SIAMO TUTTE SAMAN.

Come ho fatto in altri casi simili che hanno a che fare con la violenza sulle donne, ho lasciato passare qualche giorno per metabolizzare la notizia, sviscerarla, comprenderla e farla mia nel rispetto di lei, l’ulteriore vittima, Saman.

In questo ultimo weekend mi sono presa il tempo necessario per salutarla, scrivendole qualcosa, sperando che sia l’ultima volta, ma certa che non sarà così.

Saman era una giovane ragazza pakistana colpevole di aver scelto la libertà anziché un matrimonio combinato, credo ormai sia nota a tutti la storia, quello che invece non mi sembra chiaro, ascoltando un qualsiasi talk show italiano, è il reale mandante di questo femminicidio, perché di questo si tratta.

Quanti uomini ho sentito strumentalizzare questa notizia incolpando l’islam, la “loro” cultura, le femministe di sinistra troppo assenti, ridicoli, tutti.

Credo sia poco opportuno parlare della loro cultura, consideriamo prima la nostra che, nonostante predichi il rispetto sacro santo della donna, tanto diversa non è. Vi dirò una cosa, il colpevole dell’omicidio di Saman è lo stesso che ogni giorno uccide le donne italiane, colpevoli di essersi ribellate al “loro” padrone: la violenza patriarcale.

Il mandante non è quindi un fenomeno “islamico”, ma la cultura in cui viviamo che si manifesta in qualsiasi posto, in qualsiasi tempo, in qualsiasi modo, attaccandosi a motivazioni religiose, politiche, civili, TUTTE CAZZATE per legittimare un omicidio.

Smettiamola di parlare di “loro” cultura o di “nostra”, di buona o di cattiva, esiste solamente il patriarcato radicato in maniera trasversale in tutte le popolazioni, che viene chiamato, a seconda delle necessità, con nomi diversi per mascherarlo.

Cosa possiamo racchiudere all’interno del fenomeno PATRIARCALE?

L’uccisione di Saman, la violenza su una coppia gay che si bacia alla stazione, l’omicidio di una donna che vuole il divorzio, un uomo che uccide il fidanzato della sorella per il fatto che sia una persona transgender, un ex marito che uccide la ex moglie e il nuovo compagno, un padre che picchia la figlia perché non rispetta i suoi comandi. VIOLENZA APPARTENENTE ALLA STESSA MATRICE.

Nell’ultima settimana mi sono sforzata di ascoltare il pensiero di tanti esponenti politici presenti in varie trasmissioni, per valutarne il punto di vista, conoscerne le opinioni. Sono rimasta veramente sorpresa da come sia stato raggirato il fatto, additando le culture diverse dalla nostra, come se l’unico scopo mediatico fosse quello di uno scontro tra mentalità occidentale e orientale.

Vorrei anche aggiungere un particolare non indifferente, nessuna religione obbliga ai matrimoni combinati, tantomeno l’islam. Regole di vita come queste vengono solitamente adottate da comunità dove regna sovrana la non scolarizzazione, la povertà, la ristrettezza culturale e sociale, gli unici ambienti in cui è possibile possedere la donna come merce di scambio.

Queste poche righe solo per dare il mio ultimo saluto a quella ragazza che voleva essere libera, rendendole giustizia nel modo in cui so farlo io, ricordando a tutti che non è stato l’islam il suo assassino, ma il patriarcato.

Ciao Saman, vorrei davvero fossi l’ultima, la verità è che viviamo ancora in una società dove l’ex marito cattolico ammazza l’ex moglie e il padre islamico ammazza la figlia. SIAMO TUTTE SAMAN.

Molestie – il processo alle intenzioni, ma di chi?

In perfetta connessione con il mio articolo precedente (https://wordpress.com/post/fedyontheblog.com/781), approdiamo in questo nuovo tema, ancora troppo poco conosciuto e poco RICONOSCIUTO.

Ho talmente tante cose da dire in merito alle molestie che, per non creare confusione al lettore, ho dovuto farmi schemi, ordinare le “sotto tematiche” e cercare di incastrare tutto.

Partiamo dalle basi, la definizione secondo la Treccani: (https://www.treccani.it/vocabolario/molestia): sensazione incresciosa di pena, di tormento, di incomodo, di disagio, di irritazione, provocata da persone o cose e in genere da tutto ciò che produce un turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale, nel link annesso potete leggerla al completo.

Qualcosa che provoca turbamento, disagio nel benessere altrui, in effetti detta così credo di essere stata anch’io una molestatrice nella mia vita, ed infatti è così. La molestia generalizzata viene vissuta da tantissime persone in tantissimi ambiti, quello che interessa a noi però si chiama MOLESTIA DI GENERE, inflitta da un uomo su una donna.

La teoria che voglio spiegare non è semplice nella mia testa, figuriamo scriverla in modo comprensibile, cercate di seguirmi ok? Iniziamo dicendo che in situazioni di molestie ci sarà sempre un agente (chi compie la molestia) cioè il molestatore, è un soggetto subente (chi la subisce) la vittima, ma l’ago della bilancia è l’intenzione. Essendoci due soggetti ci saranno due punti di vista e due emozioni differenti. Il molestatore può agire intenzionalmente (ed ecco l’aggravante del gesto), oppure può discolparsi dicendo che non era intenzionato a farlo e scusarsi risolvendo la situazione, (ovviamente deve trattarsi di un fatto increscioso che sia dato dalla casualità). La vittima in quanto tale ha subito molestie, intenzionali o meno, quindi ha tutto il diritto di sentirsi a disagio, ma se l’atto è stato intenzionale qui si va nel penale, sempre che come tale venga riconosciuto (…)

Quanti uomini incriminati di molestie non sono stati neanche minimamente processati perché “non era sua intenzione”, e quante donne invece sono state accusate perché “si ma tu onestamente ricordi di averlo provocato in qualche modo?”, diciamo che sperare nella coscienza pulita del molestatore è come dichiararsi delle donne bugiarde che hanno esagerato nella reazione.

Ora però vi propongo due esempi di molestie, il primo non intenzionale, il secondo si, poi trarremo insieme le conclusioni dovute:

  1. Sto camminando da sola, passa un uomo in macchina che, abbassando il finestrino emette una specie di fischio, immediatamente mi sento a disagio e gli faccio il dito medio, lui risponde: “maleducata, volevo solo farti un complimento”. Io ho sentito un disagio, quindi siamo entrati nella fase molestia (che ci piaccia o no è così). Lui voleva molestarmi? Immagino di no, ha solo lasciato che i suoi ormoni goliardici prendessero il sopravvento come fanno i babbuini su National Geographic; chi fa il verso più acuto riuscirà ad accoppiarsi per primo (e mi scuso coi babbuini per questo paragone). Cosa intendeva fare quindi? Il suo fischio voleva SOLO farmi capire che mi trova sessualmente attraente.
    1. PRIMA DOMANDA: dovrei sentirmi lusingata? Forse perché viviamo in una società che ci insegna giorno dopo giorno come le donne debbano essere belle e sensuali per valere qualcosa? Come se fosse uno dei requisiti basic per essere notate dal mondo?
    2. SECONDA DOMANDA: alla luce di quanto sopra, posso sentirmi autorizzata ad alzare il dito medio? Sono infastidita dal suo atteggiamento animale e rispondo a tono, perché divento maleducata ai suoi occhi?

Ecco forse come prima cosa fondamentale dovremmo spiegare alla comunità dei babbuini che i loro richiami non hanno l’effetto che speravano su di noi, anzi. Io ho parlato con uno di questi “babbuini” uno dei più intelligenti però, il quale mi ha risposto: “Fede, guarda che a noi non frega molto di che reazione potete avere, tanto vi lamentereste comunque”. SIPARIO.

2. Caso del molestatore che lo fa intenzionalmente intenzionalmente, in questo caso racconterò la storia di questa ragazza che si è rivolta ad un centro antiviolenza, in anonimo perché ogni info raccolta in questi luoghi è assolutamente confidenziale e purtroppo anche perché attualmente la ragazza lavora ancora nel posto incriminato. Ecco si ho già spoilerato che si tratta di molestie su luogo di lavoro, ma che strano vero? La vittima: lavora in ufficio, è separata, ha una figlia piccola, l’ex marito disoccupato che non partecipa al mantenimento della bimba (anzi era arrivato a chiedere aiuti economici a lei perché lui non lavora, ma questa è un’altra storia), aggiungo anche che è straniera (n.d.a. il classico maschio medio italiano direbbe: beh allora considerando che è separata, ha figli ed è straniera dovrebbe già essere contenta di lavorare). Il molestatore: è uno dei dirigenti, ha circa 20 anni in più di lei, è un lurido maiale (scusa maiale per il paragone) e ha un debole per le donne, tutte, è sposato ma, ha detta sua, ha all’attivo diverse relazioni extra coniugali di cui ne fa continuamente vanto. Cosa fa il nostro caro dirigente molestatore? Semplice, le invia messaggi e foto che fanno veramente vomitare, foto di lui non molto vestito (tra l’altro un uomo poco gradevole alla vista), messaggi in orari notturni con tutta una serie di espressioni colorite su cosa vorrebbe fare alla nostra vittima. Lei inizialmente ne ha parlato con il suo responsabile (dirigente al pari del porco maniaco), il quale ridendo ha risposto: “si sai che lui è un po’ così”, ma si è comunque preoccupato di ammonire il colpevole che indovinate come si è giustificato? Dicendo che la vittima gli avrebbe lasciato intendere altro, cioè che gradiva, per fortuna però i suoi messaggi si sono fermati. In azienda sono tutti sereni perché la situazione si è risolta giusto? Lei non riceve più messaggi, gli è stato chiesto di non far denuncia dato che ha bisogno di lavorare, lei ha accettato in nome dello stipendio che riceve per mantenere la figlia. Il molestatore per paura di venir additato come il maniaco dell’azienda si è preoccupato di dare a tutti una versione che lo tutelasse, quindi nonostante lei fosse stata in rispettoso silenzio, ha scoperto dopo qualche settimana che i colleghi non le parlavano più perché lei aveva infangato il buon nome del dirigente X, si anche le colleghe donne.

Conclusioni da trarre?

  • la prima lampante è che in entrambi i casi ci sono due vittime che si sono sentite molestate, che si sono sentite a disagio e che nonostante abbiano alzato la mano per farlo notare non hanno risolto molto, questo è molto sconfortante,
  • nel primo caso la vittima sa per certo che nella vita incontrerà ancora uno dei tanti babbuini che urlano per strada,
  • nel secondo caso la vittima sa che il dirigente non ha imparato nulla da questa situazione anzi, la sua richiesta di aiuto l’ha portata a venir emarginata e a sentirsi a disagio ogni giorno sul lavoro, perché gli occhi di quell’uomo sono ancora sempre puntati su di lei,
  • entrambi i molestatori esercitano un potere sulle vittime, questa è una caratteristica comune in ogni situazione di violenza infatti; il molestatore ha una posizione dominante, detiene il potere e riesce ad aver in pugno sempre la vittima (in senso figurato e non). Chi subisce invece si ritrova sempre con una grande delusione, un senso di impotenza e la sensazione di non poter mai aver giustizia.

Onestamente vi dico che nella vita ho subito anch’io molestie, non importa molto se fossero o meno intenzionali, io mi sono sentita a DISAGIO, mi sono sentita SPORCA, ho avuto paura. Il mondo in cui viviamo non ci fa stare serene, alzar la mano e dire “mi sono sentita molestata” corrisponde quasi sempre ad una domanda: “Si ma tu cos’hai fatto? Hai un atteggiamento che spesso può essere frainteso”. Si perché il processo alle intenzioni non viene fatto ai molestatori, ma delle vittime, siamo noi che veniamo messe sotto accusa per capire cos’abbiamo fatto, che atteggiamenti avevamo, come eravamo vestite per meritarci un comportamento così.

Il processo è sempre verso la vittima, fintanto che sarà questa la risposta della nostra società, come possiamo dire di ROMPERE IL SILENZIO? Come possiamo far passare il messaggio che LE MOLESTIE VANNO DENUNCIATE?

Vi dico una cosa, i centri anti violenza a supporto delle donne vi possono aiutare, lavorano con specialisti in grado di rompere questi meccanismi patriarcali e malati, psicologi, avvocati, assistenti sociali, anche responsabili della sicurezza per il lavoro, e credetemi questo è il pane per i loro denti, non lasciate che tutto vada sotto l’uscio entrando a far parte della quotidianità, rivolgetevi al centro anti violenza della vostra città e raccontate sempre tutto.

Non siamo sole in queste situazioni, tantissime donne vivono quotidianamente molestie soprattutto al lavoro, non lasciatevi convincere quando vi dicono “per così poco non avresti potuto fare molto, se avessi denunciato non avresti concluso nulla”, FALSO. Capisco sia difficile rivolgersi alle forze dell’ordine (spesso sono loro i primi a cercare di “mediare”), ecco perché insisto con i centri anti violenza, i loro specialisti sono estremamente preparati e possono aiutarvi in modo silenzioso ed efficace.

A noi tutte dico di ascoltare sempre col cuore la donna che abbiamo di fronte che ci sta chiedendo aiuto, con le parole, con lo sguardo, con le mani, con il corpo.

FERMIAMO IL SILENZIO, fermiamo la sicurezza di questi uomini che pensano di avere in pugno il nostro mondo, sono loro gli unici a doversi sentire a disagio e sporchi.

Fedy_On_The_Blog

Musica sessista, fermiamo la violenza.

Ogni mio articolo è scatenato da una goccia che fa traboccare il mio vaso, che onestamente, credo essere diventato un bicchiere da shortino più che un vaso, questo perché la tolleranza verso certi comportamenti è sempre meno così come lo spazio che riesco a dedicargli nel mio contenitore. Oggi parleremo di musica, nello specifico di un genere musicale e alcuni “artisti” italiani che ne fanno un uso improprio.

Il mio panorama musicale è estremamente vasto, da Bruce Springsteen a Adriano Celentano, gli Articolo 31, il genere indie, il pop, reggeaton, rap, mi piace praticamente tutto, da ascoltare in funzione di come mi sento in un dato momento, ad esempio oggi, per scrivere, ho scelto il blues del delta di Chicago.

Gli “artisti” che sto mettendo sotto esame sono esplosi negli ultimi anni in Italia tra i ragazzi giovanissimi, fanno parte della scena rap, hip hop e trap, genere musicale a me molto caro specialmente quando sto correndo in ciclabile e ho bisogno di qualcosa che carichi.

Facciamo un breve tuffo nel passato, quando ho iniziato a sentire i primi ritmi rap provenienti da oltre oceano, negli Stati Uniti ero una giovane ragazza di 13 anni. Uno degli esponenti più importanti della musica rap americana è stato Tupac (parlo di lui perché il mio preferito, difficile poterlo imitare).https://it.wikipedia.org/wiki/Tupac_Shakur.

La sua musica “parlata” era usata come denuncia della vita che lui e i suoi “fratelli” afroamericani vivevano. Era principalmente “musica nera”, cantata dalla loro minoranza che parlava di razzismo, povertà, guerra tra gang, sparatorie, criminalità, prostitute, ragazzi giovanissimi che per guadagnare qualche soldo si buttavano nella malavita e nel commercio della droga, insomma la realtà dei primi anni novanta per la “sua gente”. La musica poi lo ha arricchito e reso famoso ma la rivalità tra gang ha avuto la meglio, infatti alla giovane età di 25 anni è stato ucciso. Artisti come lui hanno influenzato molto il resto del mondo e anche nella nostra piccola realtà ecco emergere le canzoni parlate di Jovanotti e gli Articolo 31, ovviamente con un altro spirito, tematiche diverse e ricche di contenuti.

Questa intro ci aiuta a capire le origini di questo genere musicale e, come sia stato poi trasformato oggi nel nostro paese. In Italia infatti il numero di artisti che si destreggia tra questi generi musicali è sempre maggiore, con testi arrabbiati, che anziché mettere in musica serenate rap (perchè di quella ce n’è una sola), scrivono di cattiverie subite, emarginazione, sogni non realizzati. Non tutti però hanno temi impegnati purtroppo, anzi.

Alcuni di questi infatti, mettendosi sulla falsa riga di artisti importanti che hanno risollevato la loro vita con la musica, si sentono autorizzati a scrivere testi carichi d’odio nei confronti delle donne. Questo genere musicale è stato una rivoluzione per far sentire la voce di chi per troppo tempo è stato messo a tacere in quanto “minoranza”, mentre alcuni dei nostri rapper italiani sostengono che cantare con il linguaggio di strada sia la chiave del successo. In questo linguaggio sono inclusi termini come “troia”, “puttanta” ecc, insulti sessisti che sappiamo bene esistere in versione femminile soltanto.

Non è mia intenzione scrivere o citare alcuno dei loro testi, credo siano già abbastanza pubblicizzati. Siamo nel 2020, il numero dei femminicidi in Italia è altissimo, combattiamo il patriarcato e il maschilismo e mentre sono ferma al semaforo sento passare per radio una “canzone” di questo genere?

E’ davvero questo il messaggio che si vuole passare alle generazioni che stanno ascoltando la canzone? Non ci sono altri argomenti a disposizione per questi “artisti”? Oppure la scelta di utilizzare tutto questo sessismo è in nome del successo? Per vendere di più? Beh, se questa fosse la ragione, lasciatemi dire che ci troviamo di fronte ad una pochezza inaudita.

Parte di questo articolo verrà utilizzato da un centro antiviolenza nel veronese, pertanto mi sono documentata a dovere prima di scrivere, scoprendo anche che ci sono artisti come Ghali (Good Times, canzone super trasmessa quest’estate) che si sono fatti portavoce di una campagna contro l’uso smodato di parole violente verso le donne. Ghali è un rapper italiano ma di origine tunisina, un caso? Non direi, in diverse sue interviste parla di come sia stato discriminato ed emarginato, sentendosi “diverso” o parte di una minoranza. Ecco che esperienze come queste ti cambiano, ti rendono migliore, insegnandoti ad essere più rispettoso verso l’altro.

Mi verrebbe molto facile etichettare questi artisti dai poveri contenuti, nello stesso modo in cui loro ci hanno etichettato, ma non è combattendoli personalmente che risolverò il problema della violenza contro le donne purtroppo. Vorrei piuttosto farli ragionare sull’importanza dei messaggi che lanciano ai più giovani che amano ascoltarli, quanto pesano le parole che utilizzano e come possono essere percepiti da chi non è pronto. Vorrei portarli con me in un centro anti violenza per un giorno, dar loro modo di incontrare donne che vivono nell’ombra per non essere trovate dall’ex marito, altre che sono vive per miracolo, e altre ancora che, per paura di perdere i figli, restano nella casa con il loro carnefice, con botte e violenza continua.

“E’ solo una canzone, sai quante parolacce sentono in casa questi ragazzi?”, certo che lo so, per tante famiglie vivere in mezzo alla violenza è una normalità, sentirla però passare anche nelle canzoni è come renderla lecita e accettata, come autorizzarne l’esistenza e la convivenza. La prossima vittima potrebbe essere vostra figlia, mamma, sorella, una donna importante della vostra vita, riflettete sul male che trasmettete nelle vostre parole. La vostra influenza mediatica sui più giovani potrebbe essere usata proprio per lanciare messaggi contro la discriminazione e la violenza, fatevi portavoce del cambiamento per un futuro migliore.

Fermiamo la violenza anche con la musica.