Al tavolo dei potenti.

Una retorica nauseante quella dell’8 marzo, fatta di mimose social, frasi poetiche sulla meraviglia della donna, mantra di empowerment e incoraggiamento.

Ricordo, appena l’anno scorso, avevo preparato alcuni post per utenti per cui lavoravo, attenendomi alla media dei messaggi che, ad inizio 2021, erano favoriti in ambito “donne”, questo perché, per chi non lo sapesse, ogni post comunicativo inclusivo ha una sua moda del momento. Ebbene, l’anno scorso il focus era proprio atto a confermare alle donne che potevano diventare tutto, essere cioè che volevano, no limits. Per l’occasione ricordo di aver utilizzato infatti una frase di una donna di grande ispirazione per la sottoscritta, Michelle Obama, la quale in varie occasione ama ricordarci che: “There is no limit to what we, as women, can accomplish”.

Ma è davvero così?

Pensavo di si. Oggi, entrando in questo 2022 così violento e crudo, ho capito come messaggi in pompa magna, siano belli e d’effetto, pronunciati da chi non ha la casa distrutta dalle bombe.

Rametti di mimose, regali, offerte nei centri estetici per trattamenti speciali, trucchi in offerta, una piega in omaggio, ma possiamo essere qualcosa in più oltre che belle per forza?

Abbiamo tra le mani una guerra, fatta da uomini. Al tavolo dei potenti, delle trattative, della tanto amata diplomazia, sempre loro, nessuna di noi. Le donne dove sono?

Non di certo dal parrucchiere, sono in campo, operative sul posto, impegnate a rincorrere la salvezza, non i loro sogni, preservare i bambini, le prime vittime di queste guerre; ma soprattutto sono impegnate a combattere, armate con quanto gli stati “alleati” hanno provveduto ad inviare, fucili. Stanno difendendo la loro terra dall’invasore.

Nel 2022 è davvero pensabile che si possa ledere i diritti umani senza intervenire per scongiurare una guerra mondiale? Forse si, basta mettere una bella mimosa in bacheca e mandare un grande abbraccio alle vere eroine di questa guerra, le donne.

Quanti anni ancora serviranno alle donne per capire che questa festa altro non è che un riconoscimento farlocco istituito dalla società patriarcale per renderci mansuete? Esiste una festa dedicata agli uomini? Quindi per quale motivo deve essercene una per noi?

L’8 marzo dedichiamolo alle donne che non possono più essere qui, uccise dal patriarcato, in ogni sua forma; come la guerra in questo caso. Dedichiamolo alla commemorazione, al ricordo rispettoso e silenzioso.

Quello che mi ha trasmesso questa giornata appena passata è che le donne possono armarsi fino ai denti per proteggere la propria indipendenza, oltre ad essere mamme amorevoli che curano i loro figli all’interno di bunker o partoriti nella metropolitana.

Noi, invece, seduti sulle nostre poltrone occidentali, compriamo fiori, pubblichiamo stati con frasi accattivanti sulle nostre bacheche, così da sentirci in pace con il modus operandi in voga l’8 marzo.

La Giornata Internazionale della Donna è qui solo per ricordarci che, anche quest’anno, le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Non bastano post rosa con hashtag correlati, mimose scontornate inoltrate mille volte, fiumi di metafore su come portiamo poesia, amore e senso materno, donne in abiti da supereroine e similari. Non è la festa di nessuno, è un ricordo di dolore che ci portiamo dietro e dentro da quando al comando ci sono loro, gli uomini.

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Lo spazio che meritiamo.

Iniziamo con un luogo comune, dirlo, ripeterlo, potrebbe solo aiutarci ad assimilare il concetto: le donne ai vertici, di qualsiasi attività, sono sempre molto poche rispetto agli uomini.

Chi di loro riesce ad arrivare ai vertici deve rispettare standard molto elevati: essere impeccabile, eccellente, perfetta nel ruolo affidato e il più delle volte dormire a fatica per la responsabilità che si sente addosso, per il pensiero di mantenersi tale. Ci avete badato invece a come sono gli uomini agli stessi irraggiungibili (per noi) vertici? Sono NORMALI, sono esseri umani a cui è anche concesso un errore ogni tanto, pochi sono gli impeccabili ed eccellenti, sono persone qualsiasi, alle volte con una lunga lista di difetti, a cui non viene richiesto “di essere qualcosa” in più rispetto al loro limite.

Aggiungiamo anche che spesso, questi uomini, sono arroganti, sicuri di se, certi di meritare a pieno quel ruolo. Capaci di guardare tutti dall’alto verso il basso, non sanno cosa sia l’umiltà, non conoscono la fatica di affermarsi e di raggiungere obiettivi con i bastoni tra le ruote, non sanno cosa vuol dire fare di più del dovuto per essere riconosciuti, perché in quanto uomini non hanno nulla in più da dover dimostrare, a differenza nostra.

Ci pensate ad una donna in una posizione importante nelle sue vesti “normali”? Ecco, il fatto è proprio questo, e per spiegarlo mi riallaccio alle famose pari opportunità che ancora suonano come barzelletta alle mie orecchie. Per quale motivo a me viene richiesto il doppio lavoro, il doppio della fatica, sacrifici familiari ecc.. per poter raggiungere un ruolo importante?

E’ possibile avere le stesse opportunità date agli altri? Possibilità di essere ai vertici in modo normale? Senza dover sputare sangue ad esempio? Le donne che sono arrivate in alto hanno dovuto mettere da parte davvero tanto, fare scelte dolorose per dimostrarsi “degne”, sacrifici così grandi da far piangere nella solitudine della sera. La donna che arriva in alto deve essere la migliore, solo eccellendo può ambire a un ruolo “maschile”, perché si un qualsiasi ruolo di dirigenza è ancora considerato da uomo.

L’Italia è invasa da uomini che occupano posizioni di potere, di privilegio, basti pensare al nostro parlamento, il presidente del consiglio, il presidente della repubblica; oppure possiamo guardare anche alle più piccole realtà, le aziende dove lavoriamo, il nostro comune, la nostra provincia, quante donne vedete ricoprire ruoli di potere? Diciamo poche o quasi nessuna? Direi di si. L’Italia, per i suoi pregressi storici, è uno dei paesi più retrogradi relativamente al ruolo della donna nella società, siamo ancora una minoranza in termini di istruzione e lavoro, è ancora normale che una donna, dopo essere diventata mamma, lasci il lavoro perché incompatibile con l’esigenze dei bimbi. L’Italia è ancora un paese che non tutela la figura della donna o della mamma, perché nelle posizioni di potere ci sono quasi sempre solo uomini, che non conoscono queste fragilità e neanche si prestano a capirle.

Non c’è vittimismo in questo discorso, solamente realismo di fronte alle diverse opportunità che ci vengono date, noi abbiamo bisogno di spazio in questa società, la nostra lungimiranza, la nostra intelligenza mixata con la sensibilità che tanto ci viene criticata, sono doti molti utili e preziose nel mondo in cui stiamo vivendo, pieno di diversità e fragilità che, un uomo, non essendo mai stato fragile o in minoranza, non potrebbe mai vedere.

Smettetela di chiederci di essere eccellenti nel ruolo che ricopriamo, quando intorno a noi ci sono solo uomini che svolgono le loro mansioni in modo normale, lasciateci essere come siamo, senza pretese extra solo perché siamo donne e siamo arrivate in un posto che “solitamente” è impegnato da una desinenza maschile.

Siamo un bene prezioso, lasciateci essere parte attiva in questa società, vogliamo l’opportunità di essere normali anche noi.

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Anche gli uomini possono piangere.

Il mio è un blog prettamente di tematiche “femminili” questo perché mi prendo la libertà di parlare di cose che conosco, eviterei argomenti diversi che potrebbero innescare discussioni, lo devo già fare per lavoro, qui ho scelto di evitare, dedicandomi solo ad argomenti che hanno segnato la mia pelle.

La società patriarcale, maschile, in cui viviamo è un aspetto di cui ho scritto spesso perché ha ampiamente modificato la mia e nostre vite e i nostri usi, ma stavo dimenticando di parlare di un’altra vittima, oltre a noi donne, che alle volte, sta forse peggio, sto parlando dell’uomo.

L’uomo è stato ed è tuttora danneggiato costantemente dalla società, se noi siamo stereotipate in un modo, loro lo sono in un altro; facciamo qui di seguito una lista delle caratteristiche basic che DEVE possedere un uomo, per definirsi tale, secondo il non detto delle nostre abitudini:

  • un vero uomo deve essere sicuro, spavaldo, testa alta, sempre pronto a guardare negli occhi l’altro, mai abbassare la guardia,
  • deve essere, sempre pronto a reagire, non può lasciarsi sfidare senza incalzare a sua volta,
  • è un uomo non emotivo, non prova emozioni, quanto meno quelle sinonimo di debolezza o sofferenza,
  • è un uomo invincibile, indistruttibile, forzuto, violento, un aizzatore delle folle, un esempio perfetto è il buon vecchio Trump, o anche il nostro Mussolini per stare nel nostro territorio. Uomini di “questa portata” trasmettono fiducia e serenità, con loro a fianco non dobbiamo preoccuparci di nulla,
  • possiede una mascolinità obbligatoria, è maschio in ogni sua movenza, deve esserlo, per non perdere credibilità, è molto virile sempre.
  • non piange e non è in grado di capire nessuna creatura al di fuori del suo ego, non entra in empatia con altre persone,
  • il vero uomo gioca sempre con malizia, il sesso è il suo pensiero fisso, in quanto essere dominante in veste di promotore della specie,
  • la donna al suo fianco deve essere esseri ubbidiente, silenziose, moderate, femminile e intrattenitrice, un passo indietro,
  • non possiede lati vulnerabili,
  • in ultimo non chiede mai aiuto, prima di tutto perché non ne ha bisogno, e in secondo luogo, perché sono le persone fragili a chiederlo.

Questa lista di stereotipi è una sorta di vademecum che viene, in modo tacito, considerata essenziale per potersi sentire uomini in questa società. Inutile dire che stress può portare il dover rispettare criteri di questo tipo, ecco infatti, la così definita mascolinità tossica, vale a dire quest’insieme di caratteristiche, fissate nel medioevo che, chi non condivide o non si sente di voler soddisfare, verrà additato come diverso.

La società insegna a sopprimere le emozioni più delicate, il pianto, la paura, portando, a lungo termine, problemi di natura psicologica. Basti pensare ai genitori che, di fronte al figlio maschio in lacrime per un giocattolo, lo intimano a smettere dicendo: “non vedi che piangi come una femminuccia?”. Perché i genitori si impegnano così tanto ad insegnare al figlio maschio che il pianto, sinonimo di fragilità, è qualcosa solo di femminile? Perché non possiamo insegnare ai nostri bambini che piangere è semplicemente umano e va fatto quando ne sentiamo il bisogno?

Al bambino viene “inculcato” un modo di vivere ben preciso etichettando tutti gli atteggiamenti femminili come fragili e sbagliati, mentre vengono caldamente promossi tutti i comportamenti che faranno di lui un maschio alfa.

Il maschio basic cresciuto nei canoni imposti sarà violento, omofobo e misogino, per scacciare tutto quello che non deve far parte di lui, conosciuto come diverso. Non a caso, chi vive un’infanzia rigida in cui viene impartito il non pianto, la non emozione e il comportarsi da uomo vero, avrà poi affinità con la violenza fisica e verbale tra le mura domestiche nei confronti di chi vive con lui e non “sta al proprio posto”.

Ho ben chiaro davanti ai miei occhi, esempi noti a tutti di uomini veri, la storia infatti ci insegna vicende di guerrieri, invincibili, senza pietà che distruggono e vincono con la violenza. Mi viene in mente il concetto di superuomo che ci ha regalato Nietzsche, guarda caso poi strumentalizzato dal nazionalismo tedesco con Hilter, valido esempio come altrettanto lo è Mussolini, di uomini il cui il concetto di forza e virilità estrema li ha portati al distacco dalla realtà e natura umana da credersi invincibili. Uomini che hanno vissuto come degli highlander capaci di ogni, onnipotenti, con una lista infinita di amanti, ognuna meno importante dell’alta, tronfi, dall’ego smisurato che, nonostante gravi disturbi di salute, non hanno mai voluto mostrare al mondo le loro fragilità, per non intaccare la loro immagine di super uomini.

Vi ho fatto esempi estremi e malati, lo so bene, ma il mio scopo è quello di farvi capire fino a che punto può portare una malattia, perché di questo si tratta, come la mascolinità tossica.

Siamo esseri umani dotati di caratteristiche simili, sofferenza, fragilità, tristezza espresse sotto forma di pianto, dovrebbero entrare a far parte del nostro quotidiano, lasciando liberi gli uomini (intesi come maschi) dalle catene della non emozione.

La prima cosa che viene chiesta ad un bambino, appena uscito dall’utero della madre, è di piangere, come “conferma” del fatto che sia vivo, piangere è vita. Per quale motivo poi, durante il resto del cammino si tende a isolare gli episodi di pianto nei bambini maschi? Sento ancora troppo spesso genitori dire ai figli che piangono solo le bambine, questo perché è un luogo comune che spesso e volentieri diciamo sovrapensiero.

Vogliamo essere parte del cambiamento? Lo dico soprattutto a quei papà a cui è stato insegnato che piangere è sbagliato. Insegniamo ai nostri bambini che ad essere adulti sereni che riescono a vivere i propri sentimenti senza vergogna, il punto elenco del maschio alfa va dimenticato e tolto dai nostri file di memoria, per il bene di tutti.

Ho scritto questo pezzo grazie al blog di un ottimo scrittore qui su wordpress che amo leggere, che ha dedicato diversi suoi articoli su questo tema, quindi grazie dell’ispirazione.

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