare il suo silenzio?
Dichiarazioni come quelle di Beppe Grillo andrebbero condannate, punite, proprio perché accentuano e puntano il dito contro la vittima che ha avuto il coraggio di denunciare. “Sono ragazzi e si stavano divertendo” urla contro la telecamera, e un brivido mi percorre la schiena pensando a mia figlia, una forma di divertimento probabilmente percepito solo dai ragazzi presenti in quella stanza, perché di come si sente lei, nessuno se ne cura. “Il giorno dopo era a fare kyte, e ha denunciato 8 giorni dopo, non vi sembra strano?” continua Grillo; no io non lo trovo strano, anzi, capisco sempre di più perché la tendenza di una vittima sia quella di far finta che vada tutto bene, che nulla sia successo, per evitare assalti verbali come quelli fatti da questo padre famoso che sfrutta la sua forza mediatica durante un processo il figlio.
In un mondo migliore, si potrebbe prevenire questo comportamento, cercando di lavorarci da subito, all’interno della famiglia, nelle scuole, sulla sfera emotiva ed anche quella educativa, le donne dovrebbero smettere di giudicare le altre donne, cercando invece di sostenersi. Tutti noi dovremmo smettere di farci manipolare da questo fenomeno sociale, vivere in modo paritario le nostre libertà non può essere un attenuante di fronte ad una violenza di qualsiasi genere.
L’arma più potente contro il victim blaming è il NON GIUDIZIO, l’ascolto e la comprensione, non lasciamo sole le vittime.
Continuo il mio attacco verso gli stereotipi di genere, oggi in particolare vorrei cercare di dissociare dalle nostre menti la formula algebrica tale per cui DONNA=MISERICORDIA x COMPRENSIONE INCONDIZIONATA.
Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato chiesto di CAPIRE, beh lasciatemi dire che ho una novità, la risposta è NO, non cercherò più di capire nessuno, fintanto che qualcuno non farà lo stesso con me.
Quale sarà mai il significato nascosto tra le righe quando qualcuno ci chiede di CAPIRE? Il non detto in questa frase è la richiesta di farsi da parte, accantonare le proprie idee, i propri principi per evitare litigi, incomprensioni; non solo, aggiungerei anche: mettersi da parte significa lasciare spazio a qualcuno che non siamo noi. Tutto questo fatto nel nome del quieto vivere, della pace, della non rivoluzione. Accettazione, comprensione e misericordia: LA DONNA.
Lo stereotipo della donna comprensiva, benevola, amorevole, ragionevole, tranne in quel periodo del mese in cui, causa turbinii ormonali, diventiamo delle bestie di satana. Questa è la nostra veste che ci è stata cucita addosso.
Le donne devo cercare di capire, perdonare il primo insulto, il primo schiaffo, la prima violenza verbale, fisica, economica, psicologica che sia.
“Cerca di capire, è stanco, stressato sul lavoro” – “La situazione è snervante, manca il lavoro, bisogna capirlo” – “cerca di capire che non era sua intenzione, è stato un raptus di rabbia”.
Sapete chi pronuncia frasi di questo genere il più delle volte? Le forze dell’ordine che vengono coinvolte dalla donna che sta subendo violenza domestica, le persone esterne che non vogliono mostrare crepe nella famiglia, cercando di riappacificare i due coniugi. Preciso: non lo dico io, lo dicono tutti i dati raccolti dai centri anti violenza. E’ sufficiente anche leggere o ascoltare qualche fatto di cronaca per capire che la maggior parte dei femminicidi ha sempre una denuncia o una tentata da parte della vittima che, come sempre, non è stata presa sul serio come doveva.
In generale, è tempo che ognuna di noi smetta di cercare di capire, io personalmente vorrei togliere negli altri questa aspettativa nei miei confronti, togliermi soprattutto di dosso lo sguardo perentorio di chi mi sta chiedendo di farlo, facendomi sentire sbagliata perché questa volta ho detto no.
Troppe volte ci è stato chiesto di capire, mandando giù l’ennesima fatica per non rompere degli schemi, per fare da collante, per addolcire la pillola. Siamo qui per perdonare, compiacere o assecondare solo le nostre emozioni, solo noi. Non ci deve venir più chiesto di farlo in favore di qualcun altro, in nome di uno stereotipo che ha spento tante donne costringendole al silenzio in un angolo buio di una casa.
Rompiamo gli schemi, ascoltiamo la fiamma che ci brucia dentro.
Ho talmente tante cose da dire in merito alle molestie che, per non creare confusione al lettore, ho dovuto farmi schemi, ordinare le “sotto tematiche” e cercare di incastrare tutto.
Partiamo dalle basi, la definizione secondo la Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/molestia): sensazione incresciosa di pena, di tormento, di incomodo, di disagio, di irritazione, provocata da persone o cose e in genere da tutto ciò che produce un turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale, nel link annesso potete leggerla al completo.
Qualcosa che provoca turbamento, disagio nel benessere altrui, in effetti detta così credo di essere stata anch’io una molestatrice nella mia vita, ed infatti è così. La molestia generalizzata viene vissuta da tantissime persone in tantissimi ambiti, quello che interessa a noi però si chiama MOLESTIA DI GENERE, inflitta da un uomo su una donna.
La teoria che voglio spiegare non è semplice nella mia testa, figuriamo scriverla in modo comprensibile, cercate di seguirmi ok? Iniziamo dicendo che in situazioni di molestie ci sarà sempre un agente (chi compie la molestia) cioè il molestatore, è un soggetto subente (chi la subisce) la vittima, ma l’ago della bilancia è l’intenzione. Essendoci due soggetti ci saranno due punti di vista e due emozioni differenti. Il molestatore può agire intenzionalmente (ed ecco l’aggravante del gesto), oppure può discolparsi dicendo che non era intenzionato a farlo e scusarsi risolvendo la situazione, (ovviamente deve trattarsi di un fatto increscioso che sia dato dalla casualità). La vittima in quanto tale ha subito molestie, intenzionali o meno, quindi ha tutto il diritto di sentirsi a disagio, ma se l’atto è stato intenzionale qui si va nel penale, sempre che come tale venga riconosciuto (…)
Quanti uomini incriminati di molestie non sono stati neanche minimamente processati perché “non era sua intenzione”, e quante donne invece sono state accusate perché “si ma tu onestamente ricordi di averlo provocato in qualche modo?”, diciamo che sperare nella coscienza pulita del molestatore è come dichiararsi delle donne bugiarde che hanno esagerato nella reazione.
Ora però vi propongo due esempi di molestie, il primo non intenzionale, il secondo si, poi trarremo insieme le conclusioni dovute:
Sto camminando da sola, passa un uomo in macchina che, abbassando il finestrino emette una specie di fischio, immediatamente mi sento a disagio e gli faccio il dito medio, lui risponde: “maleducata, volevo solo farti un complimento”. Io ho sentito un disagio, quindi siamo entrati nella fase molestia (che ci piaccia o no è così). Lui voleva molestarmi? Immagino di no, ha solo lasciato che i suoi ormoni goliardici prendessero il sopravvento come fanno i babbuini su National Geographic; chi fa il verso più acuto riuscirà ad accoppiarsi per primo (e mi scuso coi babbuini per questo paragone). Cosa intendeva fare quindi? Il suo fischio voleva SOLO farmi capire che mi trova sessualmente attraente.
PRIMA DOMANDA: dovrei sentirmi lusingata? Forse perché viviamo in una società che ci insegna giorno dopo giorno come le donne debbano essere belle e sensuali per valere qualcosa? Come se fosse uno dei requisiti basic per essere notate dal mondo?
SECONDA DOMANDA: alla luce di quanto sopra, posso sentirmi autorizzata ad alzare il dito medio? Sono infastidita dal suo atteggiamento animale e rispondo a tono, perché divento maleducata ai suoi occhi?
Ecco forse come prima cosa fondamentale dovremmo spiegare alla comunità dei babbuini che i loro richiami non hanno l’effetto che speravano su di noi, anzi. Io ho parlato con uno di questi “babbuini” uno dei più intelligenti però, il quale mi ha risposto: “Fede, guarda che a noi non frega molto di che reazione potete avere, tanto vi lamentereste comunque”. SIPARIO.
2. Caso del molestatore che lo fa intenzionalmente intenzionalmente, in questo caso racconterò la storia di questa ragazza che si è rivolta ad un centro antiviolenza, in anonimo perché ogni info raccolta in questi luoghi è assolutamente confidenziale e purtroppo anche perché attualmente la ragazza lavora ancora nel posto incriminato. Ecco si ho già spoilerato che si tratta di molestie su luogo di lavoro, ma che strano vero? La vittima: lavora in ufficio, è separata, ha una figlia piccola, l’ex marito disoccupato che non partecipa al mantenimento della bimba (anzi era arrivato a chiedere aiuti economici a lei perché lui non lavora, ma questa è un’altra storia), aggiungo anche che è straniera (n.d.a. il classico maschio medio italiano direbbe: beh allora considerando che è separata, ha figli ed è straniera dovrebbe già essere contenta di lavorare). Il molestatore: è uno dei dirigenti, ha circa 20 anni in più di lei, è un lurido maiale (scusa maiale per il paragone) e ha un debole per le donne, tutte, è sposato ma, ha detta sua, ha all’attivo diverse relazioni extra coniugali di cui ne fa continuamente vanto. Cosa fa il nostro caro dirigente molestatore? Semplice, le invia messaggi e foto che fanno veramente vomitare, foto di lui non molto vestito (tra l’altro un uomo poco gradevole alla vista), messaggi in orari notturni con tutta una serie di espressioni colorite su cosa vorrebbe fare alla nostra vittima. Lei inizialmente ne ha parlato con il suo responsabile (dirigente al pari del porco maniaco), il quale ridendo ha risposto: “si sai che lui è un po’ così”, ma si è comunque preoccupato di ammonire il colpevole che indovinate come si è giustificato? Dicendo che la vittima gli avrebbe lasciato intendere altro, cioè che gradiva, per fortuna però i suoi messaggi si sono fermati. In azienda sono tutti sereni perché la situazione si è risolta giusto? Lei non riceve più messaggi, gli è stato chiesto di non far denuncia dato che ha bisogno di lavorare, lei ha accettato in nome dello stipendio che riceve per mantenere la figlia. Il molestatore per paura di venir additato come il maniaco dell’azienda si è preoccupato di dare a tutti una versione che lo tutelasse, quindi nonostante lei fosse stata in rispettoso silenzio, ha scoperto dopo qualche settimana che i colleghi non le parlavano più perché lei aveva infangato il buon nome del dirigente X, si anche le colleghe donne.
Conclusioni da trarre?
la prima lampante è che in entrambi i casi ci sono due vittime che si sono sentite molestate, che si sono sentite a disagio e che nonostante abbiano alzato la mano per farlo notare non hanno risolto molto, questo è molto sconfortante,
nel primo caso la vittima sa per certo che nella vita incontrerà ancora uno dei tanti babbuini che urlano per strada,
nel secondo caso la vittima sa che il dirigente non ha imparato nulla da questa situazione anzi, la sua richiesta di aiuto l’ha portata a venir emarginata e a sentirsi a disagio ogni giorno sul lavoro, perché gli occhi di quell’uomo sono ancora sempre puntati su di lei,
entrambi i molestatori esercitano un potere sulle vittime, questa è una caratteristica comune in ogni situazione di violenza infatti; il molestatore ha una posizione dominante, detiene il potere e riesce ad aver in pugno sempre la vittima (in senso figurato e non). Chi subisce invece si ritrova sempre con una grande delusione, un senso di impotenza e la sensazione di non poter mai aver giustizia.
Onestamente vi dico che nella vita ho subito anch’io molestie, non importa molto se fossero o meno intenzionali, io mi sono sentita a DISAGIO, mi sono sentita SPORCA, ho avuto paura. Il mondo in cui viviamo non ci fa stare serene, alzar la mano e dire “mi sono sentita molestata” corrisponde quasi sempre ad una domanda: “Si ma tu cos’hai fatto? Hai un atteggiamento che spesso può essere frainteso”. Si perché il processo alle intenzioni non viene fatto ai molestatori, ma delle vittime, siamo noi che veniamo messe sotto accusa per capire cos’abbiamo fatto, che atteggiamenti avevamo, come eravamo vestite per meritarci un comportamento così.
Il processo è sempre verso la vittima, fintanto che sarà questa la risposta della nostra società, come possiamo dire di ROMPERE IL SILENZIO? Come possiamo far passare il messaggio che LE MOLESTIE VANNO DENUNCIATE?
Vi dico una cosa, i centri anti violenza a supporto delle donne vi possono aiutare, lavorano con specialisti in grado di rompere questi meccanismi patriarcali e malati, psicologi, avvocati, assistenti sociali, anche responsabili della sicurezza per il lavoro, e credetemi questo è il pane per i loro denti, non lasciate che tutto vada sotto l’uscio entrando a far parte della quotidianità, rivolgetevi al centro anti violenza della vostra città e raccontate sempre tutto.
Non siamo sole in queste situazioni, tantissime donne vivono quotidianamente molestie soprattutto al lavoro, non lasciatevi convincere quando vi dicono “per così poco non avresti potuto fare molto, se avessi denunciato non avresti concluso nulla”, FALSO. Capisco sia difficile rivolgersi alle forze dell’ordine (spesso sono loro i primi a cercare di “mediare”), ecco perché insisto con i centri anti violenza, i loro specialisti sono estremamente preparati e possono aiutarvi in modo silenzioso ed efficace.
A noi tutte dico di ascoltare sempre col cuore la donna che abbiamo di fronte che ci sta chiedendo aiuto, con le parole, con lo sguardo, con le mani, con il corpo.
FERMIAMO IL SILENZIO, fermiamo la sicurezza di questi uomini che pensano di avere in pugno il nostro mondo, sono loro gli unici a doversi sentire a disagio e sporchi.
La buttiamo in ridere? No, sono solo provocatoria come sempre, perché credo ancora sia una lontana utopia poter uscire serene, camminare a testa alta, guardare tutti negli occhi, sorridere senza doverci coprire, essere schive, ed evitare sguardi troppo pesanti per non sentirci prede indifese come cappuccetto rosso.
Ho pensato spesso a come mi sarei sentita uscendo di casa LIBERA, io amo camminare, passeggiare, assaporare le giornate all’aperto, la dinamica è sempre quella, quando dalla parte opposta arriva una persona (specialmente di sesso maschile), mi rendo conto che mi viene AUTOMATICO abbassare lo sguardo e non riuscire a guardarlo a mia volta, (si perché un uomo ci guarda sempre, non é detto sia per secondi fini, semplicemente lui può guardare tutti negli occhi senza difficoltà). Non sto facendo di tutta l’erba un fascio, sto solo scrivendo come la maggior parte di noi ancora si sente quando si trova da sola per strada a camminare: IN PERICOLO.
Ho approfondito l’argomento con svariate donne con cui ho contatti legati alla mia attività di volontariato volta al supporto e sostegno femminile; la maggior parte ammette di abbassare lo sguardo ogni volta che incontra un uomo, tende a chiudersi nelle spalle, coprirsi, guardare altrove, mettere gli auricolari, guardare il cellulare ecc, un’ infinità di cose per proteggersi. Alla mia domanda: “come mai abbassi lo sguardo?” le risposte sono state a dir poco esaustive e perfette rappresentanti della nostra società. Le ho potute raggruppare in macro gruppi:
“non sta bene guardare gli uomini negli occhi”,
“mi sento in imbarazzo se un uomo per strada mi guarda, mi sento come se mi stesse studiando, poi con quello che si sente in giro..”
“non guardo negli occhi un uomo perché poi ti fischia per strada, gridando apprezzamenti che FANNO SCHIFO, come se fossimo allo zoo”
la percentuale di chi mi ha risposto: “si mi sembra di tenere la testa alta”, è troppo bassa ancora, inoltre le risposte erano al condizionale, quindi non sono riuscita a capire quanto potessero essere certe.
NON STA BENE GUARDARE GLI UOMINI NEGLI OCCHI. Risposta a cui mi associo anche io, non perché sia d’accordo, ma perché avverto dentro una sensazione pudica e di vergogna. Ognuno di noi ha un carattere e una morale dettata dalla famiglia in cui è cresciuto, dal carattere che si è costruito e dalla società in cui vive. Prendendo in esame il nostro piccolo paese ed è normale che una donna su due mi risponda così, la mia cara nonna mi diceva: “Non sta bene che una ragazza guardi negli occhi un uomo quando parla, non è rispettoso”. Pur non essendo d’accordo io l’ho sempre fatto, testa bassa, schiva, timida, silenziosa, piccola, indifesa, nuda, fragile, come mi sono sempre sentita. Non ho mai avuto il coraggio di tenere la testa alta, perché “chi mi credo di essere?” Sono la prima a mettermi in posizione subordinata.
MI SENTO IN IMBARAZZO SE UN UOMO PER STRADA MI GUARDA, MI SENTO COME SE MI STESSE STUDIANDO, POI CON QUELLO CHE SI SENTE IN GIRO. Questa è forse la risposta più triste, la frase “con quello che si sente in giro” é da brividi, ma di un reale pazzesco. Cos’è che si sente in giro? LO STUPRO. E non datemi dell’esagerata, frequentando i centri anti violenza mi sono fatta una bella full immersion in questo campo, e tutti coloro che mi danno della visionaria farebbero bene a venire con me un giorno a parlare con queste donne. Lo stupro fa parte della normalità, la nostra società accetta questo comportamento, UNA DONNA SU TRE E’ VITTIMA DI STUPRO, quindi significa che la nostra società non è abbastanza punitiva verso chi si comporta così. Pensate che in Italia fino al 1996 lo stupro era considerando un REATO CONTRO LA MORALE, non contro la persona vittima, assolutamente no, solo contro la morale, perché non sta bene violentare un essere umano contro la sua volontà violandolo nel suo intimo e costringendolo ad avere rapporti, NON STA BENE. Ecco, la risposta ricevuta è legata a questo, molte donne non si sentono sicure a ricambiare uno sguardo direttamente, per paura di venire poi scambiate per disponibili, fraintese e poi incantonate fino alla violenza.
NON GUARDO NEGLI OCCHI UN UOMO PERCHE’ POI TI FISCHIA PER STRADA, GRIDANDO APPREZZAMENTI CHE FANNO SCHIFO, COME SE FOSSIMO ALLO ZOO. Risposta “meno grave” della precedente certo, ma anche questa ha il suo background molto impegnativo. Notate anche voi l’ossimoro? APPREZZAMENTI CHE FANNO SCHIFO, questa vicinanza di parole in netto contrasto fra loro? La Treccani mi dice che apprezzare significa: valutare positivamente, quindi come mai farebbero schifo?! Ragazze mie, quello di cui stiamo parlando non sono lusinghe o complimenti, SONO VERE E PROPRIE MOLESTIE VERBALI che ledono la nostra libertà di girare serene, anche in solitudine. Quante di voi indossano gli auricolari anche per evitare di sentire queste parole? Come se il problema fosse nostro, siamo noi che dobbiamo difenderci tappandoci le orecchie e facendo finta di non sentire?! Quando diventerà reato anche per noi in Italia questo atteggiamento?! Se ve lo state chiedendo la risposta é si, ci sono stati in cui questo comportamento è REATO.
Vorrei aggiungere alcune riflessioni extra, molto donne e mi inserisco anch’io, mentre si parla dell’argomento, esordiscono dicendo: “so che vi sembra strano detto da me perché sono brutta, quindi é ovvio che se un uomo mi guarda non é perché ha secondi fini, ecc..”, oppure “non so perché abbia fatto questi apprezzamenti osceni, le belle donne sono altre, non di certo io”. Allora, partiamo con ordine, non andrò ad analizzare il fatto che la maggior parte delle donne si valuta brutta e inadatta perché lo abbiamo già fatto ampiamente, quello che vorrei sottolineare è che il sentirci brutte non è una protezione verso questi uomini, o meglio, la violenza verbale o lo stupro, non sono dettate dall’esigenza di poter godere della nostra bellezza. Un ESSERE MALATO che agisce in questo modo vuole prima di tutto imporre la sua presenza e dominare su di noi, vuole possederci come il soprammobile che ha in casa e decidere di romperci quando e come vuole, non ha alcun rispetto di noi e della nostra vita, non ci riconosce come persone al suo stesso livello. Una società di persone civilizzate dovrebbe punire che si comporta così. Ho preso coscienza solo da qualche anno che la maggior parte degli stupri avviene tra le mura domestiche e quindi non vengono denunciati, violenze fatte da chi ci ha promesso amore eterno e incondizionato, la cosa peggiore è che molte donne trovano “normale” che succeda in un rapporto di coppia. Termino qui l’argomento lievemente “fuori tema” rispetto a dove sono partita, è mia intenzione dedicare molto tempo alla questione “violenza domestica”, pane per i miei denti.
Non scrivo o parlo di queste cose per diventare la paladina di nessuno, solo per mettere al corrente che ci sentiamo tutte nello stesso fango, insieme dovremmo cercare di rialzarci e riprenderci la nostra posizione di lupi tra i lupi. Per vincere battaglie così difficili bisognerebbe essere tutti femministi, anche i nostri colleghi uomini dovrebbero capire che lo schierarci tutti dalla stessa parte può sconfiggere il nemico della disuguaglianza di genere. Ricordo sempre che nel nostro cuore c’è o c’è stata una donna importante: la mamma, la figlia, la sorella, la moglie, la nonna, la zia, rendiamo migliore questo mondo, guardando oltre il nostro naso.