Anche gli uomini possono piangere.

Il mio è un blog prettamente di tematiche “femminili” questo perché mi prendo la libertà di parlare di cose che conosco, eviterei argomenti diversi che potrebbero innescare discussioni, lo devo già fare per lavoro, qui ho scelto di evitare, dedicandomi solo ad argomenti che hanno segnato la mia pelle.

La società patriarcale, maschile, in cui viviamo è un aspetto di cui ho scritto spesso perché ha ampiamente modificato la mia e nostre vite e i nostri usi, ma stavo dimenticando di parlare di un’altra vittima, oltre a noi donne, che alle volte, sta forse peggio, sto parlando dell’uomo.

L’uomo è stato ed è tuttora danneggiato costantemente dalla società, se noi siamo stereotipate in un modo, loro lo sono in un altro; facciamo qui di seguito una lista delle caratteristiche basic che DEVE possedere un uomo, per definirsi tale, secondo il non detto delle nostre abitudini:

  • un vero uomo deve essere sicuro, spavaldo, testa alta, sempre pronto a guardare negli occhi l’altro, mai abbassare la guardia,
  • deve essere, sempre pronto a reagire, non può lasciarsi sfidare senza incalzare a sua volta,
  • è un uomo non emotivo, non prova emozioni, quanto meno quelle sinonimo di debolezza o sofferenza,
  • è un uomo invincibile, indistruttibile, forzuto, violento, un aizzatore delle folle, un esempio perfetto è il buon vecchio Trump, o anche il nostro Mussolini per stare nel nostro territorio. Uomini di “questa portata” trasmettono fiducia e serenità, con loro a fianco non dobbiamo preoccuparci di nulla,
  • possiede una mascolinità obbligatoria, è maschio in ogni sua movenza, deve esserlo, per non perdere credibilità, è molto virile sempre.
  • non piange e non è in grado di capire nessuna creatura al di fuori del suo ego, non entra in empatia con altre persone,
  • il vero uomo gioca sempre con malizia, il sesso è il suo pensiero fisso, in quanto essere dominante in veste di promotore della specie,
  • la donna al suo fianco deve essere esseri ubbidiente, silenziose, moderate, femminile e intrattenitrice, un passo indietro,
  • non possiede lati vulnerabili,
  • in ultimo non chiede mai aiuto, prima di tutto perché non ne ha bisogno, e in secondo luogo, perché sono le persone fragili a chiederlo.

Questa lista di stereotipi è una sorta di vademecum che viene, in modo tacito, considerata essenziale per potersi sentire uomini in questa società. Inutile dire che stress può portare il dover rispettare criteri di questo tipo, ecco infatti, la così definita mascolinità tossica, vale a dire quest’insieme di caratteristiche, fissate nel medioevo che, chi non condivide o non si sente di voler soddisfare, verrà additato come diverso.

La società insegna a sopprimere le emozioni più delicate, il pianto, la paura, portando, a lungo termine, problemi di natura psicologica. Basti pensare ai genitori che, di fronte al figlio maschio in lacrime per un giocattolo, lo intimano a smettere dicendo: “non vedi che piangi come una femminuccia?”. Perché i genitori si impegnano così tanto ad insegnare al figlio maschio che il pianto, sinonimo di fragilità, è qualcosa solo di femminile? Perché non possiamo insegnare ai nostri bambini che piangere è semplicemente umano e va fatto quando ne sentiamo il bisogno?

Al bambino viene “inculcato” un modo di vivere ben preciso etichettando tutti gli atteggiamenti femminili come fragili e sbagliati, mentre vengono caldamente promossi tutti i comportamenti che faranno di lui un maschio alfa.

Il maschio basic cresciuto nei canoni imposti sarà violento, omofobo e misogino, per scacciare tutto quello che non deve far parte di lui, conosciuto come diverso. Non a caso, chi vive un’infanzia rigida in cui viene impartito il non pianto, la non emozione e il comportarsi da uomo vero, avrà poi affinità con la violenza fisica e verbale tra le mura domestiche nei confronti di chi vive con lui e non “sta al proprio posto”.

Ho ben chiaro davanti ai miei occhi, esempi noti a tutti di uomini veri, la storia infatti ci insegna vicende di guerrieri, invincibili, senza pietà che distruggono e vincono con la violenza. Mi viene in mente il concetto di superuomo che ci ha regalato Nietzsche, guarda caso poi strumentalizzato dal nazionalismo tedesco con Hilter, valido esempio come altrettanto lo è Mussolini, di uomini il cui il concetto di forza e virilità estrema li ha portati al distacco dalla realtà e natura umana da credersi invincibili. Uomini che hanno vissuto come degli highlander capaci di ogni, onnipotenti, con una lista infinita di amanti, ognuna meno importante dell’alta, tronfi, dall’ego smisurato che, nonostante gravi disturbi di salute, non hanno mai voluto mostrare al mondo le loro fragilità, per non intaccare la loro immagine di super uomini.

Vi ho fatto esempi estremi e malati, lo so bene, ma il mio scopo è quello di farvi capire fino a che punto può portare una malattia, perché di questo si tratta, come la mascolinità tossica.

Siamo esseri umani dotati di caratteristiche simili, sofferenza, fragilità, tristezza espresse sotto forma di pianto, dovrebbero entrare a far parte del nostro quotidiano, lasciando liberi gli uomini (intesi come maschi) dalle catene della non emozione.

La prima cosa che viene chiesta ad un bambino, appena uscito dall’utero della madre, è di piangere, come “conferma” del fatto che sia vivo, piangere è vita. Per quale motivo poi, durante il resto del cammino si tende a isolare gli episodi di pianto nei bambini maschi? Sento ancora troppo spesso genitori dire ai figli che piangono solo le bambine, questo perché è un luogo comune che spesso e volentieri diciamo sovrapensiero.

Vogliamo essere parte del cambiamento? Lo dico soprattutto a quei papà a cui è stato insegnato che piangere è sbagliato. Insegniamo ai nostri bambini che ad essere adulti sereni che riescono a vivere i propri sentimenti senza vergogna, il punto elenco del maschio alfa va dimenticato e tolto dai nostri file di memoria, per il bene di tutti.

Ho scritto questo pezzo grazie al blog di un ottimo scrittore qui su wordpress che amo leggere, che ha dedicato diversi suoi articoli su questo tema, quindi grazie dell’ispirazione.

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Odio piangere di fronte a chi mi ha fatto incazzare.

C’è qualcuno che come me soffre di questa sindrome disastrosa e fastidiosa? Quelli che durante la discussione della vita, con tutte le carte vincenti, pronti per andare a meta, si trovano all’apice dell’incazzatura e, anziché dare il colpo di grazia, si trasformano in bambini capricciosi iniziando a piangere con singhiozzi e il naso rosso? Dio che fastidio, come dice una delle canzoni su Spotify che sto ascoltando in questi giorni.

Mi immagino la scena vista da fuori, suona come una grandissima sconfitta, l’avversario di turno vince inesorabilmente guardandomi riversa nelle mie lacrime indifesa. I suoi pensieri in testa quali potrebbero essere?

  • “Ma guardala immatura e ancora bambina che non riesce a gestire una conversazione”,
  • “la solita donna emotiva”,
  • “ha finito gli argomenti e quindi piange”,
  • “è una donna troppo fragile”,
  • E il peggiore di tutti credo sia: “ecco l’ho fatta piangere, ho vinto”.

La realtà, amici che mi fate piangere, è ben diversa, esiste questa categoria sfigata a cui appartengo con tutti i meriti, di persone così incazzate che, anziché riempirvi di mazzate (perché il dialogo non ha più senso), anziché urlarvi contro le peggio parole disponibili nei vocabolari, si spengono e stringendo i pugni, iniziano a piangere.

Andando sempre più nello specifico, solitamente quando capita a me, sto discutendo con una persona che si trova su un pianeta diverso dal mio, difficile quindi comprenderci. L’avversario superclassico è un uomo, purtroppo, con l’atteggiamento di chi mi sta sbeffeggiando, sorride intenerito di fronte ai miei sforzi di farmi capire invano. Lui mi guarda e prova tenerezza verso questa donna (che sarei io) con la piangina facile, un’escalation di toni di voce dove lui mi sovrasta e io capisco che non si può battere un avversario a chi grida di più.

Vi racconto di questo collega, ormai non so dire quanti anni siano passati dal fatto, io ero piuttosto giovane e impetuosa come sempre, lui un uomo molto frustrato e amareggiato dalla vita. Discutevamo spesso, e la mia promozione (se così possiamo chiamarla, direi più un martirio), l’aveva molto infastidito. All’ultima discussione, perché poi non ci siamo più rivolti parola, ha osato avvicinarsi a 5 cm dal mio naso e con gli occhi rabbiosi mi dice: “sei ridicola, tu questo lavoro non sei in grado di farlo e lo sai bene”. Eccole che arrivano, le lacrime iniziano a scendere da sole, che fastidio e lui rincara la dose: “ecco vedi, questa è la differenza tra me e te”. Nei giorni successivi, probabilmente deve essergli apparsa in sogno la Madonna che lo ha illuminato d’immenso, eccolo che torna e inizia a dirmi come lo abbia fatto riflettere vedermi piangere, aveva superato il limite concesso e si scusava tanto. La mia risposta è stata breve “No adesso basta”. La frase sul mio pianto che lo aveva fatto riflettere era ancora peggio del fatto che io avessi pianto! Lui era il capitano dell’Enterprise, l’uomo alfa, io ero una bambina piccola, bisognosa di coccole, affetto, tenerezza e modi dolci, il rischio era di farmi piangere ancora.

Come te lo spiego caro ex collega che io piango perché sono incazzata e incapace di parlare la tua lingua per spiegarti le mie ragioni? Come posso farti capire che il pianto è la risposta al tuo essere ottuso e incapace? Il mio pianto rappresenta la tua inettitudine ed io, delusa ancora dal genere umano che, non vede mai oltre il proprio naso, piango per la sconfitta che anche tu infliggi al mondo.

Non sempre tutto si risolve così facilmente, ci sono stati momenti in cui ho pensato di aver pianto davanti a lui perché la frase “sei ridicola, questo lavoro non lo sai fare”, non era altro che le stesse parole che io mi ripetevo tutte le mattine. Il suo sguardo violento e quelle parole mi sembrano come la mia parte cattiva che riflessa nello specchio mi parlava e mi diceva quanto poco mi stimavo, quanto poco mi davo valore e quanto poco attribuivo valore al mio lavoro. Argomento già trattato lo so, ma i disagi sono uno incatenato nell’altro, io non mi sentivo abbastanza e il mio pianto per quella frase era perché mi ero ritrovata allo specchio, io non mi sentivo in grado di fare quel lavoro e la mia autodifesa era sempre l’attacco.

Per completezza, oggi so che quel lavoro lo sapevo fare e molto bene anche, l’acquisto di autostima e fiducia nelle mie capacità mi sta aiutando a piangere meno, allo stesso tempo rendermi conto che spesso il mio pianto è veramente la risposta alla chiusura mentale di chi mi sta di fronte è confortante, ascoltiamo quel bambino che abbiamo dentro quando piange per farsi sentire, cerchiamo di capire cosa vuole dirci.

Ricordiamoci anche dei poteri benefici del pianto:

  • È liberatorio, ci permette di non tenere tutto dentro e farci venire ulcere,
  • È uno sfogo, stiamo esternando un disagio, ascoltiamoci,
  • Da quando piango tanto ho smesso di soffrire di mal di stomaco,
  • Piangere è una pulizia, lasciamo andare quello che non ci fa bene.

Piccola nota per i nostri amici maschietti: POTETE PIANGERE ANCHE VOI SENZA SENTIRVI MENO UOMINI DOMINANTI CHE DETENGONO IL CONTROLLO.

Piccola nota extra per il prossimo che mi farà piangere (perché lo so che ci sarà): il mio pianto non è la tua vittoria, ma la tua sconfitta, piango perché ogni forma di umana tolleranza, con te, non ha dato risultati.

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“Smetti di piangere come le femminucce”

Ero nel reparto neonati con la mia bambina in braccio, stavo cercando un bel vestitino rosso da mettere a Natale, dalla corsia davanti sento un papà dire al figlio: “Andrea smettila di piangere non sei una femminuccia!”, Andrea continua a piangere e il papà: “Non ti vergogni? sono le bambine che piangono, tu sei una bambina? smettila dai”. Non sono riuscita a tacere, sono passata davanti ad Andrea con la mia bambina in braccio, mi sono fermata e ho detto: “Vedi Fiamma tu sei nata femmina, sei molto fortunata perché puoi piangere tutte le volte che vuoi, mentre loro, i maschietti, non possono”, il papà di Andrea resta muto e io e la mia bambina proseguiamo il nostro giro. Cosa vuol dire “sono le bambine che piangono?” È un difetto di fabbrica forse? L’uomo è forte, coraggioso, valoroso, la donna invece il sesso debole lacrimevole?

“Piangere è da bambine immature”. Ricordo il mio esame di maturità, avevo fatto degli scritti quasi perfetti, ma all’orale dopo aver esposto tutta la mia tesina qualcosa è andato storto e sono scoppiata in un pianto interminabile, una forma di liberazione di fine tensione. Finito l’orale il mio professore d’italiano sgancia il carico pesante: “E’ un peccato quel pianto finale, purtroppo qualche punto ti verrà tolto, sai si chiama esame di maturità e oggi ci hai mostrato che sei ancora immatura sotto certi aspetti”. La mia valutazione finale è stata frutto di 5 anni di studio e 5 minuti di lacrime che hanno rovinosamente diminuito il mio voto.

Chi sono le persone che solitamente piangono? I bambini, le persone troppo emotive, troppo impulsive, che provano rabbia, ansia, angoscia, frustrazione, impotenza, sconfitta, sofferenza, solitudine, sconforto, ingiustizia, è così necessario imparare a dominare queste sensazioni e imporsi di non lasciarle uscire? Questo ci hanno insegnato, bisogna reagire in modo “maturo”. Qualcuno sa dirmi come sarebbe il modo maturo? Io personalmente no.

Un giorno ho assistito ad un litigio fra un collega e il nostro capo, terminato il tutto io avrei pianto come una fontana, il mio collega invece ha preso la prima cosa che ha trovato e l’ha lanciata contro il muro dicendo poi una serie di santi accompagnati da varie altre caratteristiche. Mi sono chiesta: è forse questo il modus operandi delle persone adulte? cioè è meglio la sua reazione “maschile” rispetto alle mie “lacrime da femminuccia”? Lasciatemi dire che se non ci avessero insegnato che piangono solo le donne probabilmente oggi il mondo sarebbe meno pieno di gente con il porto d’armi che si ammazza. Sfogarsi con un pianto è una terapia che ci aiuta a liberare le nostre sofferenze.

Ho passato quasi 30 anni della mia vita a piangere nascosta nella mia cameretta, nella campagna di casa, dietro al fienile della nonna, poi crescendo piangevo a scuola nei bagni, proseguendo poi sul lavoro sempre rigorosamente nascosta nel bagno. La nostra società ci ha insegnato che piangere è qualcosa di imbarazzante, chi lo fa è di conseguenza debole e fragile ecco perché viene additato come sbagliato. Mi è capitato mille volte di avere un impeto di rabbia incontrollabile e la prima cosa che di riflesso facevo era riempirmi gli occhi di lacrime e vergognarmi a morte. Quante volte mi sono sentita frustrata e messa da parte sul lavoro per qualche scelta maschile, e ho pianto tantissimo. Ecco che i miei superiori mi facevano notare proprio come questo mio atteggiamento mi stesse rovinando “sei troppo emotiva vedi? Piangere dimostra che non sei pronta per quel lavoro”.

Non piangere e tenere tutto dentro per quasi 30 anni mi ha causato in ordine cronologico questi disturbi:

  • gastrite cronica,
  • attacchi di panico,
  • herpes ovunque,
  • pressione alta,
  • fame compulsiva,
  • periodi di digiuno,
  • insonnia,
  • depressione,
  • mal di schiena,

Inutile dire quanti specialisti ho frequentato per poter guarire da ogni male, ma questa storia ve l’ho già raccontata nell’articolo precedente, che è strettamente collegato a questo. Lo “scoppione” di gennaio che mi ha portato al ricovero ospedaliero mi ha insegnato che se non lascio fluire tutte le sensazioni che ho rischio di distruggermi fisicamente. Ecco che ho iniziato a dedicarmi due volte a settimana ai miei pianti liberatori. Ne parlavo in questi giorni nelle storie di IG (instagram), piango come esercizio settimanale per svuotarmi ed essere più serena.

Come? Ho scelto le “canzoni per piangere”, metto le cuffie e parto per la mia passeggiata in mezzo al nulla, le canzoni sono tristi e mi fanno scendere le lacrime, piano piano. Ripenso ai giorni in cui mi hanno detto troppe volte di non farlo, e penso soprattutto a chi me lo diceva. Solitamente uomini adulti che con prepotenza si prendevano una posizione di supremazia e dominio nei miei confronti, ed io, giovane e ingenua, lo accettavo perché ero una ragazza impreparata, mentre loro erano uomini che avevano il mondo in pugno. Le loro parole mi hanno fatto sentire sbagliata, fuori posto, fuori luogo, indifesa, piccola, debole, fragile.. mi dispiace tanto per la Federica di allora. La Federica di adesso andrebbe da lei ad abbracciarla forte dicendole che non c’è niente di male, il solo male sono le persone che ci fatto sentire così, per dominarci, manipolarci e farci credere che non andremo da nessuna parte così emotivamente instabili. Invece sono arrivata fino a qui, dove un sacco di donne mi leggono e mi ringraziano per farle sentire bene, normali, queste donne sono tante federiche che si sono sentite indifese, e io sono qui per loro. Mentre invece a tutti quelli che mi hanno guardato con aria compassionevole mentre cadeva una lacrima vorrei dire solo questo: fanculo, il mondo sta cambiando, noi donne stiamo cambiando, non siete più voi a far le regole.

Noi siamo veramente molto fortunate perchè possiamo piangere senza temere di essere chiamate “femminucce” siamo nate così, e spero che tutte voi femminucce la fuori parliate con i vostri bambini spiegando l’importanza delle lacrime, più sane e umane di un pugno, un’imprecazione o una violenza. Insegnamo ai nostri bambini che piangere è umano.

Ho scelto come immagine una frase di una delle mie scrittrici inglesi preferite, Charlotte Bronte, inviatami da Alessandra relativamente all’argomento pianto. Per chi ne avesse bisogno ecco la traduzione: “Piangere non significa essere deboli, fin dalla nascita sta ad indicare che siamo vivi”.