Bentornata al lavoro Mamma!

“Ok essere resilienti, ok uscire dalla zona comfort, ma mi aspettavo qualcosa di più soft. Mi sono impegnata a trasmettere serenità, nonostante tutto. Ho dovuto giustificarmi come se fermarsi per la maternità fosse sinonimo di vacanza, come se in pochi mesi distanti dal lavoro, le donne perdessero le competenze acquisite in anni di lavoro. Eppure..”

Questo è solo un estratto di un post di inizio anno di una mia cara amica diventata mamma da poco, quello che voglio fare oggi è leggere fra queste poche righe, raccontando quello che non è normale sia normale relativamente al rientro al lavoro delle donne dopo la gravidanza.

Francesca come tante altre mamme ha condiviso con me il suo rientro al lavoro, siamo amiche e come tali ci si racconta. La sua storia è uguale a quella di tante altre ragazze che ho conosciuto nell’ultimo anno, con due punti in comune fondamentali: aver fatto un figlio, dover rientrare al lavoro e sentirsi in colpa.

Lo scopo principale di questo articolo non è accusatorio verso un qualcuno in particolare, è un modo per raccontare come donne in settori diversi (commercio, industria, artigianato ecc) si siano trovate tutte nella stessa situazione, non voglio fare il processo alle intenzioni, quanto invece parlare del sentire di queste donne, come hanno vissuto il rientro, come lo vivranno, come sono state accolte, che sensazioni hanno percepito. Questo ci aiuterà a prendere coscienza insieme su cosa significhi tornare al lavoro nel 2020 in Italia dopo aver avuto figli.

In questo caso non ci sarà la mia solita componente autobiografica, perché per me il rientro al lavoro è stato ottimo, con datori di lavoro che mi hanno aperto le braccia, sostenuto e ascoltato le mie necessità di mamma e di donna. Realtà come la mia sono mosche bianche, il fatto che io “sia stata fortunata” ci fa capire come sia lontano il nostro obiettivo. Situazioni così andrebbero vissute come normali anziché come fortunate, la nostra società e il nostro governo dovrebbero lavorare affinché il benessere della mamma sia tutelato e d’obbligo, mentre invece la verità è quella che vi andrò a raccontare.

Non importa che tu abbia fatto solo i tre mesi di maternità obbligatoria, oppure anche la facoltativa, quando dovrai rientrare al lavoro farai un bel respiro perché nella tua testa aleggia quel senso di colpa “ti sei assentata dal lavoro per molto tempo”, si esatto come se avessi fatto una bella vacanza, poco importa se nel mezzo hai preso 10 o 15 punti per una lacerazione o se non hai ancora ripreso a dormire come dovresti. Per la maggior parte dei datori di lavoro (uomini o donne che siano) sei comunque un dipendente con un deficit, come se avessi un handicap, hai un figlio e questo per loro significa che il primo posto nella tua vita sarà impegnato da questo esserino e chiaramente non sarai più disponibile come prima.

“Ho mandato una mail per chiedere appuntamento al mio capo, volevo parlargli, prima del mio rientro ufficiale. L’idea era quella di spiegare la mia impossibilità al nido soprattutto ora con il covid (sarebbe più a casa che a scuola), il fatto che non ho nonni a disposizione e quindi l’esigenza di un part time. Il giorno del colloquio mi sono presentata in ufficio con il cuore in gola, se il mio capo non avesse capito le mie esigenze avrei dovuto prendere qualche decisione drastica”. Inizia così la storia di tutte, la mamma è ad un bivio: sceglierà di rientrare al lavoro come nulla fosse? Con le solite 8 o 9 ore al giorno, sempre super operativa, scegliendo di “trascurare” un po’ il figlio? Sarebbe per una buona causa, per dare un’ottima impressione ai titolari, mostrando quando tenga alla sua posizione e al suo lavoro. Oppure, sceglierà la famiglia, chiedendo una riduzione d’orario? Nel caso in cui venga negata che si fa? Potrebbe licenziarsi e accudire i figli, perdendo ogni possibilità di crescita lavorativa, ma potrebbe fare la mamma a tempo pieno.

La mamma deve scegliere, o la famiglia o il lavoro, questo appunto perché la maggior parte delle realtà non ha un lieto fine come la mia, purtroppo la società in cui viviamo non ha un minimo di sensibilità verso le neo mamme, non ha rispetto del rapporto mamma e figlio, del rientro al lavoro o del fatto che non è corretto separare i due per otto o nove ore al giorno. Di norma il proprietario dell’azienda (basandosi su quanto la legge italiana fa o ha fatto in questo ambito) semplicemente si limita a pensare alle sue esigenze produttive e ai costi, se la mamma ha qualche problema o solleva difficoltà nella sua gestione familiare, non sarà di certo lui a farsene carico.

Il comun denominatore di queste storie è uno: il rientro al lavoro per la mamma viene vissuto come un colpevole che si presenta al banco degli imputati sotto processo, una giuria pronta a processarlo con un capo d’accusa ben radicato nelle menti soggiogate dalla società: hai scelto di diventare mamma, mettendo in secondo piano il tuo lavoro.

In realtà i comun denominatori sono due, perché le mamme di cui parlo, sono rientrate tutte chiedendo riduzioni di orario, orari continuati, cambio di mansioni, richieste con uno scopo solo: ritagliarsi un po’ di ore, di energie per poter stare con il proprio bambino, a chi piacerebbe fare un figlio e lasciarlo al nido o dai nonni per dieci ore al giorno? La risposta è stata quasi per tutte la stessa:

  • riduzione d’orario per qualche mese, tempo che il bambino si abitui a “vederti meno” poi però torni a tempo pieno,
  • non possiamo farlo per te, poi se no dovremmo farlo per tutte le altre che ce lo chiedono,
  • non sei la prima a far figli, sono riuscite loro ad organizzarsi, puoi farcela anche tu,
  • lo so ti capisco, infatti mia moglie ha scelto di licenziarsi e restare a casa coi figli, il part time è un costo elevato per noi, non possiamo accettarlo mi dispiace.

L’Italia è uno dei paesi sviluppati con il numero più elevato di mamme disoccupate, credo non ci sia bisogno di ulteriori chiarimenti sul tema.

I part time sono in effetti molto più costosi per le aziende rispetto ai tempi pieni; caro governo, non sarebbe il momento di aggiornarsi e mettersi al pari degli altri stati europei? Agevolando i lavori flessibili per aiutare le mamme evitando che si sacrifichino sempre loro per il bene familiare? Cerchiamo di favorire l’apertura di asili nido all’interno delle grandi aziende, aiutiamo quelli già esistenti, così da poter abbassare le rette? E soprattutto miglioriamo le riforme legate alla maternità? Ci sono aspetti ancora così retrogradi che sembra di vivere nell’Italia fascista del 1920.

Queste mamme, come tantissime altre, si sono sentite sbagliate, in colpa per aver fatto un figlio, dipendenti noiose che danno fastidio. Alcune rientreranno al lavoro tristi e in pensiero per un bambino che dall’oggi al domani si troverà a passare intere giornate senza la sua mamma, altre invece non rientreranno proprio, costrette al licenziamento, è giusto tutto questo? E’ così che garantiamo il benessere delle famiglie? In che paese precario stiamo vivendo?

Ultima nota dolente che va detta è legata alle colleghe, sono femminista certo, ma ho prima di tutto un’etica e devo ammettere quando sono le donne le prime a sbagliare. In ogni racconto ho sentito proprio questo particolare, come le colleghe siano state perfide, violente verbalmente, come si siano scagliate contro le richieste di queste mamme, fa male sentirlo, cos’è che ci fa scattare questo meccanismo tale per cui, anziché condividere e sostenere, isoliamo ed emarginiamo la nostra collega neo mamma come se si fosse presa la famosa vacanza? Argomento ostico e appuntito direi questo, che tratterò in un altro momento, ma volevo scriverlo perché è uno degli aspetti più dolorosi della vicenda. Quanta solidarietà tra donne ci manca ancora, certi passi possiamo compierli solo insieme, smettiamo di sabotarci.

Sono veramente grata ai miei titolari e alle loro “menti aperte” per avermi dato la possibilità di gestire il lavoro in base alle mie esigenze e quelle di mia figlia, permettendomi quindi di essere e fare la mamma in serenità godendoci il nostro tempo. Tutto questo è ancora una rarità, voglio essere fiduciosa e pensare che aziende come quella in cui lavoro io siano d’esempio, so per certo che su questa scia tante altre stanno operando allo stesso modo.

Alle mamme che hanno dovuto scegliere voglio dire di raccontarlo, di parlarne, perché NON E’ NORMALE CHE SIA NORMALE, sradichiamo dalle nostre teste abitudini di una società vecchia, bigotta, preistorica, superata e VERGOGNOSA.

Questa sono io, che ci spera sempre, con la testa lassù, tra le nuvole.

Fedy_On_The_Go

15 pensieri su “Bentornata al lavoro Mamma!

  1. Stef555 ha detto:

    Pur essendo molto lungo ho letto tutto. Asili nido nelle aziende dovrebbe essere un requisito per ottenere dei vantaggi bancari, fiscali come reale e non solo etichetta di responsabilità sociale d’impresa. Grazie

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  2. Celia ha detto:

    So che anticipo, hai scritto di volerne parlare più avanti, ma uno dei motivi (non l’unico) per cui – penso – alcune donne si mostrano risentite contro le proprie colleghe che non fanno altro che chiedere possibilità loro dovute, possa essere l’invidia nella sua accezione più rozza e terra terra.
    Ossia: magari io personalmente non ci tengo ad avere un figlio, ma sono come te donna e in quanto tale so di dover faticare il doppio per ottenere il giusto. Poi vedo che tu, apparentemente senza difficoltà, “godi” di qualcosa che dovrebbe appunto esser normale ma non lo è, mentre io rimango al palo proprio come prima, e la mia rabbia invece di indirizzarsi alla fonte delle storture si indirizza verso di te – perché è più semplice scaricarla così: meno produttivo sul lungo periodo, ma dà più sollievo immediato.

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  3. Fedy_On_The_Go ha detto:

    Bravissima tu hai colto nel segno, è più facile indirizzarla verso una persona al tuo pari, perché la fonte delle storture, ci hanno insegnato non possa essere toccata. Il male è nella società, nelle radici, buche in cui cadiamo da 50 anni, perché è sempre andata così. Quello che vorrei fare io è sgretolare l’usanza del “sollievo immediato” perché poi, a conti fatti, non solleva per niente! Ottimi spunti di riflessione, grazie!

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  4. Sonia C. ha detto:

    Buona sera cara, complimenti all’articolo. Io non sono mamma perchè ho scelto di non esserlo. Ma parlando da “esterna” mi chiedo: Ma i mariti e i compagni dove sono? Perchè deve essere sempre la donna a chiedere ai datori di lavoro riduzioni di orari, favori, ecc… ??? L’uomo non può fare lo stesso o hanno paura di essere derisi da questa società maschilista? Io se un giorno decidessi di avere figli pretenderei che il mio uomo facesse sacrifici con me, assieme a me. Siamo una coppia in tutto per tutto.
    Buona notte e bacioni.

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  5. Fritz Gemini ha detto:

    purtroppo l’invidia e’ una emozione devastante, che trova negli ambienti di lavoro dei canali di sfogo e degli strumenti di amplificazione allucinanti, poiche’ si condividono tempi e spazi e condizioni di partenza simili. Di solito l’invidia la si prova verso chi ha problemi e situazioni simili alle nostre. Faccio un esempio stupido, ma che puo’ aiutarmi a spiegare: difficilmente un impiegato/a invidiera’ l’amministratore delgato, molto probabilmente inviedera’ la collega o il collega che e’ riuscito ad ottenere un aumento di 1000euro annui (tassati chissa quanto dal governo), o la settimana di vacanza a luglio invece che ad agosto. L’invidia ha molto a che fare con la miseria dell’essere umano, che latita in noi tutti.. per carita’ non mi reputo immune. Ripeto gli ambienti di lavoro sono dei terreni di coltura ideali per queste dinamiche. Forse per questo che dovremmo un po’ tutti, dare meno importanza al lavoro (so di apparire impopolare con queste parole). Buona giornata. Fritz

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    • Fedy_On_The_Go ha detto:

      Caro Fritz! Grazie mille! Mi trovi in accordo con tutto quello che mi hai scritto, anzi aggiungo che spesso l’invidia e la competitività viene fomentata dai datori di lavoro, per incentivare a produrre di più solo sulle basi di quanto hai scritto tu. Hai potenti fa molto comodo che degli “impiegatucci” si scannino per risultare migliori alle volte. Grazie del tuo commento.

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      • Fritz Gemini ha detto:

        Avevo letto un libro anni fa, che mi aveva aperto alcune porte su questo argomento, si chiamava: L’invidia al lavoro. Io penso che poi colpisca tutti, a tutti i livelli. Quindi non credo che tra loro, i manager siano avulsi a queste dinamiche. Non voglio pero’ andare sui massimi sistemi. Buona serata. Fritz.

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  6. labisbetika ha detto:

    Mamma mia, mi sono commossa. Al pensiero che ciò che ho passato io lo hanno passato, e lo passeranno, altre mamme in questa Italia retrograda. Anzi a me non è andata nemmeno forse nel peggiore dei modi, mi hanno ‘solo’ fatto mobbing ed alla fine lasciata a casa con due bambini piccoli. E sono una mamma single. La legge non mi tutela per niente, non tutela nessuna mamma, perché ogni diritto che ci viene concesso (ed è elemosina) viene visto dai datori di lavoro come un handicap, hai scritto bene. Fa tanta rabbia, ma purtroppo è così. Oggi se non si ha una rete di supporto intorno, da mamma non si può lavorare. Siamo nel 2022 e non sembra. Grazie per aver condiviso un tema così importante, davvero. A presto.

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