L’imperfezione di un manoscritto.

La parte più difficile dello scrivere un libro? Indubbiamente la fase di editing, di modifica, correzione, rilettura.

love is in the air

Ho passato quasi sei mesi a rileggere costantemente ogni pagina in cerca di quella svista che ero certa mi sarebbe sfuggita. L’editore a sua volta, occhi umani che continuano a passare sulle stesse parole, virgole, punti, sperando di non aver perso nulla.

Poi un pomeriggio, appena prima di lanciare il fatidico “ok si stampi”, mi ricordo di uno dei miei autori preferiti: Hemingway e la sua interessante teoria sui dieci refusi circa da lasciare all’interno di un manoscritto.

Oggi, la maggior parte delle sue opere in commercio, è stata più volte ristampata e corretta, ma le sue partenze erano colme di piccoli errori dimenticati qua e la.

Dimenticati, o meglio dire concessi? Si perché fino a che punto l’occhio umano può verificare?

Senza sosta, possiamo fare tutto certo, ma è possibile veramente raggiungere la perfezione?

Ecco mi sono fermata e ho pensato: posso controllare tutto? posso avere sotto controllo ogni lettera, parola, punteggiatura di questo manoscritto? No, la risposta è no.

Ho passato così tanto tempo a disquisire sull’imperfezione umana, su come sia proprio la nostra debolezza ad aiutarci a sbocciare, che ho dimenticato di applicare la stessa normativa nei miei confronti.

Voglio metterlo bene in chiaro, nero su bianco, il mio libro in uscita a breve è imperfetto, i personaggi lo sono e anche l’autrice.

Ho quindi scelto di lasciare per ogni capitolo qualche refuso, all’incirca 15 in tutta l’opera, certa di non poter renderla perfetta. Così facendo, a chiunque mi si avvicini sottolineandomi un’imperfezione, posso rispondere che si ce ne sono diverse, è un libro umano, scritto da occhi e mani umane, letto, controllato e riletto da occhi e mani umane. E’ giusto quindi che presenti le imperfezioni dovute, senza perderci il senno.

Manca meno di un mese all’uscita e volevo solo precisare che, soltanto chi si appassionerà in toto alla mia storia ne giungerà al termine, dimenticandosi il punto esatto in cui ha trovato l’imperfezione. Qualora invece al lettore intrighi la ricerca dei miei refusi abbandonati, attendo la lista con localizzazione annessa.

Scrivo e racconto l’imperfezione umana, attraverso l’imperfezione stessa.

A breve il link per l’acquisto di Trafalgar Tales e i suoi piccoli refusi. (giugno 2022)

Fedy_On_The_Blog

Li conoscete i perturbarti?

Il mio libro è alle porte, giugno è vicino, e sono estremamente felice di essere arrivata a questo traguardo.

Come ogni scrittore ho sottoposto il manoscritto a persone a me vicine, di spicco totalmente diverso l’una dall’altra, lo scopo era quello di giungere a valutazioni dalle varie sfaccettature, che nemmeno io avrei potuto notare.

E’ così che uno dei miei primi lettori mi dice: “Hai scelto una protagonista estremamente perturbante”.

Resto in silenzio subito, perché dentro di me ho avuto un attimo di smarrimento. Perturbante? Veramente?

Poi mi sono andata a leggere il vero significato di questa parola, perché evidentemente le avevo attribuito il tono sbagliato. Dalla Treccani: tutto ciò che si presenta come estraneo e non familiare al soggetto, generando in lui angoscia e terrore, e la cui origine si connette, contraddittoriamente, a ciò che gli era già noto da lungo tempo, ma che era diventato oggetto di una rimozione.

Si, lo è, eccome, ecco la sfaccettatura che mi mancava.

Di perturbanti ne ho conosciuti, per fortuna pochi, perché sono i peggiori. Sono quelli che, come dice la Treccani provocano un senso di estraneità, ma legato anche a qualcosa di familiare, generando una forte attrazione mista a repulsione. Nulla di rassicurante o prevedibile insomma, anzi. La lotta interiore che ci consuma ci obbliga all’autenticità, facendo cadere tutte le nostre maschere. Chi ha questa capacità può mandare all’aria tutto ciò che ci siamo gelosamente costruiti, esattamente come lei, la mia protagonista.

Non a caso, tendenzialmente allontaniamo queste persone, spaventati da quello che abbiamo provato non appena le abbiamo avvicinate. L’affanno dettato dalla loro presenza ci obbliga a conoscere noi stessi, guardarci dentro per davvero, lasciando spazio a paure irrazionali scongiurate e nascoste sul fondale.

L’amico lettore ha poi aggiunto: “Ciò che rende speciale i perturbarti è che sembrano sempre entrare in contatto con i loro nemici giurati: gli imperturbabili, gli stabilizzatori, gli equilibrati, coloro che vivono la vita con raziocinio e coscienza sempre attivi.”

“Sono dei poveri illusi chiaramente, perché è quasi sempre l’ignoto a guidarci, bel libro Fede, mi è davvero piaciuto”.

E voi? Li conoscete i perturbanti?

Fedy_Under_The_Rain

Due chiacchiere e un caffè.

” Te lo dico in tutta onestà, più ci penso e più mi rendo conto che facevo un lavoro di merda, nella mia vita ne ho cambiati diversi, facendone di ogni durante gli anni universitari. Nessuno era avvilente, frustrante, demotivante come quello, ad un certo punto mi ero anche convinta di aver preso quel posto di lavoro come sfida personale, sai bene che non amo perdere o essere sconfitta da qualche evento, quindi mi dicevo, NO NO VAI AVANTI NON PUOI MOLLARE, HANNO DATO QUESTO RUOLO A TE, SIGNIFICA CHE CREDONO NELLE TUE CAPACITA’. Ma quante cazzate mi pompavo nella testa”.

“Quini pensi sia questo il motivo per cui non hai mollato prima? Voglio dire sei rimasta li diversi anni, alla lunga un lavoro così logora no?”

“Assolutamente si, anzi ti dirò, se non fosse stato per quello stronzo, falso e arrogante che mi ha letteralmente rubato il ruolo, facendomi diventare un surrogato di sua assistente, molto probabilmente sarei rimasta ancora ed ancora, Se dovessi incontrarlo di nuovo, cosa che mi auguro non capiti mai, dopo una scarica di parolacce, alla fine concluderei con un grazie, non lo mangi quello? Posso?”

“Certo certo, finiscilo pure, ma fammi capire, cos’era che ti ha tenuto li tutti quegli anni? Non trovavi altro lavoro?”

“No no anzi, c’erano giornate in cui, presa dallo sconforto, cercavo un’alternativa, e sai cosa? Ho fatto un paio di colloqui ma il fatto è che io mi alzavo tutte le mattine sorridente e felice, era un lavoraccio si, ma io in quell’ufficio avevo trovato l’oro. Non so fino a che punto riesco a spiegarti a parole cos’eravamo noi, davvero che merce rara. Parlando personalmente l’80% del lavoro lo fanno i colleghi, ed eccoci arrivati al nodo della questione, sono stati loro la mia ancora di salvezza.”

—– “Vi porto altro ragazze?” ——.

“Per me no grazie” – “Anche io a posto così, ci porti il conto per favore?”

“Ok i colleghi li hanno tutti più o meno, ma avresti potuto trovarne altri validi in qualsiasi altro posto no?”

“Dici? Io non credo. Io arrivavo presto in ufficio e ognuno di noi aveva una particolarità che alle 8 del mattino era già stampata in faccia, c’era lui, appena arrivato, con i postumi di un campari in più della sera prima, nonostante fosse solo martedì, sorrideva e mi raccontava: si si dico sempre questo è l’ultimo, invece alla fine arrivi a casa spaccato in due, che hai perso il conto di quanti ne hai bevuti! Ma io sono uno di compagnia lo sai! Se c’è da bere si beve. Poi c’era l’altro che arrivava stanco, occhio rosso e appesantito, ho bisogno subito di un caffè diceva, si perché aveva perso il conto delle notte insonni con il suo bambino. Prendere il caffè con lui era una delle mie cose preferite, ci raccontavamo le novità e ridavamo insieme di quello che era successo il giorno prima al lavoro con quei colleghi che amavamo decisamente poco. Poi arrivava uno degli ultimi, in ritardo ed arrabbiato perché la sera prima giocando a beach la caviglia aveva dato ancora problemi, e le sue performance o erano perfette oppure non avevano senso di essere. Su uno dei tavoli in ufficio c’era sempre un vassoio di brioches perché il più mattiniero di noi ce le portava, e ne mangiava almeno due. Quando qualcosa andava particolarmente male e me lo si leggeva in faccia, ecco arrivare una notifica che diceva: ti vedo male oggi, tutto ok? Potrei perdere una giornata raccontandoti un briciolo di ognuno di loro. Eravamo proprio sincronizzati, dove non arrivavo io c’era uno di loro e viceversa, ogni giorno avevo computer e telefono intasato di cose da fare e già alle 8.10 del mattino la pressione alle stelle. Ogni mail, chiamata o rottura di palle necessitava del supporto di qualcuno di loro, e io avevo imparato a chi chiedere aiuto in base alla richiesta che arrivava. Mi sentivo in una giungla, piena di sorprese e animali feroci, ma noi eravamo una squadra, nessuno affondava o veniva attaccato, perché il branco ci proteggeva. Eravamo insieme. E quanto si rideva.. tantissimo, ci divertivamo con poco, un po’ per non soffocare dentro quel vortice di lavoro malsano che si era creato, un po’ perché il nostro feeling era speciale. Non passava giorno in cui non fossi grata per quelle persone, per quelle anime passate li e fermatesi. Sarà che eravamo più o meno tutti della stessa età, puliti, senza mire di rivalsa o scalate sulle teste degli altri…”

“Beh no questo no, perché se lui non ti avesse pestato i piedi scavalcandoti..”

“Certo si, una mela marcia c’era, marcissima, mi spiace averlo vissuto sulla mia pelle, ma ci sta eh? voglio dire, valeva la pena disilludersi da quell’isola felice in cui mi trovato, discostando la mia attenzione dal lavoro che mi stava mangiando, se no sarei ancora la!!”

“Poi? sarà stata dura ripartire da un’altra parte immagino”

“Tantissimo, staccarmi da loro, quelli buoni chiaramente, è stato quasi come crimpare un cordone ombelicale, ho pianto tantissimo, non mi sono mai capacitata della fine di quel periodo, nonostante tutta la mia vita, non solo quella lavorativa ne abbia giovato. Cioè cambiare lavoro è stata la cosa più salutare fatta negli ultimi anni, ma questo non toglie l’amore che avevo verso quelle persone, amici, si li chiamo amici perché quello erano. Mi sento di essermi portata via un pezzetto di ognuno, e viceversa. Alla fine poi il tempo ha messo al suo posto ogni cosa, eravamo speciali insieme, ma l’avidità sgretola. Ci siamo spostati tutti, o quasi, non credo gli ultimi tardino molto a fare lo stesso, si è pur sempre creata una ferita che non si sta cicatrizzando, e la necessità di aria fresca è arrivata per ognuno di noi”

“Offro io, se no paghi sempre tu.. dai per favore”

“Figurati, è da un’ora che parlo e che mi ascolti, il minimo è pagarti la colazione!”

“Insomma quindi alla fine hai capito che doveva andare così?”

“Ma non so dirti che morale estrapolare da questa esperienza di vita, certo una cosa l’ho imparata, eravamo un caso raro, quindi non ho più lasciato nessun collega, arrivato dopo, avvicinarsi così tanto a me, nonostante abbia metabolizzato che è stato un passaggio della vita, la sofferenza per quella rottura, per quello strappo, è stata fortissima”

“Beh mai dire mai, magari troverai altri colleghi con cui condividere la vita allo stesso modo”

“No ma non fraintendermi, i colleghi attuali che ho sono fantastici, collaborativi, simpatici, ma sono colleghi capisci cosa voglio dire? Non mischierò mai più le cose. Non ne vale la pena. Per loro era diverso, per loro ne è valsa la pena, non capitano tutti i giorni persone così. Anzi, persone così non capitano, sono li per un motivo.”

“Non ci credo, ti vengono ancora gli occhi lucidi?! Dopo quanto? 4-5 anni?” – “Dovevano essere speciali davvero”.

Fedy_On_The_Blog

(Racconti e quattro chiacchiere)

Conformarsi, anche solo in apparenza.

Potevo essere tante cose nella vita, pensiero comune a tanti credo. La mia vita ben incanalata nelle attività comuni, ha però questo aspetto goliardico direi del voler scrivere “cose”. Storia ormai nota la mia, letta e riletta, in tantissimi libri di VERI SCRITTORI, chi fa il cassiere, il fioraio, il panettiere, l’operaio, che allo stesso tempo, impronta e mette le basi per la sua vera passione, scrivere. Per farlo ci sono vari passaggi comandati ai quali mi sto attenendo scrupolosamente:

  • leggere, sempre, tutto: dalla ricetta della panna cotta, al quotidiano di provincia, fino ai libri sul Bosone di Higgs, perchè mi hanno sempre insegnato che leggere solo ciò che ci piace, non può arricchirci degli stessi contenuti di ciò che spesso non ci appartiene,
  • studiare: ho investito, sto investendo ed investirò sempre tanto tempo per la mia “formazione” come scrittrice. Possiamo anche possedere un talento, ma se non impariamo a coltivarlo, potrebbe anche non fiorire mai. Pensiamo ad Harry Potter, se non avesse studiato, come avrebbe potuto imparare a gestire tutta quella magia ereditata dai genitori?!
  • scrivere: e in questa attività ci voglio includere varie forme di scrittura; quella personale sotto forma di articoli, qui contenuta all’interno del blog; pagine e pagine di racconti, romanzi, poesie che un giorno dovrò decidermi a sottoporre ad occhi diversi dai miei; ma anche la scrittura conto terzi, ossia “lo scrivere per”. Ecco oggi sarà proprio su questo ultimo punto che voglio soffermarmi, il lavoro di “stage formativo”, o la più comune gavetta.

Uno scrittore non praticante deve imparare fin da subito che dovrà prestarsi a praticare per terzi per adempiere alla sua parte di formazione, accettando critiche e scendendo sempre a compromessi. Scrivere romanzi o libri che possano vendere milioni di copie dovrebbe essere il mio obiettivo finale, e lo è, ma credo, in tutta onestà, che uno scrittore possa definirsi tale, quando riesce a giocare così bene con le parole da poter intavolare un qualsiasi argomento con la padronanza di chi ne conosce ogni aspetto.

Il mondo della scrittura è fatto di domanda e offerta come qualsiasi campo. Chi domanda chiede un pezzo di tot battute da inserire in un giornaletto locale, un sito di vendita diretta, un depliant informativo, una brochure promozionale; chi offre deve riuscire a produrre il testo nel mondo più accattivante possibile, strizzando le parole nello spazio limite consentito, per poi attendere il verdetto finale.

L’aspetto più difficile di tutto questo lavoro, dopo il riuscire a farsi pagare in modo onesto, è quello di accettare le critiche, almeno per me. Mi sono ritrovata spesso a scrivere di tematiche che sentivo mie, lasciando trasparire quel livello emozionale che va oltre il consentito, ricevendo sempre indietro il lavoro perché troppo articolato, altre volte ho dovuto apportare modifiche a quello che il mio flusso di pensieri voleva esprimere. “Questa frase non può piacere, trova un modo più polite per dirlo”, oppure “il tema è quello giusto, ma bisogna sistemare tutto il contorno”; non so se riesco a spiegare come diventa difficile per me strappare quella parte così mia e personale dal foglio, per poter scrivere quello che viene richiesto e comandato sulla base di battute, spazi e contenuti.

Mi sto lamentando di come il mercato mi richieda di uniformare la mia scrittura alla massa generale, so bene che se voglio scrivere devo anche sapere fare questo, abbassare la testa e decidere di farmi violenza per oltrepassare il confine. Mi sto lamentando degli effetti che ha su di me la critica esterna; considero la scrittura un atto fatto di anima, scrivere è come vivere in una dimensione parallela; com’è possibile che qualcuno possa, in maniera obiettiva e neutrale, giudicare qualcosa che viene da così lontano e profondo? Ecco questi sono scogli, ostacoli insormontabili per me.

Quando scrivo sento l’adrenalina scorrere veloce nelle vene come se stessi vivendo momenti indimenticabili e intimi che solo io posso sentire. Riportare ogni singola parola su un foglio, sapendo che poi dovrò rimettermi a qualcuno che in quel momento sta bevendo un caffè alla scrivania, annoiato dal mondo e dal numero di paginette che ogni giorno riceve, pronto a sbuffare di fronte all’ennesima composizione scritta che chiede una possibilità, è davvero avvilente e frustrante.

I miei lavori contengono sempre una parte autobiografica, che sia un momento o un sentimento, vederli bocciati è un po’ come se fossi io ad essere respinta da quel mondo, sapendo che se mi fossi obbligata ad essere più o meno di così avrei potuto fare il passo oltre.

Oggi il mio lamento è così, confusionale, come il mio animo, i miei capelli e i miei occhi. Zero formule magiche per la conclusione o la scelta di direzione, l’unica certezza è che scrivere resterà sempre la mia vendetta verso un mondo che mi ha troppo spesso bocciato per il mio mancato conformismo.

“Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto” – (Isaak Babel’, Guy de Maupassant, 1932)

Fedy_On_The_Blog